La copertina del catalogo della mostra – Foto: Stefania Rega

Le donne di inizio Novecento: un excursus tra arte e imprenditoria cinematografica.

L’Istituto LUCE: dalla propaganda di regime ai cinegiornali

L’Istituto LUCE è nato esattamente un secolo fa, con un decreto legge del 5 novembre 1925. Il suo scopo era educativo – infatti l’acronimo LUCE sta per “L’Unione Cinematografica Educativa” – e propagandistico. Il regime fascista di Mussolini lo concepì come un organo con il quale diffondere la cultura popolare e fare opera di istruzione attraverso le immagini, rivolgendosi soprattutto alle fasce più povere e quindi analfabete o semianalfabete della popolazione.

Negli anni seguenti, il LUCE ha prodotto i cinegiornali, è diventato un ente di produzione cinematografica e ha avuto una collocazione prestigiosa. Fu il Duce in persona a posare la prima pietra di quella che divenne la sua grande, scenografica sede: un edificio a forma semicilindrica con sale per la sincronizzazione, per la fotografia, un deposito pellicole, laboratori di vario genere e persino un parcheggio e una palazzina per il dopolavoro, a testimonianza del grande valore che si attribuiva alle immagini e alla nascente arte cinematografica.

I bombardamenti della seconda guerra mondiale danneggiarono notevolmente la grande struttura, che in seguito fu variamente rimaneggiata. Oggi, quella prestigiosa sede in zona Cinecittà, a poca distanza dai famosi teatri di posa, ospita il Municipio VII di Roma.

Un vasto archivio fruibile anche online

Nel 2012, grazie ad un accordo con Google, una raccolta di decine di migliaia di filmati è stata messa a disposizione del pubblico attraverso un canale YouTube. Ma anche il sito web dell’Istituto è una ricca miniera di dati e immagini. Si possono visionare cinegiornali e documentari realizzati a partire dagli anni Venti, video di repertorio sugli argomenti più vari, esplorare un enorme archivio fotografico e cinematografico e guardare focus su personaggi o eventi importanti, di un secolo fa o dell’altro ieri. E poi ci sono i fondi. Tra questi, vi è quello del cinema muto che non raccoglie, come potrebbe suggerire il nome, pellicole cinematografiche, bensì in massima parte fotogrammi tratti da film muti di inizio Novecento.

L’entrata della mostra – Foto: Stefania Rega

Il focus della mostra: 30 “InVisibili” protagoniste del cinema italiano

Frugando tra queste immagini, l’Archivio ha realizzato una delle mostre più originali e interessanti in corso nella città di Roma, dal titolo InVisibili, le pioniere del cinema è visitabile presso l’Istituto Centrale per la Grafica fino al 28 settembre.

Nel vasto lavoro di ricerca l’Istituto Luce è stato affiancato dal Centro Sperimentale di Cinematografia, dal Museo Nazionale del Cinema di Torino e dalla Cineteca di Bologna. Sono stati cercati e analizzati film completi o solo brevi sequenze, sono state lette sceneggiature e riviste d’epoca, sono state setacciate cineteche, anagrafi e anche archivi privati. Il risultato è una raccolta di 30 ritratti di donne che hanno, in varia misura e con vari ruoli, partecipato concretamente alla nascita del cinema, dagli anni Venti agli anni Quaranta del secolo scorso.

L’idea della mostra è quella di portare alla luce il contributo del mondo femminile allo sviluppo dell’arte cinematografica, che fin qui era stato totalmente dimenticato. Se si pensa a loro e al cinema degli esordi, infatti, si pensa ai volti sognanti delle dive del cinema muto, alle loro pose drammatiche, ai loro occhi gonfi di lacrime. In realtà, le donne fecero ben altro in quei primi decenni del secolo: furono registe, sceneggiatrici, montatrici, costumiste e fondarono diverse case cinematografiche – ad esempio la Dora Film di Elvira Coda – che di fatto resero possibile la nascita e lo sviluppo della nuova arte. È sorprendente come il gran lavoro che fecero venne subito dopo totalmente occultato, dimenticato: come se quelle donne non fossero mai esistite. InVisibili vuole rendere, appunto, di nuovo visibile il loro contributo.

Le locandine di due film di Elvira Coda – Foto: Stefania Rega

L’esposizione è organizzata in ‘capitoli’, che si succedono in ordine cronologico, ognuno dei quali è dedicato ad una donna di cui propone foto di scena e foto private, accanto ad una dettagliata biografia che è essenzialmente filmografia. La lista inizia con Elvira Coda Notari, prima in Italia a mettersi dietro una macchina da presa. Nata a Salerno ma vissuta a Napoli, fonda nel 1912 la casa di produzione cinematografica Dora Film, che poi avrà una sede anche a New York. Dirige oltre 60 lungometraggi e molti cortometraggi, firmando alcune sceneggiature e talvolta facendo anche da interprete. È una figura di estremo rilievo per l’intelligenza, l’intraprendenza e la curiosità. Uno dei lungometraggi più noti è La figlia del Vesuvio, ovviamente ambientato a Napoli, città-personaggio già allora.

Un’altra figura importante è quella della toscana Francesca Bertini, che debuttò con Eduardo Scarpetta e interpretò film leggendari come Assunta Spina, tratto da un dramma di Salvatore di Giacomo, e Sangue blu, che ne fecero una diva assoluta. Anche lei fondò una casa cinematografica, la Bertini Film, e recitò fino al 1976 quando entrò nel cast di Novecento di Bertolucci.

E poi Lotte Reiniger, pioniera del cinema di animazione; Maria De Matteis, costumista per cinema e teatro; Esterina Zuccarone, abilissima montatrice. Come si diceva, essendo 30 le “InVisibili” rese visibili in questa mostra, il materiale accumulato è notevole. E accanto alle loro figure è interessante soffermarsi sulle teche che propongono le sceneggiature originali scritte a mano, le lettere, le riviste dell’epoca. Ogni dettaglio, oggetto, ricordo è stato assemblato per ricostruire un’epoca vivace e propositiva, ma anche esteticamente affascinante.

La sceneggiatura di Paola Pezzaglia Greco – Foto: Stefania Rega

Le “InVisibili”: pioniere della comunicazione attraverso il cinema

Il grande merito della mostra è la riflessione sulle dinamiche che governano la trasmissione dei saperi. In questo caso specifico, è innegabile che la differenza di genere abbia determinato una differenza di valore intrinseco del contributo dato. Le pioniere del cinema hanno lavorato come gli uomini, hanno svolto un ruolo non secondario ma del tutto paritario. Non si può pensare di conoscere il grande schermo ignorando il loro apporto in termini di immagine ma anche e soprattutto in termini di investimenti economici, capacità tecniche e innovazione di linguaggio. Per lasciare una tangibile memoria del grande lavoro di ricerca della mostra, è stato realizzato un pregevole catalogo, pubblicato da Electa, dove i tanti fotogrammi dei film, spesso restaurati e colorati a mano, costituiscono un memorandum dell’avventura femminile nel neonato mondo del cinema.

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