Ritratto di ignoto, cd. Licurgo – Replica del I sec. d.C. da originale greco della seconda metà del IV sec. a.C. – Napoli, Museo Archeologico Nazionale (Mann) – Foto: Giorgio Manusakis
Licurgo è senza dubbio uno dei più famosi legislatori della storia, le cui riforme sono tuttora oggetto di studio e di interesse.
Parlare di Licurgo ancora oggi non è facile. Di questo personaggio, infatti, si sa veramente poco, nemmeno il suo vero nome. La maggior parte delle notizie che riguardano lui e la sua legislazione provengono da antichi scrittori, in un contesto in cui miti, leggende e storia si confondono. Pertanto, molti storici sono giunti alla conclusione che non fosse una figura storica, ma solo simbolica dell’antica Sparta.
Tuttavia al suo nome sono collegate riforme fondamentali come l’agoghé – il rigoroso sistema educativo militare spartano – e la creazione della Grande Rhetra (Μεγάλη ῥήτρα). Quest’ultima era un’antica costituzione nella quale venivano individuati gli organi di governo, le norme che ne disciplinavano il funzionamento, ma anche i criteri di strutturazione della società spartana, che vedeva di fatto tre classi sociali: gli spartiati (cittadini con pieni diritti), i perieci (uomini liberi ma senza diritti politici) e gli iloti (schiavi legati alla terra).
Licurgo e la sua legislazione
Licurgo è al centro della tradizione spartana in virtù del suo ruolo di principale legislatore. Le fonti antiche, rappresentate dai testi di Aristotele, Tucidide, Erodoto e Senofonte, offrono, in merito a tale figura, resoconti sintetici e frequentemente contraddittori. Ricca, invece, è la biografia fornita da Plutarco nella sua opera Vite Parallele, il quale, però, ammette la difficoltà di separare la realtà dalla leggenda: “del legislatore Licurgo non può dirsi universalmente nulla di certo: perché di sua famiglia, peregrinazione, morte, leggi e forma di governo scrivono diversamente diversi storici” (il passo è tratto dal testo “volgarizzato” da Marcello Adriani).

Ritratto di Plutarco – V sec. d.C. – Atene, Museo dell’Acropoli – Foto: Giorgio Manusakis
L’inquadramento cronologico della vita di Plutarco è dubbio. Alcune fonti collocano questo personaggio nel IX secolo a.C., mentre altre nell’VIII o addirittura nel VII secolo a.C. Proprio tale indeterminatezza sulla sua esistenza ha fatto ipotizzare che si tratti di una figura creata dalla leggenda per dare supporto a una serie di riforme promosse da diversi esponenti politici nel corso del tempo. Fatto sta che egli a Sparta era venerato come un semidio, tanto che venivano offerti dei sacrifici per onorarlo.
Secondo la tradizione, le riforme attribuite a Licurgo sarebbero state il frutto delle conoscenze da lui acquisite in lunghi viaggi presso altri popoli, che andarono poi a costituire la struttura portante delle leggi date alla città. Con tutti i dubbi che l’accompagnano, lo stesso Plutarco riferisce dettagliatamente delle sue peregrinazioni e di quanto da lui acquisito. Parla del suo viaggio a Creta, della sua conoscenza con Taleta di Gortina, che con suoi versi esortava i cittadini alla concordia e alla disciplina, riuscendo a dare un contributo fondamentale all’educazione musicale lacedemone. Secondo gli studiosi fu proprio questo poeta, invitato da Licurgo, che avrebbe organizzato nel 665 a.C. a Sparta le Gimnopedie. Si trattava di una festa in onore di Apollo, durante la quale due cori – uno di giovani, l’altro di uomini adulti – danzavano nudi (γυμνοί) cantando intorno alle statue di Apollo, Artemide e Latona. In questo modo, furono introdotti canti corali cretesi e si costituì la nuova scuola musicale lacedemone.
Licurgo avrebbe poi visitato l’Asia Minore dove, impressionato dai poemi omerici, avrebbe trascritto quei passi dell’Iliade e dell’Odissea che riteneva più significativi per il loro valore politico ed educativo. Infine, sarebbe giunto in Egitto, maturando qui la convinzione che i guerrieri avrebbero dovuto formare un ceto a sé stante, separato dalle altre classi sociali. La tappa cruciale del suo viaggio fu il santuario di Delfi, dove Apollo, per bocca della Pizia, sacerdotessa del dio, gli trasmise la Grande Rhetra.

