L’ingresso del museo – Foto: Simona Colletta
Si estendono su un’area di 4.000 metri quadri due delle più grandi mostre romane d’autunno.
a cura di Simona Colletta
A Roma, dal 31 ottobre 2025, fino al 15 febbraio 2026 saranno riunite sotto lo stesso tetto, accanto ad opere dell’ingegneria e dell’architettura militare, le creazioni di due grandi protagonisti dell’estro umano: la fotografa Vivian Maier e l’artista Ugo Nespolo.
Il Museo del Genio: un tesoro di storia militare e tecnologia
La location, unica e rinnovata, è la sede dell’ISCAG – Istituto Storico e di Cultura dell’Arma del Genio dell’Esercito italiano.
Costruito negli anni ‘30 del Novecento, esso è stato inaugurato come Museo dell’Ingegneria militare italiana, ma oggi è conosciuto come Museo del Genio. Al suo interno custodisce un vastissimo patrimonio documentale: una ricca biblioteca scientifica di oltre 24.000 testi datati anche al XVII secolo; un archivio fotografico con oltre 30.000 negativi e stampe che ritraggono fortificazioni italiane, soldati e popolazioni locali; un archivio storico-iconografico con oltre 20.000 pezzi databili dal XIV secolo; un archivio storico con circa 150.000 documenti del XVIII secolo. Inoltre, nei suoi spazi si conservano l’attrezzatura radiotelegrafica originale di Guglielmo Marconi e uno dei primi esemplari di telefono, realizzato da Antonio Meucci. Nella sezione dedicata al volo e alle ferrovie è invece documentata la genesi dell’Aeronautica Militare Italiana, nata come specialità del Genio.

Il cortile interno con alcune delle opere di Nespolo – Foto: Simona Colletta
L’ingresso del museo è situato su Lungotevere della Vittoria 31 e la facciata rispetta i canoni architettonici razionalisti e neoclassici dell’epoca. L’aspetto è quello di una fortezza militare con un’esedra monumentale e due torrioni laterali. Varcato l’ingresso si accede direttamente al cortile centrale dedicato alla protettrice dei genieri, Santa Barbara. L’ambiente richiama le geometrie e le atmosfere metafisiche del quartiere Eur e i materiali di costruzione – travertino e mattoncini – celebrano la classicità dell’antica Roma. Dal cortile si accede al Sacrario costituito da tre navate, le cui pareti sono rivestite di marmo, e da un’abside che ospita un’ara di marmo nero, donata dagli ufficiali del Genio. Le nove finestre sono abbellite da vetrate decorate in stile liberty da Duilio Cambellotti (1876-1960), lo stesso che realizzò le vetrate della Casina delle Civette di Villa Torlonia e i lampioni dell’ingresso della Centrale Montemartini a Roma. Sopra il Sacrario si eleva una torre quadrangolare alta settantasette metri a cui, aggiunti i sette metri del pennone, viene conferito il quinto posto come edificio più alto della capitale.
L’arte provocatoria di Nespolo
Nel bianco neutro della corte interna risaltano le otto installazioni colorate di Ugo Nespolo, esposte in anteprima mondiale al Museo del Genio.

Il cortile interno con alcune delle opere di Nespolo – Foto: Simona Colletta
L’artista, eccentrico e vivace, crede nella natura provocatoria dell’arte: essa deve entrare nella vita dello spettatore e deve suscitare stupore. È questo lo spirito con cui le sue sculture, piene di aria e naturalmente ondeggianti, rendono omaggio ad alcune delle icone della storia dell’arte: la Venere di Milo, simbolo della cultura classica; Sfera con sfera di Arnaldo Pomodoro; l’elegante Testa di Amedeo Modigliani; le buffe e giocose Ballon Dog di Jeff Koons e Yellow Pumpkin di Yayoi Kusama; il Pensatore, la scultura meditabonda di Rodin; Paloma di Botero e il ragno gigante Maman di Louise Bourgeois.

L’omaggio di Nespolo a Arnaldo Pomodoro – Foto: Simona Colletta
Pop Air è un inno alla leggerezza, al non prendersi troppo sul serio e al giocare a tutte le età, per meravigliarsi e sentirsi piccoli al cospetto dei voluminosi gonfiabili, che superano anche i cinque metri di altezza.
Il contrasto tra le geometrie, la luminosità del cortile Santa Barbara e le rotondità e i colori delle sculture suscitano l’esplosione di stupore a cui ambisce Nespolo, che non è altro che la scintilla dell’esperienza artistica.
Vivian Maier: una bambinaia appassionata di fotografia
La mostra Vivian Maier. The Exhibition occupa gli spazi interni del museo. Più di 200 fotografie per celebrare i cento anni della famosa tata fotografa, nata il 1° febbraio del 1926. Donna misteriosa e schiva, di professione bambinaia, coltivò in disparte il suo amore per la fotografia e le riprese. A lei si devono più di 150.000 negativi e la storia eccezionale legata al loro ritrovamento.

La locandina e due delle foto in esposizione – Foto: Simona Colletta
È il 2007 quando un giovane agente immobiliare, John Maloof, in una vendita all’asta acquistò il contenuto di un magazzino confiscato per un mancato pagamento. Moderno archeologo, egli si trovò a varcare un tempio sepolto e sconosciuto: l’archivio di Vivian Maier. La fotografa americana dagli anni Cinquanta agli anni Novanta guardò il mondo attraverso l’obiettivo, ritraendo tutto quello che la circondava: dai bambini che accudiva alle strade di New York e Chicago, lasciando un reportage inestimabile sulla vita delle metropoli americane di quel periodo.
Quello che colpisce nelle fotografie di Maier è la sua capacità di avvicinarsi alle persone senza turbare il loro spazio privato, mantenendo inalterata l’espressione del soggetto ritratto. Si muoveva con la sua Rolleiflex sempre al collo, con grazia e delicatezza, quasi fosse trasparente, nonostante la sua statura elevata. Il suo è un patrimonio ricchissimo non ancora scoperto completamente, come conferma Anne Morin, la più grande esperta e studiosa della vita dell’artista.

La Rolleiflex e un cappello della Maier in esposizione – Foto: Simona Colletta
Oltre ai meravigliosi bianco e nero realizzati con la Rolleiflex, sono esposte le immagini a colori scattate nei quartieri operai di Chicago con la Leica 35 mm: le cromie, aggiungendo spessore alle fotografie, sono intense e sature. La Maier fu una pioniera delle immagini e non si limitò a cristallizzare gli istanti con la macchinetta, ma sperimentò anche la ripresa in movimento con la Super 8. Gli scatti sono frontali, senza artifici o montaggi, ma rendono perfettamente la complessità degli scenari in cui si muoveva silenziosamente.

Una delle sale dell’esposizione – Foto: Simona Colletta
Non fu il desiderio di fama che alimentò la fotografa, nonostante l’incredibile talento, ma lo spirito di ricerca: dai banchieri di Midtown ai senzatetto dimenticati; dal sogno americano al pianto dei bambini e al loro gioco assorto, per arrivare alla ricerca di se stessa negli intensi autoritratti. Tutte le esposizioni citate, dal materiale del Genio militare alle fotografie e alle statue gonfiabili, parlano dell’animo umano e della sua inesauribile ricchezza; dello sforzo di superare i propri limiti e degli incredibili risultati raggiunti in tutte le epoche.
