Devastation by fire – Foto: Menandros Manousakis

Il fenomeno degli incendi rappresenta da anni una delle principali minacce al patrimonio forestale italiano.

Trend in diminuzione ma con differenze tra Nord e Sud

Secondo quanto riportato dall’ultimo report dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA), relativo all’anno 2024, in Italia gli incendi boschivi hanno colpito circa 45.783 ettari di territorio, con un netto calo pari al 52% rispetto all’anno precedente. Di questi circa 8.890 erano ricoperti da aree forestali, mentre la restante parte ha coinvolto superfici agricole. Tali numeri, per quanto testimonino l’efficacia crescente delle politiche di prevenzione, tuttavia evidenziano la sussistenza di una problematica che continua a destare preoccupazione. Significativo in questo senso è il dato per cui il 27% delle superfici forestali incendiate si trova all’interno di aree naturali protette, a testimonianza di come sia necessario investire ulteriormente nella salvaguardia di habitat particolarmente sensibili e vulnerabili.

Gli incendi non sono distribuiti in modo uniforme sul territorio nazionale, bensì rispecchiano le differenze sia climatiche sia anche di approccio gestionale e di prevenzione, variando dunque di regione in regione. Infatti, quelle settentrionali, come Piemonte, Valle d’Aosta, Lombardia, Trentino-Alto Adige e Veneto, non hanno registrato eventi di rilievo grazie anche a una copertura vegetale meno soggetta alla propagazione del fuoco e a condizioni climatiche più temperate. Al contrario, il Mezzogiorno continua a presentare le maggiori criticità: la Sicilia è risultata la regione con la più ampia superficie percorsa dal fuoco, seguita da Calabria, Lazio, Sardegna, Campania, Puglia e Basilicata. La sola provincia di Reggio Calabria ha registrato oltre 10 km² di area forestale bruciata, pari al 41% del totale calabrese e al 10% del totale nazionale. Dati allarmanti emergono anche dalle province di Cosenza e Nuoro, rispettivamente con 9,4 e 8 km² di bosco incendiato.

Va inoltre sottolineata la rilevanza del problema a fronte della crescente pressione esercitata dal cambiamento climatico, con estati sempre più calde e secche; condizioni, queste, che incrementano le probabilità di propagazione degli incendi su vaste aree e che rendono più difficoltoso il rimboschimento delle aree colpite.

Effetti di un incendio – Foto: Giorgio Manusakis

Le cause degli incendi

Uno dei nodi cruciali dell’intera questione riguarda le cause degli incendi, che nel contesto italiano sono in larga misura riconducibili all’attività antropica. Secondo i dati resi disponibili da ISPRA, oltre il 95% degli eventi è provocato direttamente o indirettamente dall’essere umano. Tra questi, una porzione significativa è attribuibile a comportamenti dolosi, spesso legati a interessi economici specifici, come ad esempio le riconversioni illecite del suolo per fini agricoli o edificatori, oppure a dinamiche di gestione illegale dei pascoli, dove il fuoco viene utilizzato come strumento per rinnovare foraggi in modo non regolamentato.

Accanto a questi atti volontari, una quota rilevante di incendi è provocata da negligenze e comportamenti imprudenti: tra le cause più comuni vi sono l’accensione non autorizzata di fuochi in aree boschive, la bruciatura di residui agricoli in periodi climatici non idonei e l’abbandono di mozziconi di sigaretta, che in condizioni di vegetazione secca e temperature elevate possono facilmente diventare il punto di partenza di roghi difficili da controllare.

Ulteriore elemento che aggrava il rischio di incendi è lo stato di abbandono in cui versano molte aree montane e rurali italiane. La progressiva diminuzione delle attività agricole e pastorali ha portato all’accumulo incontrollato di materiale vegetale secco, che funge da combustibile naturale, incrementando così la probabilità di innesco e propagazione del fuoco.

La tutela normativa e la prevenzione

Ai fini della prevenzione e della lotta al fenomeno degli incendi boschivi un ruolo fondamentale è ricoperto dagli strumenti di tutela normativa, italiani ed europei.

Il sistema nazionale dedica un’attenzione specifica alla regolamentazione degli incendi boschivi con la Legge 21 novembre 2000, n. 353, che rappresenta il principale riferimento in materia. Essa definisce innanzitutto cosa si intende per incendio boschivo, individuandolo come ogni rogo che interessa superfici coperte da vegetazione forestale o da altre forme di copertura naturale, includendo anche aree agricole adiacenti che possono essere coinvolte dalla propagazione del fuoco.

Elicottero antincendio mentre carica acqua – Foto: Giorgio Manusakis

La normativa stabilisce inoltre una chiara ripartizione delle competenze istituzionali: allo Stato sono attribuite funzioni di coordinamento, indirizzo e supporto, mentre alle Regioni e alle Province autonome viene conferita la responsabilità primaria nella pianificazione, nella prevenzione e nella lotta attiva contro gli incendi. La legge prevede l’adozione obbligatoria dei piani regionali di previsione, prevenzione e lotta attiva, strumenti fondamentali che delineano le strategie operative e gli interventi di mitigazione del rischio, compresa l’individuazione delle aree più vulnerabili e la definizione delle risorse da impiegare. Aspetto particolarmente rilevante è la perimetrazione delle zone percorse dal fuoco, che consente non solo una valutazione precisa dei danni subiti, ma anche l’applicazione di azioni di tutela successive. Tra queste, va menzionato il vincolo di inedificabilità per almeno quindici anni sui terreni interessati da incendi boschivi, misura pensata per prevenire fenomeni di speculazione edilizia e per permettere il naturale processo di rigenerazione degli ecosistemi compromessi.

A livello europeo, la strategia di contrasto di tali eventi è parte integrante delle politiche ambientali e di protezione civile, che prevedono un coordinamento multilivello tra gli Stati membri. Di fondamentale importanza è il sistema European Forest Fire Information System (EFFIS), attivato nell’ambito del programma Copernicus Emergency Management Service, che fornisce immagini satellitari ad alta risoluzione e dati aggiornati in tempo reale. Questo servizio è determinante non soltanto per la fase operativa, consentendo di monitorare in modo tempestivo la propagazione degli incendi e di effettuare un pronto intervento, ma anche per la prevenzione e la valutazione del rischio a medio e lungo termine.

Tali tecnologie sono inoltre rafforzate dall’adozione, negli ultimi anni, di tecniche avanzate basate su intelligenza artificiale e algoritmi di machine learning, le quali hanno migliorato significativamente la precisione nel riconoscimento e nella classificazione delle aree maggiormente vulnerabili agli incendi. In Italia è proprio ISPRA ad aver sperimentato con ottimi risultati queste metodologie, analizzando grandi quantità di dati ambientali e meteorologici, prevedendo così con maggiore accuratezza i fenomeni di propagazione e contribuendo a ottimizzare le strategie di prevenzione e lotta attiva.

Inoltre, l’Unione europea ha potenziato negli ultimi anni il Meccanismo di protezione civile europeo, che facilita la cooperazione e la condivisione di risorse tra gli Stati membri in caso di emergenze di larga scala, come appunto gli incendi boschivi di vasta entità. Esso prevede la mobilitazione coordinata di mezzi aerei, terrestri e personale specializzato, assicurando un supporto tempestivo alle nazioni colpite e favorendo un approccio solidale e integrato alla gestione delle crisi ambientali.

Un Canadair mentre carica acqua – Foto: Pavlos Manousakis

Le strategie di rimboschimento e recupero

Al di là della prevenzione è fondamentale la fase di recupero ambientale successiva a un incendio boschivo. Essa rappresenta un momento cruciale non solo per la ricostruzione ecologica delle aree colpite, ma anche per la prevenzione di danni secondari e per la definizione di un nuovo equilibrio tra attività umane e ambiente naturale. In questo senso, l’efficacia degli interventi dipende in larga misura dalla capacità di adattare le tecniche di rimboschimento e di rinaturalizzazione al contesto ecologico specifico, evitando approcci standardizzati, talvolta dannosi, e optando invece per strategie coerenti con le caratteristiche floristiche, climatiche e geomorfologiche del territorio interessato.

Il ricorso a specie autoctone, selezionate in funzione della loro adattabilità ai suoli locali, alla resistenza al fuoco e al ruolo ecologico nella successione vegetale, è oggi considerato una prassi consolidata e auspicabile. L’impiego indiscriminato di arbusti e alberi esotici, finalizzato talvolta a una rapida copertura del suolo, può infatti generare squilibri ecologici duraturi, compromettendo la biodiversità originaria e la resilienza degli ecosistemi nel lungo periodo.

