Money – Foto: Giorgio Manusakis

La corruzione è un fenomeno che ha attraversato la storia dell’uomo, assumendo forme diverse a seconda dei contesti politici, sociali ed economici.

A riprova di quanto affermato nel sottotitolo, basta leggere tra le pagine della storia. Per ingraziarsi il favore di una divinità, di un re, di una donna o anche per essere eletti, gli uomini dell’antichità erano soliti offrire un compenso, inteso nella sua accezione più ampia.

La corruzione nella storia

Pagare per ottenere un trattamento di favore, come detto, non è un fenomeno esclusivo dei nostri tempi, ma una costante di tutte le epoche, che ha interessato tutte le civiltà, indipendentemente dalla loro evoluzione, ed è stata anche una pratica in molti casi tollerata, per non dire istituzionalizzata. Lo studio della corruzione nella storia è legato soprattutto a grandi personaggi del passato che, sebbene illustri e, talvolta, con molti pregi, sono stati accusati di comportamenti discutibili in quanto ispirati dalla bramosia del potere o del denaro.

Dante e Beatrice incontrano Raab e Folchetto da Marsiglia, che denuncia la corruzione del clero – Autore: Giovanni di Paolo – Licenza: Public domain, via Wikimedia Commons

Indipendentemente dalla realtà dei fatti, il primo episodio di corruzione, in un’accezione molto ampia, ce lo narra la Bibbia nel libro della Genesi: all’inizio della creazione Eva viene corrotta dal serpente ma a sua volta corrompe Adamo; entrambi, infatti, sono lusingati dalla possibilità di avere l’assoluta conoscenza del bene e del male, diventando come Dio.

Vincenzo Gesualdo – Tentazione di Adamo ed Eva – Olio su vetro – Secondo quarto del XVII sec. – Museo di Capodimonte, Napoli – Foto: Giorgio Manusakis

La corruzione nelle antiche civiltà

Al di là di quanto raccontato nel testo biblico, in riferimento a situazioni sulle quali gli storici hanno scritto si può dire che nelle prime civiltà della Mesopotamia (parliamo del IV millennio a.C.), come quella sumera, assira, babilonese o egiziana, il dono e la prestazione illecita furono pratiche consentite; la corruzione fu considerata, dunque, un comportamento socialmente riconosciuto e talmente giusto che veniva ritenuto colpevole non chi offriva ma chi rifiutava l’offerta. In altre parole, la regola dominante era quella della reciprocità e la corruzione non era un reato. Questa situazione permane anche con le prime leggi scritte del II millennio a.C. Con il Codice di Hammurabi vigono la regola della reciprocità e lo scambio di un dono per un favore, ma viene riconosciuta una esenzione da tali norme per i soggetti che non hanno i mezzi per adeguarsi.

Nella Grecia antica del I millennio a.C. si comincia con maggior consapevolezza a considerare lo scambio di regalie e favori un reato e quindi un pericolo dal quale doversi difendere nell’interesse della collettività. Nel V secolo a.C., allo scopo di scoraggiare la corruzione ad Atene, Pericle introdusse la mistoforia (un’indennità giornaliera riconosciuta a chi ricopriva cariche pubbliche, sino ad allora gratuite) che avrebbe dovuto stimolare una partecipazione anche dei ceti meno abbienti alla vita politica. L‘iniziativa non sortì gli effetti sperati, anzi, gli eletti, come i membri dell’Ecclesia o i magistrati, a seconda delle funzioni che esercitavano, iniziarono a vendere il loro voto o a decidere a favore dell’uno o dell’altro per denaro.

Celebri sono le accuse mosse a Demostene, personaggio che, secondo Plutarco, fu implicato nell’ “affare Arpalo” (dignitario macedone che si impossessò del bottino di guerra di Alessandro e riparò ad Atene), con la sparizione di una grande somma di denaro che sarebbe stata utilizzata per corrompere politici ateniesi; o ancora la vicenda dello scultore Fidia, chiamato a sovraintendere i lavori del Partenone, il quale fu imputato e giudicato per essersi appropriato di parte dell’oro destinato alla statua di Atena. Pur non essendo mai stato accusato di corruzione in senso proprio, anche Pericle venne messo in discussione: per mantenere il potere personale attraverso la democrazia egli doveva tenere sempre alto il consenso che lo circondava e lo fece sfruttando la propria ricchezza.

Ritratto di Pericle – Marmo – Copia del I sec. d.C. da originale greco del 430 a.C. ca. – Altes Museum, Berlino – Foto: Giorgio Manusakis

Lo scenario nella Roma repubblicana

É altrettanto risaputo, poi, come anche nell’antica Roma personaggi noti e influenti abusassero della propria posizione, del proprio potere e della propria forza economica per tornaconto personale. Il primo e più diffuso crimine connesso alla corruttela, espressione di una sfrenata ambizione politica, fu l’ambitus, che ricomprendeva quelli che oggi chiamiamo “brogli elettorali”, ovvero tutte quelle condotte illecite finalizzate a influenzare gli elettori, determinando indebito accaparramento di preferenze (come la compera di voti o il voto di scambio, cioè la promessa di ricompense future in cambio di voti). Esso può essere considerato il fenomeno corruttivo che, probabilmente, più pesò sulla progressiva degenerazione delle istituzioni romane, raggiungendo il suo culmine nel I secolo a.C.