Delfi, la dedica o consacrazione degli Spartani – Foto: Giorgio Manusakis
Insomma, a seguito di tali esperienze, Licurgo diede una organizzazione stabile a Sparta, stabilendo una suddivisione del popolo (il demos) in tribù (filài e obài), istituendo il consiglio degli anziani (la gerousia) e definendo tempi e modi per tenere le assemblee. Inoltre, da questo viaggio egli trasse una sorta di input per definire il sistema educativo degli Spartani (l’agoghé), scandendo le tappe della loro vita all’interno della città e spronandoli all’obbedienza, all’eroismo e alla moderazione.
La Grande Rhetra: il cuore della legislazione di Licurgo
Il fulcro dell’ordinamento politico e sociale spartano attribuito a Licurgo è la Grande Rhetra, che significa “grande pronunciamento”. Il suo contenuto ci perviene da Plutarco, che si sarebbe basato sulla perduta Costituzione degli Spartani di Aristotele. Essa – va precisato – non è un testo autonomo come la Costituzione degli Ateniesi, ma è un passo della Politica – libri II e VII – trattato nel quale il filosofo ateniese fa una serie di osservazioni critiche sul sistema politico spartano attribuito a Licurgo, facendolo risalire al X-IX secolo a.C.
Si riteneva che questo complesso di leggi (rhétrai) fosse ispirato o avallato dall’oracolo di Delfi. Questo aspetto divino, associato all’impegno di un popolo sì indomito ma anche rispettoso delle regole date, avrebbe rappresentato la ragione prima della lunga stabilità e invincibilità della città di Sparta. Il passare del tempo e gli studi più moderni non hanno dipanato la nebbia che circonda il testo legislativo, tant’è che si dibatte ancora oggi ampiamente sulla sua origine oracolare o sulla sua redazione assembleare, presentata come responso per darne forza.

Delfi, il Tempio di Apollo – Foto: Giorgio Manusakis
Massimo Nafissi, docente presso l’Università di Perugia, suggerisce come la Grande Rhetra non sia stata una legge effettivamente approvata in un dato momento, ma una ricostruzione voluta di un atto legislativo/oracolare da parte della comunità lacedemone. In questa prospettiva essa segnerebbe l’inizio della leggenda della costituzione spartana e non l’inizio della costituzione stessa. Nel testo originario Plutarco include un’appendice successivamente aggiunta dai re Polidoro e Teopompo (seconda metà dell’VIII secolo a.C.). Il complemento normativo afferma: “Qualora il popolo alteri la proposta prima di adottarla, gli Anziani e i re possono togliere la seduta” (Aì dè skoliàn ho damos hèloito, toùs presbygenèas kaì archaghètas apostatèras hèmen). Si trattava di una sorta di clausola di salvaguardia, che scattava qualora il popolo richiedesse modifiche e che consentiva ai re e ai gerontes (gli anziani) di non convalidare la delibera definita “storta”, allontanandosi e sciogliendo così l’assemblea. Di tale condizione si parla anche nell’Eunomia (Il buon governo) di Tirteo, poeta elegiaco spartano del VII secolo a.C. che fu una sorta di leader morale, capace di trasmettere gli ideali licurghei attraverso il pathos e il canto collettivo. Il testo, pervenutoci in forma frammentaria sempre da Plutarco, descrive la possibilità per i re e per la gerousia di non ratificare le leggi approvate con modifiche dall’assemblea, se contrarie agli interessi dello Stato.
La Grande Rhetra e le riforme chiave della legislazione licurghea: le istituzioni
Con la sua antica costituzione Licurgo rientrò a Sparta in un momento in cui la città era sull’orlo dell’anarchia, fissando delle regole non scritte che stabilirono la priorità del pubblico sul privato, in cui tutti badavano agli interessi della collettività. Tale obiettivo venne perseguito con l’istituzione di una struttura di governo che attribuiva un ruolo centrale ai due re, chiamati anche archegetai (i sovrani si succedevano per dinastia e provenivano da due diverse famiglie reali, gli Agiadi e gli Euripontidi), e alla gerousia. Quest’ultima corrispondeva al Consiglio degli Anziani, che aveva funzioni deliberative e consultive, essendo composto da 28 geronti di età superiore ai sessanta anni, eletti a vita dall’Apella, in aggiunta ai due re, membri di diritto. In buona sostanza, in un linguaggio più attuale, si può dire che a tale organo, insieme ai due monarchi, era riservato il potere di iniziativa legislativa.
Vi era, poi, l’Apella, l’assemblea di tutti i cittadini spartani che avevano superato i trent’anni, e l’Eforato, una magistratura composta da cinque efori con carica annuale, che erano i veri detentori del potere esecutivo ed avevano un potere di controllo, persino sulla condotta dei re.
Le fondamenta normative
La legislazione di Licurgo modellò profondamente la società spartana, poggiandosi su alcuni pilastri fondamentali:
- contrarietà all’accumulo di ricchezze: Licurgo sosteneva che gli spartiati non dovessero maneggiare denaro per evitare che la disuguaglianza economica causasse squilibri di potere. Per ottenere ciò fissò l’uso di pesanti monete di ferro, eliminando quelle preziose in oro e argento. Alla nascita, a ogni maschio spartano veniva assegnato un terreno, un kleros (κλήρος), che lo rendeva un cittadino a tutti gli effetti e che veniva poi affidato alla cura degli iloti. Questa terra non poteva essere venduta e, alla morte del proprietario, passava in eredità al primogenito per evitare un’eccessiva frammentazione del fondo. Inoltre, introdusse le mense pubbliche comuni – i sissizi (συσσίτιον) – che erano obbligatorie per tutti i cittadini. Tutto ciò, dunque, mirava a sradicare il desiderio di ricchezza, promuovendo una vita semplice e frugale uguale per tutti;
- priorità del pubblico sul privato: nessuno poteva vivere a suo piacimento; la città era come un accampamento dove tutti badavano agli interessi della collettività, considerandosi sempre al servizio della patria. In quest’ottica agli spartani era vietato dedicarsi ai lavori manuali, che erano una prerogativa assoluta degli iloti;
- un sistema educativo comunitario: l’agoghé (ἀγωγή), a cui tutti i bambini maschi, futuri cittadini, erano sottoposti a partire dai sette anni. La selezione, però, iniziava fin dalla nascita. Plutarco lo racconta, ma è ben presente nelle nostre reminiscenze scolastiche: se un neonato non era ben conformato, veniva gettato in una voragine sul monte Taigeto, in quanto non utile per la comunità; ma va anche detto che quanto scritto da Plutarco non trova conferme in altre fonti e, anzi, ulteriori studi storici e testimonianze archeologiche sfatano questo crudele mito. L’addestramento era estremamente rigido, di tipo militare, con un’educazione di base nella musica e nella matematica. I bambini dall’età di sette anni, con la supervisione centralizzata dello Stato, sarebbero cresciuti chiamando ‘casa’ il campo di addestramento militare e imparando quanto necessario ad assicurare la loro sopravvivenza. Un estremo rito di passaggio era il krypteia (κρυπτεία), durante il quale i giovani spartani ritenuti più idonei venivano inviati in campagna con pugnali per uccidere gli iloti. Aristotele asserisce che gli efori, appena insediati, dichiaravano guerra a questi servi per rendere legittima questa pratica. Solo al compimento dei trent’anni il giovane spartano era formato e avrebbe potuto vivere nella sua casa con la moglie e i suoi figli. L’obiettivo finale dell’agoghé era, dunque, formare cittadini in grado di comprendere le leggi, che avessero la capacità di svolgere il ruolo di membro dell’Apella;
- divieto di viaggi e di commercio estero: per preservare i costumi e i valori spartani, furono proibiti gli spostamenti all’estero per i cittadini e il commercio con altre poleis, limitando l’influenza esterna e mantenendo Sparta isolata culturalmente;
- sistema familiare e controllo delle nascite: oltre a quella che possiamo definire eugenetica legale (a proposito dell’eliminazione dei neonati malformi), la riforma di Licurgo favorì i matrimoni con funzioni eminentemente procreative, ammettendo (anche se la questione sulla sua funzione è molto dibattuta) forme di poliandria, o di prestito della moglie, per assicurare un futuro prospero alla città. Una testimonianza in tal senso ci proviene dallo storico greco Polibio (XII, 6 b, 8) che scrive: “Presso gli Spartani è costume che tre o quattro uomini, e anche di più se sono fratelli, abbiano una sola moglie, e i figli di costoro sono comuni. Ed è costume lodato che se uno ha avuto figli in numero sufficiente, ceda la moglie ad un amico”. Sempre in merito a questo argomento Plutarco ricorda la perdita della timè, ovvero il disonore che veniva inflitto a chi evitava il matrimonio.
