Andrea Gubitosi – Foto: Matilde Di Muro

L’artista napoletano ha realizzato un’opera corale per il recupero di un belvedere abbandonato del quartiere Vomero. Ne abbiamo parlato con lui in questa videointervista.

Un pomeriggio di inizio giugno ci siamo recati in uno dei luoghi panoramici di Napoli per incontrare un giovane artista partenopeo che ci ha raccontato le sue visioni. Si tratta di Andrea Gubitosi, maestro di scultura neolaureato all’Accademia di Belle Arti di Napoli, e il posto magico che andremo a scoprire insieme è un lembo di terra incuneato tra le palazzine vomeresi e lo scalone Aldo Giuffrè, che collega via Gaetano Donizetti a via Luigia Sanfelice.

Lo scalone Aldo Giuffrè – Foto: Matilde Di Muro

Il Vomero: origini del nome e breve storia

Appena si giunge in questo luogo colpisce l’incredibile panorama che, in cima alla scalinata, sembra venirci incontro: un’immagine quasi poetica del golfo di Napoli; una di quelle che, in un tempo lontano, i visitatori del Grand Tour vollero immortalare realizzando le cartoline del passato, ossia le bellissime gouaches del ‘700. Si rimane un attimo in silenzio per contemplare tanta bellezza e bisogna necessariamente restare con lo sguardo fisso il più possibile per non accorgersi che, lateralmente, a fare da cornice a questa meraviglia, ci sono palazzi e non quella lussureggiante macchia mediterranea che anticamente aveva caratterizzato la collina del Vomero.

Ricordiamo che la denominazione data a questo quartiere ci racconta che questa modesta altura, che guarda il golfo con di fronte la costiera sorrentina e lateralmente l’imponente Vesuvio, era un’area verdeggiante a utilizzo esclusivamente agricolo da parte dei suoi abitanti. Qui i contadini praticavano, nei giorni festivi, il ‘gioco del vomere’, sfidandosi a tracciare con l’aratro il solco più diritto. Per vederlo vi saliva una quantità di gente dalla città, ed è da questa antica usanza che prende il nome questo luogo.

La sua amenità è testimoniata sin dall’epoca greca, oltre che dalla rigogliosa vegetazione, anche dalla presenza di torrenti d’acqua che scendevano fino a valle. In epoca angioina, sulla sommità, sorsero le prime ville e i primi palazzi attorno alla Certosa di S. Martino, fondata nel 1325, e si incominciò la costruzione del Castel S. Elmo, che oggi ammiriamo per le sue fattezze di memoria cinquecentesca.

Castel Sant’Elmo – Foto: Giorgio Manusakis

L’amenità di una collina stravolta da un’incontrollata urbanizzazione

Nel XVIII secolo il Vomero, grazie alla sua fama di salubrità, era luogo prediletto per la villeggiatura. Numerose, infatti, erano le ville che vi sorgevano – pur continuando a mantenere un carattere essenzialmente agricolo – fino alla metà dell’800, quando incominciò la grande urbanizzazione della collina con un piano regolatore redatto nel 1886 che interessò un’area di circa 650.000 mq. Nacquero così i primi palazzi di stile neorinascimentale lungo via Scarlatti e parecchie villette liberty lungo via Luca Giordano, mentre Piazza Vanvitelli andò acquistando la sua fisionomia con i quattro palazzi fatti edificare dall’Istituto romano di beni stabili. I collegamenti fra il Vomero e la città bassa vennero facilitati con l’entrata in funzione delle funicolari di Chiaia, Montesanto e Centrale, oltre alla circolazione del primo tram elettrico.

Dopodiché, con l’avvento del regime fascista, l’attività edilizia è divenuta inarrestabile realizzando anche insediamenti cooperativistici e di edilizia popolare. Il tutto si è aggravato negli anni ‘50/’60 del secolo scorso con una urbanizzazione selvaggia, senza vincoli e controlli, che ha investito la città intera e che il cinema verité del regista Francesco Rosi ben racconta nel film Le mani sulla città del ’63. Ed è così che questa collina ha totalmente perso quella vocazione agricolo-paesaggistica che l’ha caratterizzata per secoli sino a divenire oggi il cuore commerciale e residenziale di Napoli.

Quei paesaggi spettacolari sono scomparsi e sono rimasti solo alcuni scorci panoramici perlopiù a esclusivo vantaggio dei privati fortunati abitanti di questi luoghi o dei passanti di alcune particolari strade, come nel caso dello scalone dedicato all’attore napoletano Aldo Giuffrè nel 2023.

Vista di Napoli dallo Scalone Aldo Giuffrè – Foto: Matilde Di Muro

L’intento di Gubitosi: ridare dignità ad un piccolo ma suggestivo spazio verde

A salvaguardia di tale bellezza e per il recupero di un piccolo scorcio di paesaggio nasce il progetto Aiuola Verdetufo dell’artista Andrea Gubitosi.

Oggetto di attenzione è un triangolo di terra, che si incunea tra il suddetto scalone e le palazzine, e che col tempo è divenuto un vero e proprio sversatoio di rifiuti parzialmente nascosti da una vegetazione spontanea.

Scalone Aldo Giuffrè com’era prima dell’intervento – Foto: Matilde Di Muro

In virtù dell’iniziativa del Comune di Napoli chiamata ‘Adotta un’aiuola’, nel 2024 Andrea Gubitosi ha preso in gestione questo luogo, progettando di sottrarlo alla condizione di totale abbandono in cui si trovava per poi ricostruire un frammento di paesaggio endemico naturale e uno spazio di resistenza per la biodiversità. Infatti, il nome Verdetufo auspica la creazione di un’aiuola come immagine di paesaggio napoletano ideale, connotato dalla presenza delle pareti di tufo giallo e dalla vegetazione mediterranea che un giorno verrà riposta.

Le attività finora messe in atto hanno visto la partecipazione corale di molti giovani che hanno contribuito attivamente alla ripulitura del luogo. L’artista ha usato intelligentemente la piattaforma di Instagram non solo per documentare e rendere pubblico il processo di trasformazione dello spazio, ma soprattutto per innescare una sorta di ‘chiamata alle armi social’ per tutti coloro che volevano farsi parte attiva del progetto di riqualificazione. Veri e propri appuntamenti settimanali di Clean Up sono stati organizzati per rimuovere la vegetazione spontanea e riportare alla luce i rifiuti che col tempo si erano ammassati.

Scalone Aldo Giuffrè attualmente – Foto: Matilde Di Muro

La discarica sommersa si è così dispiegata in superficie mostrando oggetti di vario genere: mazzi di chiavi, documenti abbandonati, materiale edile, buste di calce, bottiglie di vetro – tra cui una boccetta di profumo francese degli anni ’40 – parti di vecchi giocattoli, specchietti retrovisori e selle di ciclomotori, caschi, bottiglie, accumulatori e cavi elettrici; abiti dismessi, plastiche di ogni tipo e poi un numero, davvero tristemente spropositato, di siringhe per uso endovenoso di stupefacenti, a testimonianza del particolare consumo di eroina che ha flagellato tanti tra la fine degli anni ‘70 e l’inizio degli anni ‘80.

La boccetta di profumo anni ’40 – Foto: Matilde Di Muro

L’Aiuola: dall’‘archeologia dei rifiuti’ alla piantumazione di pregiate specie locali

Dunque, la stratificazione di tutti questi oggetti, avvenuta nei decenni e rimasta inalterata sino ad oggi, ha inaspettatamente generato una sorta di intervento archeologico dei rifiuti grazie al quale è stato possibile ricostruire la storia passata di questo spazio e i suoi usi antropici nel corso del tempo. Evidentemente la sua posizione nascosta ha favorito lo sversamento illecito di scarti edili, materiali ingombranti e oggetti trafugati, oltre a diventare un nascondiglio ideale per tossicodipendenti.

Andrea Gubitosi ci ha raccontato di come il ritrovamento di questi oggetti abbia generato un forte impatto emotivo in quanto tracce di un vissuto drammatico e di un comportamento umano che induce ad una profonda riflessione sul rifiuto come tema centrale del nostro tempo. La spazzatura è stata attentamente differenziata per poi essere rimossa nel rispetto assoluto dell’ambiente. Inoltre, è stata riportata al suo originario splendore, ripulendola da scritte vandaliche, una monumentale parete di tufo giallo che insiste ai piedi dello scalone Aldo Giuffrè e che è una delle poche rimaste al Vomero.

Parallelamente sono state condotte delle ricerche conoscitive sul campo di quei frammenti di paesaggio napoletano originario, ancora rinvenibili, da prendere come possibili modelli ideali da riprodurre in questo specifico contesto cittadino. Attualmente si sta provvedendo alla costruzione di opportuni terrazzamenti, arginati da pali in legno, e alla preparazione del terreno, dopo averlo setacciato per eliminare i residui plastici presenti, per la semina di nuove piante. Essendo il rapporto col paesaggio un nodo cardine del progetto, sono state condotte delle vere e proprie escursioni alla ricerca della flora endemica del golfo napoletano.