Accanto alla scelta delle specie, un ruolo di primo piano è assunto dalla valorizzazione dei processi di rigenerazione naturale. In queste aree, l’adozione di un approccio non interventista può risultare più efficace rispetto alla piantumazione artificiale, permettendo al suolo e alla vegetazione di ripristinare in modo autonomo le proprie funzioni ecologiche con il minor impatto umano possibile. Tuttavia, dove la distruzione è stata più severa o dove i cicli naturali risultano compromessi, è necessario affiancare alla rigenerazione spontanea tecniche di intervento attivo, come la semina diretta e la piantumazione controllata, da attuare con criteri agronomici precisi e sotto una costante supervisione tecnica. Tali pratiche devono essere integrate con un’adeguata manutenzione post-impianto, comprensiva di irrigazione, contenimento delle specie infestanti e protezione dalla presenza antropica.

Black and Green – Foto: Menandros Manousakis

Alcuni esempi di gestione dall’estero

Un ulteriore elemento da considerare nella fase di ricostruzione è la necessità di prevenire il dissesto idrogeologico, che spesso si manifesta in seguito alla perdita della copertura vegetale. Le radici degli alberi e degli arbusti, oltre a fornire stabilità ai pendii, favoriscono l’assorbimento dell’acqua piovana, riducendo il rischio di frane, smottamenti ed erosione superficiale. Per questo motivo, nei progetti di recupero post-incendio è fondamentale integrare la riforestazione con misure di ingegneria naturalistica e con un’attenta gestione idraulica del territorio.

Le esperienze internazionali offrono validi esempi di buone pratiche: in California, ad esempio, è stata sperimentata la gestione preventiva mediante fuochi controllati, noti come prescribed burns. Scopo di queste pratiche è quello di ridurre la biomassa combustibile accumulata sul terreno. Le stesse vengono svolte in condizioni climatiche favorevoli e sotto stretto controllo tecnico, riducendo al minimo il rischio di propagazione incontrollata.

Altro esempio virtuoso è quello dell’Australia, dove le tecniche tradizionali delle popolazioni aborigene, fondate su una conoscenza millenaria del comportamento del fuoco nei diversi ambienti, sono state recuperate e integrate nei programmi pubblici di gestione del territorio, con risultati positivi sia in termini ecologici – per la tutela della biodiversità e la rigenerazione controllata degli ecosistemi – sia sociali, grazie al coinvolgimento attivo delle comunità locali.

In Spagna, infine, si è investito in maniera sostanziale sulla prevenzione attraverso l’adozione di sistemi tecnologici avanzati, come reti di droni, sensori termici e geolocalizzazione in tempo reale. Tutto ciò consente un monitoraggio capillare delle aree forestali e una gestione predittiva del rischio. Questi strumenti permettono di rilevare con estrema tempestività i focolai d’incendio e di mobilitare le risorse in modo efficiente, contribuendo a ridurre i tempi di risposta e i danni complessivi agli ecosistemi.

Elicotteri antincendio in azione – Foto: Pavlos Manousakis

Oltre l’emergenza: una visione condivisa per la tutela forestale

Se i dati del 2024 mostrano una tendenza positiva nella riduzione degli incendi boschivi, sarebbe tuttavia un errore interpretare questo risultato come un definitivo passo in avanti. La realtà, più complessa, ci dice che la vulnerabilità dei nostri territori resta elevata e che la minaccia degli incendi è alimentata da fattori strutturali: l’abbandono delle aree rurali, la pressione esercitata dal cambiamento climatico, i comportamenti dolosi o negligenti, le disuguaglianze nella gestione territoriale. Le norme, le tecnologie e le strategie messe in campo, da un lato, rappresentano strumenti indispensabili a cui dobbiamo i miglioramenti statici intervenuti nell’ultimo anno, ma dall’altro non sono ancora sufficienti. La vera sfida consiste nel costruire un sistema integrato e lungimirante, capace di prevenire il rischio prima ancora che si manifesti, andando ad agire sulla mentalità collettiva; intervenendo sull’implementazione dei valori del rispetto dell’ambiente e di una visione ecologica mirante a prevenire il propagarsi di determinati fenomeni come gli incendi. Prevenire un evento di questo tipo non è dunque solamente un intervento tecnico, ma una scelta culturale ed ecologica. Significa riconoscere il valore degli ecosistemi forestali come infrastruttura vitale per la collettività e agire di conseguenza. Significa anche coltivare una responsabilità condivisa, in cui istituzioni, cittadini e territori cooperano per custodire ciò che non può essere sostituito. Solo così potremo trasformare l’attuale risposta all’emergenza in una strategia di lungo periodo, fondata sulla conoscenza, sulla cura e su un rapporto più equilibrato tra uomo e ambiente.

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