Legislazione penale
Se il quadro dei diritti civili è ben delineato, per quanto riguarda il diritto penale va fatto un discorso diverso. Licurgo non delineò un codice specifico, con norme che stabilivano un comportamento vietato (precetto) e la relativa sanzione da applicare in caso di violazione (sanzione), ma si preoccupò di esaltare i principi alla base del suo dettato normativo. Egli teorizzò una filosofia che privilegiava la disciplina e la virtù civica sopra ogni cosa, prevedendo punizioni che non miravano alla vendetta, ma alla riaffermazione dell’ordine e all’educazione del cittadino. Veniva posta un’enfasi quasi assoluta sul diritto pubblico e sull’interesse della polis, per cui il reato era primariamente un’offesa alla comunità, non all’individuo. Per tale ragione, i comportamenti devianti erano puniti non tanto con pene fisiche, ma con discredito pubblico, esclusione sociale o religiosa.
La pena capitale era comminata per reati gravissimi quali il tradimento, la corruzione o il sacrilegio. Celebre il processo del 469 a.C. al re Leotichida II, raccontato da Erodoto nel libro VI delle Storie: “Οὐ μὲν οὐδὲ Λευτυχίδης κατεγήρα ἐν Σπάρτῃ, ἀλλὰ τίσιν τοιήνδε τινὰ Δημαρήτῳ ἐξέτεισε. Ἐστρατήγησε Λακεδαιμονίοισι ἐς Θεσσαλίην, παρεὸν δέ οἱ πάντα ὑποχείρια ποιήσασθαι ἐδωροδόκησε ἀργύριον πολλόν· ἐπ’ αὐτοφώρῳ δὲ ἁλοὺς αὐτοῦ ἐν τῷ στρατοπέδῳ ἐπικατήμενος χειρίδι πλέῃ ἀργυρίου, ἔφυγε ἐκ Σπάρτης ὑπὸ δικαστήριον ὑπαχθείς, καὶ τὰ οἰκία οἱ κατεσκάφη· ἔφυγε δὲ ἐς Τεγέην καὶ ἐτελεύτησε ἐν ταύτῃ.”

Ritratto di Erodoto di Alicarnasso – Copia romana del II sec. d.C. da originale greco del IV sec. a.C. – Berlino, Neu Museum – Foto: Giorgio Manusakis
(Tradotto con https://openl.io/it/translate/ancient-greek “ Non solo Leutichides non invecchiò a Sparta, ma anche per un tale motivo si rivolse a Demarato. Condusse in guerra i Lacedemoni in Tessaglia, e mentre era presente, cercò di ottenere molto argento per fare tutto ciò che era necessario. Ma preso in flagrante nel campo, e costretto a fuggire, lasciò Sparta sotto un processo, e le sue case furono distrutte. Fuggì a Tegaea e morì lì.”) Il processo a cui si accenna dimostra il potere effettivo degli efori e delle istituzioni repubblicane contro la monarchia e, soprattutto, la supremazia del bene dello Stato su tutto.
Per le altre violazioni gravi era prevista l’infamia (ἀτιμία) – con conseguente perdita dei diritti civili e politici – quindi l’esclusione dai sissizi, la proibizione di sposarsi o l’obbligo di mantenere il celibato, l’impossibilità di ricoprire cariche. In alcuni casi veniva inflitto anche l’esilio e spesso con esso, come misura aggiuntiva, la confisca dei beni. Sparta era molto rigida, anche austera, ma non giustiziava per reati minori, che spesso prevedevano punizioni morali, o al massimo simboliche, come la rasatura del cranio, l’esclusione dalle mense, l’isolamento.