L’area marina protetta di Punta Campanella, i Campi Flegrei col Monte Nuovo, i Monti Lattari, insieme ad altre zone limitrofe, sono stati perlustrati alla ricerca delle piante spontanee tipiche della macchia mediterranea: ginestra, corbezzolo, lentisco, cisto, rosmarino, mirto, elicriso. Insomma, una grande ricerca affinché l’Aiuola Verdetufo, recuperando la memoria di un paesaggio perduto, si possa porre come antidoto alla grave carenza di verde pubblico della città di Napoli, oltrepassando il limite che la speculazione edilizia, condotta sulla collina del Vomero durante lo scorso secolo, ha generato.

Il dramma dell’eroina rappresentato allo scalone Aldo Giuffrè – Foto: Matilde Di Muro

Gubitosi e le opere del suo atelier

Di tutto questo ci ha dato testimonianza diretta e appassionata l’artista Andrea Gubitosi in questa videointervista, guidandoci a visitare i suddetti luoghi e rilasciando ai nostri microfoni una videointervista. Questo progetto artistico-ambientale, maturato durante i suoi studi condotti presso l’Accademia di Belle Arti di Napoli, è stato oggetto di una tesi di laurea acclamata e riconosciuta meritevole di lode da tutto il corpo docente. Contestualmente all’iniziativa di Aiuola Verdetufo, il maestro Gubitosi, che ha già realizzato interessanti performance e installazioni site-specific di chiara matrice concettuale, ci ha mostrato, presso il suo atelier, tre opere da lui realizzate per raccontare in maniera oltremodo poetica la sua visione estetica.

Con la prima ha descritto l’impegno fisico profuso coralmente per la realizzazione del progetto, e lo ha fatto attraverso una damigiana di vetro nella quale, ad ogni clean up, è stata versata una certa quantità di latte. Ad ogni appuntamento il livello di tale liquido – che intanto diventava acido – cresceva proporzionalmente all’acido lattico prodotto dai muscoli per lo sforzo fisico impiegato nella pulizia dell’aiuola. La seconda opera è un’installazione che evoca il luogo fisico oggetto di riqualificazione ambientale: una pietra, dalla forma prismatico-triangolare, come scultura naturale, è accostata ad un vecchio vomere. Infine, la terza racconta del dramma dell’eroina che, come una serpe, si è infiltrata nella vita di tanti e tante mutandola. Si tratta di un’opera concettuale realizzata attraverso un terrarium, che diventa una bacheca per custodire parte degli oggetti trovati nell’Aiuola Verdetufo: siringhe, un accendino e un cucchiaio che fuoriesce dalla pelle abbandonata dalla muta di un serpente, a memoria di un veleno mortale che ha segnato un’epoca.

La damigiana di Gubitosi – Foto: Matilde Di Muro

Dall’Aiuola un grande messaggio di civiltà e di sensibilità ambientale

Insomma tutto ci parla di una sorprendente intelligenza divergente e di un grande potenziale creativo, messi in campo per un fare artistico dialogante, a servizio di ogni possibile forma di vita e in sintonia con l’ambiente.

L’azione corale dei giovani che si sono impegnati negli appuntamenti settimanali di Clean Up, e che continueranno a dare vita a questa magnifica visione del maestro Andrea Gubitosi, è testimonianza pubblica dei valori di cura e coesione, proponendo un esempio civico possibile, sostenibile e riproducibile nelle tante zone che hanno tristemente vissuto la stessa storia. Dunque, oltre ad aver voluto dare notizia di questa meritevole iniziativa di recupero ambientale, abbiamo voluto condividere appunti di viaggio simili a quelli lasciati dagli esploratori di un tempo, con la differenza che il nostro è stato un percorso metropolitano alla scoperta di memorie antiche e moderne per il recupero futuro di uno straordinario paesaggio. Lo stesso su cui Goethe ebbe modo di scrivere: “Da quanto si dica, si narri, o si dipinga, Napoli supera tutto: la riva, la baia, il golfo, il Vesuvio, la città, le vicine campagne, i castelli, le passeggiate… Io scuso tutti coloro ai quali la vista di Napoli fa perdere i sensi!

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