Parco Archeologico di Ercolano, il set dello spettacolo – Foto: Mario Severino
La rassegna culturale del Parco Archeologico di Ercolano, giunta alla sua quinta edizione, torna ad animare le sere di fine estate con un ricco programma di eventi.
a cura di Mario Severino
Gli Ozi di Ercole rappresentano un’occasione unica per vivere il fascino del sito archeologico in orario notturno e, allo stesso tempo, avvicinarsi ai valori della cultura antica attraverso spettacoli, letture e conversazioni con esperti.
Come da tradizione, ogni edizione sceglie un tema centrale: per il 2025 il filo conduttore è il rapporto tra mito e corpo. Il mito, infatti, costituisce un repertorio inesauribile di narrazioni che, dall’oralità alla letteratura, dalla filosofia alle arti figurative ha cercato di dare un senso all’esistenza dell’individuo e della comunità. Lontano dall’essere solo un retaggio del passato, esso si rinnova continuamente, trovando nuove forme di espressione nella contemporaneità.
Ercole e Geras
La rassegna si apre l’11 settembre con l’intervento della professoressa Cristiana Franco (Università per Stranieri di Siena), affiancata dall’attrice Imma Villa, protagonista di una celebre Fedra di Seneca al Teatro Antico di Siracusa. Il punto di partenza è proprio una delle gesta di Ercole, che dà il nome alla rassegna, ovvero la sconfitta di Geras, personificazione della vecchiaia, ipostatizzata in un vecchio ritenuto figlio della Notte (Esiodo, Theog., 225). Poiché la lotta dell’eroe con tale personaggio non è fra le dodici fatiche, nella tradizione letteraria ne è rimasta poca traccia, mentre è nota nella tradizione figurata popolare in cui questi è rappresentato in maniera grottesca.
Una pelìke a figure rosse del Louvre (G. 234), da Capua, che ha dato il nome al Pittore di Geras, mostra un vecchietto rinsecchito, dal gracile corpo ignudo, col mento appuntito e il naso adunco, che, appoggiandosi con la mano sinistra ad una gruccia, leva implorante la destra verso Ercole, che l’ha afferrato per la nuca e lo minaccia con la clava. In maniera non molto dissimile l’episodio è trattato su un’anfora di stile severo del British Museum (E. 290), attribuita al Pittore di Charmides, e su una pelìke attica del Museo di Villa Giulia in Roma, nella quale i due antagonisti si apostrofano a vicenda.
A differenza dell’ideale etico del vecchio ricco di esperienze, custode delle tradizioni, prodigo di saggezza e di consigli, in queste immagini viene rappresentata la vecchiaia grottesca e decadente ed il combattimento di Ercole potrebbe significare, figurativamente, il tentativo dell’uomo di scacciare questo inevitabile male. Non sappiamo se e in che modo l’eroe sconfisse la vecchiaia; probabilmente con l’uccisione, che gli avrebbe fatto guadagnare una giovinezza perenne.

Un momento dello spettacolo – Foto: Mario Severino
La metamorfosi della vecchiaia
Il tema della vecchiaia viene trattato in relazione a quello della metamorfosi: l’invecchiamento è visto come una trasformazione in cui l’essere umano assume altre sembianze. Il famigerato enigma della sfinge dà un esempio di come la crescita e la senescenza di un individuo ne facciano cambiare l’aspetto, addirittura rendendolo da quadrupede a bipede e successivamente tripede tramite l’ausilio di un bastone.
Il corpo è descritto come un teatro di mutamenti. Cristina Franco si lascia anche andare a riflessioni sulla fisicità e la vecchiaia nella società attuale, citando interventi di cosmesi e di chirurgia plastica che tendono a evitare questa trasformazione o quanto meno a illudere che questa non avvenga.
Imma Villa legge un passo delle Metamorfosi di Ovidio in cui viene descritta appunto la senescenza di Milone e di Elena. Vengono prese in esame queste due figure, rispettivamente raffiguranti l’emblema dell’uomo più forte e della donna più bella che vedono il loro corpo decadere, tanto da non riconoscersi più, proprio come se fossero stati oggetto di una trasformazione.
Il discorso prosegue con due figure del mito che danno il nome all’intervento e che rappresentano la metamorfosi della vecchiaia: Titono e Sibilla.
Titono
Titono (in greco Τιθωνός) era un giovane principe troiano, fratello di Priamo. Era bellissimo e per questo si innamorò di lui Eos (Aurora), la dea dell’alba. Ella chiese a Zeus di concedergli l’immortalità, così che potesse restare sempre con lei. Zeus accettò, ma Eos commise un errore: si dimenticò di chiedere anche l’eterna giovinezza. Così Titono, pur non potendo morire, continuò a invecchiare senza fine. Diventò sempre più vecchio, fragile e decrepito, fino a ridursi a una voce flebile, senza forza. In alcune versioni del mito, Eos, impietosita, lo trasformò in una cicala, insetto che canta senza sosta ma ha un corpo fragile: simbolo di una vita che resta senza morte, ma anche senza vigore. L’unico elemento che rimane immutato quindi nella senescenza è la voce.
Imma Villa recita alcuni frammenti poetici di Saffo che cita Titono come esempio della vecchiaia inevitabile, contrapponendo il destino umano alla bellezza giovanile che svanisce. L’immortalità senza giovinezza, quindi, non è una benedizione ma una condanna. Questo è un riflesso della concezione greca della vita: la finitudine (cioè l’avere un inizio e una fine) fa parte della bellezza dell’esistenza umana.
Villa legge poi dei passi dell’Ars poetica di Orazio che descrive i diversi stadi della vita dell’uomo, indicando quali comportamenti e caratteristiche deve avere ciascun personaggio se rappresentato in poesia o a teatro. Quando parla della vecchiaia, Orazio sottolinea alcuni tratti tipici: il vecchio è incline alla prudenza e alla saggezza, ma è anche timoroso, incerto, lento nell’agire; spesso si pente, è diffidente e lamentoso, tende a elogiare il passato e a criticare le novità; non ha più slanci né passioni forti come i giovani. Per Orazio la figura del vecchio nell’Ars poetica rappresenta l’esperienza e la riflessione, ma anche la debolezza e il declino, fisico e morale, tipico dell’ultima età della vita.
Sibilla
L’altro personaggio preso in esame è la Sibilla Cumana. Il mito la descrive come una fanciulla di rara bellezza di cui Apollo si innamora, ricoprendola di doni. La leggenda racconta che la Sibilla un giorno avesse raccolto un pugno di sabbia e avesse chiesto ad Apollo di vivere tanti anni quanti i granelli di sabbia che teneva in mano. Il dio esaudì il desiderio, ma lei dimenticò di chiedere l’eterna giovinezza, condannandosi ad un destino simile a quello di Titono. Così visse secoli, diventando sempre più fragile e decrepita, finché del suo corpo non restò che la voce.
Imma Villa legge, dunque, il passo delle Metamorfosi di Ovidio in cui Enea, risalendo dagli inferi, incontra la Sibilla, la quale gli racconta la sua storia. Anche su di essa si è detto che invecchiando rimpicciolì sempre più fino a diventare simile ad un insetto e ad essere chiusa in un’ampolla. Come per Titono, l’unica cosa che resta immutata di questo personaggio è la voce, onnipresente, che dichiara espressamente il desiderio di morte.

Un momento dello spettacolo – Foto: Mario Severino
Dal mito al jazz
Dopo la sezione letteraria il direttore del Parco, Francesco Sirano, introduce il concerto del progetto musicale Linha de Passe, con Maria Pia De Vito (voce), Roberto Taufic (chitarra) e Roberto Rossi (batteria). Il gruppo intreccia tradizione napoletana e musica brasiliana, mostrando sorprendenti affinità tra culture apparentemente lontane.
Sirano sottolinea come mito e jazz condividano un metodo comune: partire da elementi noti e popolari per sviluppare variazioni infinite. Così, Maria Pia De Vito esplora le possibilità espressive della voce, mescolando sperimentazione e tradizione, in un dialogo musicale che attraversa epoche e continenti. Il concerto propone in gran parte brani di Chico Buarque, tradotti in napoletano. Particolarmente toccante l’esecuzione di Angelica, dedicata a Zuzu Angel, stilista brasiliana che cercò invano la verità sulla scomparsa del figlio Stuart, vittima della dittatura militare, ufficialmente dato per disperso. La donna morì poi nel 1976, in un sospetto incidente d’auto a Rio de Janeiro, e non fu mai in grado di scoprire dove si trovasse il corpo di Stuart Angel. Nel 1998, la Commissione Speciale sulle Sparizioni Politiche riconobbe la dittatura militare come responsabile della morte della stilista. Una storia di dolore e resistenza che, come i miti antichi, continua a parlare al presente.