Ciò premesso, le fonti storiche comunque fanno riferimento a principi penali e/o a misure punitive che possono essere ricostruiti basandosi sui contenuti della Rhetra e sulla prassi spartana:
- reati contro lo Stato e l’ordine sociale: vi rientravano il tradimento e la sedizione che erano considerati i più gravi, puniti con pene capitali o ostracismo (in casi estremi, l’abolizione della cittadinanza). La codardia era considerata un reato infamante che veniva punito con la perdita di diritti civili (ἀτιμία), l’emarginazione sociale e l’impossibilità di partecipare alla vita pubblica. Parimenti grave era ogni forma di indisciplina o deviazione dagli standard rigorosi dell’agoghé o della vita militare. Le punizioni potevano includere fustigazioni pubbliche, privazioni di cibo o altre forme di umiliazione, fino alla perdita del pieno status di cittadino;
- reati contro la persona e la proprietà: omicidio, furto e violenza sono reati scarsamente documentati, ma si ipotizza che fossero puniti secondo consuetudini e sentenze della gerousia o degli efori. A Sparta il furto non era condannato in sé, anzi veniva incentivato come pratica per sviluppare l’astuzia e l’abilità dei giovani in formazione. L’azione del rubare determinava la punizione (un certo numero di frustate), invece, nel caso in cui l’autore veniva smascherato, poiché dimostrava di non essere stato capace di farlo senza essere scoperto.
Le donne nella legislazione spartana
Un’ultima notazione va fatta per le donne, che nella Sparta militarista hanno molto più spazio che non altrove nell’antica Grecia. Ad esempio, nella democratica Atene vivevano prevalentemente in casa e quando uscivano indossavano un velo, mentre a Sparta era consentito loro fare ginnastica e sport nude, come da tradizione greca. Le lacedemoni, inoltre, potevano godere di diritti nella gestione delle proprietà familiari, così come ereditare e amministrare beni. In sostanza, potevano essere autonome economicamente, cosa che ad Atene potevano solo sognare.

Statua di ragazza detta ‘Mego’ – I sec. a.C. – Messene, Museo Archeologico – Foto: Giorgio Manusakis
Concludendo, in una legislazione severa, essenziale e sostanzialmente collettivistica come quella di Licurgo, che tanto ha fatto parlare storici e filosofi, antichi e moderni, è nel trattamento riservato alle donne che Sparta mostra il suo volto più misterioso. In un mondo come quello greco, in cui la condizione femminile è quasi di segregazione, le spartane non solo avevano visibilità, potevano uscire e partecipare ad eventi pubblici, ma erano anche ascoltate e, talvolta, temute. Plutarco ci descrive personalità educate alla forza, alla parola tagliente, alla fierezza materna, e Aristotele ne criticava addirittura l’influenza per l’eccessivo potere economico acquisito. La loro libertà, però, nasce da una necessità politica, in quanto dovevano rivestire un ruolo essenziale nella formazione dei figli e nella custodia dell’identità cittadina, soprattutto con gli uomini sovente fuori a guerreggiare. Lo Stato aveva tutto l’interesse a riconoscere e proteggere colei che era preposta ad assicurare non solo una riproduzione biologica, ma anche ideologica del corpo civico. In questo senso si mosse Licurgo, creando uno spazio al di fuori della politica (le donne non potevano votare e neanche rivestire cariche pubbliche), in cui le lacedemoni poterono esprimere un’inedita autonomia, sia pure in modo controllato, funzionale all’equilibrio di potere. Non solo cittadine, dunque, ma pilastri silenziosi dell’ethos spartano.
Il modello di Licurgo: sacrificio, educazione e moralità al servizio del bene comune
La figura di Licurgo ha attraversato i secoli come archetipo del legislatore ideale, capace di creare un ordine perfetto fondato sulla legge e sul sacrificio individuale per il bene comune. La sua eredità non si limita alla storia di Sparta e risuona ancora oggi nel dibattito sulla tensione tra libertà individuale e bene comune, fra tradizione e progresso e sul ruolo dello Stato nella formazione del carattere dei suoi cittadini. La sua influenza, più simbolica che pratica, lasciò comunque un’impronta duratura sul pensiero politico e filosofico. I principi della sua costituzione – eguaglianza tra cittadini, educazione pubblica, militarismo, primato del bene collettivo – hanno avuto un impatto su pensatori e legislatori, dal mondo antico fino all’età moderna, in senso positivo, ma anche negativamente. Ha ispirato filosofi come Platone e Aristotele, che ne riconobbero l’originalità, pur con riserve. Nei secoli moderni, pensatori come Rousseau e Montesquieu videro in Sparta un modello di virtù civica e disciplina. Anche figure come Napoleone ne ammirarono l’ordine, mentre nel Novecento alcuni regimi totalitari ne abusarono ideologicamente, ma si trattò di una semplificazione distorta di una società molto più complessa e lontana nei valori dalla modernità.