Dal punto di vista legislativo si cercò di arginare il fenomeno, anche se non sempre i provvedimenti emanati furono espressione di una concreta volontà di combatterlo. Gli storici ritengono che la prima legge che si occupò in qualche modo della corruzione elettorale fu la Lex Poetelia de ambitu, promossa nel 358 a.C. dal tribuno della plebe Caio Petelio contro coloro che erano soliti girare le piazze e i mercati per farsi propaganda. Con la Lex Calpurnia de repetundis, approvata da Lucio Calpurnio Pisone nel 149 a.C., furono previste sanzioni per il crimen repetundàrum, cioè estorsione, corruzione e captazione dei doni da parte di magistrati che li sottraevano alla comunità. Si tratta, però, di giudizi finalizzati al risarcimento dei danneggiati piuttosto che alla persecuzione di un reato. Di qualche decennio dopo è la Lex Acilia repetundàrum, emanata nel 123 a.C. su iniziativa di Caio Gracco. Essa segnò una prima inversione di tendenza, poiché venne sancito il principio che il procedimento doveva essere finalizzato alla punizione del colpevole e non alla semplice condanna a pagare un indennizzo.

François Topino-Lebrun – Morte di Caio Gracco (1792) – Licenza: Public domain via Wikimedia Commons

La Lex Cornelia (Sullæ) de repetùndis, promulgata nell’81 a.C., su iniziativa di Silla, andò a mitigare il più rigoroso orientamento della Lex Acilia per seguire quello politico del Senato e del dittatore che lo rappresentava. Essa conteneva disposizioni più miti in ordine alla persecuzione del reato e, per quanto è noto, prevedeva certamente la riduzione della pena pecuniaria in simplum (di fatto il controvalore del maltolto). In tema di corruzione elettorale importante fu la Lex Calpùrnia de àmbitu, emanata nel 67 a.C. su ispirazione del console C. Calpurnio Pisone, che stabilì, oltre ad una sanzione pecuniaria, la pena dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici e dal seggio dei senatori. Successivamente, nel 59 a.C., fu la volta della Lex Iulia repetundàrum, la quale si prefisse di punire il soggetto che chiedeva denaro in cambio di provvedimenti giudiziari o amministrativi. Si assiste così al ripristino di un certo rigore in quanto, pur riprendendo la Lex Cornelia, vennero introdotte varie pene accessorie a carico del condannato: ineleggibilità in ruoli pubblici; rimozione dalle cariche ricoperte; incapacità di testimoniare, di essere giudice e di rappresentare altri in giudizio.

Di fatto, anche i provvedimenti legislativi a poco valsero, visto che in tutto il periodo repubblicano non mancarono casi eclatanti di malaffare. Ad esempio Giugurta, re della Numidia, riuscì a corrompere i senatori romani con l’oro per mantenere l’indipendenza del suo regno; Marco Porcio Catone, detto ‘il Censore’, grande sostenitore delle virtù di Roma e uomo probo, venne accusato 44 volte di corruzione (molte volte ingiustamente, forse per danneggiarne l’immagine). Per Cicerone tale questione (siamo proprio nel I secolo a.C.), come sottolineato nelle Verrine (titolo originale In Quintum Caecilium divinatio – In Gaium Verrem actio prima – In Gaium Verrem cationi secundae libri I – II), ebbe una valenza soprattutto culturale, prima che giuridica. Ed è per questo che l’illustre giurista sostenne, nel Foro Romano, nel 70 a.C., l’accusa contro il propretore Gaio Licinio Verre, reo di concussione, per avere manovrato a suo piacimento il sistema di aggiudicazione degli appalti nella provincia di Sicilia. Cicerone nella sua arringa si preoccupò di chiedere una condanna che potesse essere di monito per i potenti e nel contempo lanciò un messaggio contro un fenomeno che aveva raggiunto livelli preoccupanti.

Ritratto di ignoto, cd. Cicerone – Copia moderna (XVIII sec.) da originale del I sec. a.C. – Museo Archeologico Nazionale di Napoli (Mann) – Foto: Giorgio Manusakis

L’età imperiale

In età imperiale la corruzione si trasformò e a poco valsero le riforme che furono messe in atto da Augusto, che avviò un ampio progetto di rinnovamento morale e politico dell’ecumene. Le sue norme miravano, sì, al consolidamento del suo potere, ma anche alla lotta contro la decadenza dei costumi pubblici e privati.

Con la Lex Iulia de ambitu (18 a.C.) Augusto cercò di perseguire la corruzione elettorale. Essa prevedeva la pena dell’esclusione dalle magistrature e dell’esilio per chi acquistava voti per ottenere incarichi pubblici. Con la Lex Iulia de repetundis (che riprese e riformò l’omonima legge di epoca repubblicana), l’imperatore si prefisse di combattere i governatori provinciali corrotti, prevedendo pene più severe e introducendo sistemi di controllo diretto.

Tuttavia, al mutare della situazione politica si accompagnò un adattamento a nuove forme di corruzione che mirarono sempre più in alto. Le tangenti non furono più finalizzate all’acquisto di voti o di posti nell’amministrazione e nell’esercito, ma vennero usate per raggiungere le cariche più elevate. Le reti clientelari continuarono a dominare la politica, soprattutto a livello locale, e la necessità di sostegno politico e militare spinse gli stessi imperatori a sorvolare su certe pratiche. Inoltre Augusto, creando un’amministrazione centralizzata, rese difficile, se non impossibile, il controllo diretto delle province e con esse dei procuratori imperiali, che spesso furono coinvolti in abusi e arricchimenti personali. Emblematico il caso del ricchissimo senatore Didio GiulianoMarcus Didius Salvius Julianus – che nel 193 d.C. acquistò la carica di imperatore ‘all’asta’ dai pretoriani, promettendo loro un ricco compenso, salvo poi essere assassinato dopo poco più di 2 mesi.

Secondo diversi storici fu proprio questa ‘vena corruttiva’ a decretare la fine dell’Impero. 

Come puntualmente scritto da Ramsey McMullen (storico statunitense fra i più grandi studiosi dell’antica Roma) nel suo libro La corruzione e il declino di Roma, la progressiva perdita di etica nella gestione della res publica determinò effetti devastanti, che sono stati ricostruiti attraverso testi classici, iscrizioni, reperti archeologici (ad esempio il rinvenimento di targhe in cui sono riportate persino le tariffe delle tangenti). Secondo l’eminente autore, mentre nella prima fase imperiale, fino al II secolo d.C., era tollerato il favoritismo, successivamente, fra il III e IV secolo, si estorceva e si comprava di tutto (sentenze, promozioni, incarichi, onori) grazie alle ambiguità delle numerose leggi, di cui approfittarono avidi burocrati, sfruttando l’isolamento dell’imperatore. Così diceva Tacito nei suoi Annales (libro III,27): “Corruptissima re publica plurimae leges”; quando lo Stato è molto corrotto, la legalità viene meno e le leggi si moltiplicano.

Secondo MacMullen, questa ‘privatizzazione’ dell’impero, giunta nel momento cruciale delle invasioni barbariche, fu tanto deleteria da contribuire in modo sostanziale alla fine dell’ecumene.

Statua di Augusto divinizzato assimilato a Giove – Bronzo – Da Ercolano, Augusteum – Metà del I sec. d.C. – Museo Archeologico Nazionale di Napoli (Mann) – Foto: Giorgio Manusakis

La corruzione: un male intramontabile

I secoli che seguirono, sino ai giorni nostri, non sono stati migliori e la corruzione, come un virus che diventa resistente ai vaccini, è stata capace di sopravvivere individuando i bersagli più idonei dove continuare a colonizzare. I fenomeni corruttivi, secondo alcuni, sono la naturale conseguenza di un’asimmetria sociale nella quale c’è chi comanda e chi è sottomesso, anche in democrazia. Ciò finisce per alimentare quella primigenia consapevolezza dell’animo umano di anteporre il proprio benessere personale a quello sociale, a tal punto da aggirare le regole, favorito da una burocrazia spesso connotata dalla poca trasparenza. In quest’ottica il fenomeno viene considerato come un male necessario per un fine giusto; come disse Winston Leonard Spencer Churchill (1874 –1965): “Un minimo di corruzione serve da benefico olio lubrificante per il marchingegno della democrazia”.

Invero, combattere la corruzione significa tutelare la legalità, garantire l’efficienza delle istituzioni e rafforzare il rapporto di fiducia tra queste ultime e i cittadini. Come scritto da Machiavelli nel De principatibus, lo stato non corrotto può essere solo quello senza disuguaglianze, in cui, grazie alle leggi, gli enti pubblici (da lui chiamati ‘ordini’) e le classi sociali non si prevaricano a vicenda a danno dell’interesse generale. Il percorso sembra ancora lungo, ma gli ultimi provvedimenti normativi, anche a livello internazionale, e la creazione di strutture ad hoc sembrerebbero (il condizionale è d’obbligo) indicare la via giusta: legalità, trasparenza ed efficienza sono i pilastri della moderna lotta alla corruzione perché, come insegna la storia, quando essa diventa sistema, il rispetto delle regole diventa purtroppo solo un’eccezione.

Specifiche foto dal web

Titolo: Divine Comedy Giovanni di Paolo (Dante e Beatrice incontrano Raab e Folchetto da Marsiglia, che denuncia la corruzione del clero)
Autore: Giovanni di Paolo
Licenza: Public domain, via Wikimedia Commons
Link: https://commons.wikimedia.org/wiki/File:1K002578_Divine_Comedy_Giovanni_di_paolo.jpg
Foto modificata

Titolo: Death of Gaius Gracchus
Autore: François Topino-Lebrun
Licenza: Public domain via Wikimedia Commons
Link: https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Death_of_Gaius_Gracchus.jpg
Foto modificata

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *