Cornelis Saftleven, ‘Sabba di streghe’ (1640 ca.) – Art Institute of Chicago – Autore foto: Sailko – Licenza: CC BY 3.0 via Wikimedia Commons
Analizziamo, in questa prima puntata di un nostro focus, le origini di una figura e di un fenomeno legati non solo all’ambito esoterico ma anche e soprattutto alla cultura popolare.
a cura di Mario Severino
Etimologia e prime citazioni
Da dove nasce la figura della strega? Il termine deriverebbe dal latino stryx e dal corrispondente greco στρίξ, i quali indicano un rapace notturno. L’etimo nasce probabilmente da un’onomatopea riferita al verso di questo uccello, “τρίζω”, corrispondente al verbo latino “strido, stridis”. La più antica storia relativa a tale creatura si trovava nella perduta Ornithogonia dell’autore greco Boeus, che però si è salvata parzialmente nelle Metamorfosi di Antonio Liberale, un grammatico greco del II secolo d.C. Quest’ultimo narra la storia di Polifonte e dei suoi due figli Agrios e Oreios, i quali furono puniti per atti di cannibalismo e dunque trasformati in strige, un uccello “che grida nella notte, senza cibo o bevanda, con la testa in giù e le estremità inferiori in alto, portatore agli uomini di guerre e conflitti civili”. Si tratterebbe quindi di un volatile, che si nutre di sangue umano, dorme a testa in giù al pari di un pipistrello e ricorda tendenzialmente la figura del vampiro. Inoltre, non deriverebbe dalla rianimazione di un cadavere bensì da un atto di metamorfosi. La prima citazione in lingua latina, invece, si trova nello Pseudolus di Plauto, risalente al 191 a.C. Qui un cuoco, descrivendo una cucina dei suoi sottoposti, compara le azioni di questi ultimi a quelle di strigi che smembrano una vittima dissanguata.
Le strigi: creature infernali, affamate di carne e sangue infantili
Stazio, nella Tebaide, riprende la leggenda di questi mostri che, volando di notte, entrano nelle case per succhiare il sangue dei neonati lasciati soli nella culla dalle loro nutrici. Una descrizione accurata ci è data da Ovidio nei Fasti: “Sono ingordi uccelli, non quelli che rubavano il cibo dalla bocca di Fineo [le Arpie], ma da essi deriva la loro razza: grossa testa, occhi sbarrati, becchi adatti al ratto, penne grigiastre, unghie munite di uncino; volano di notte e cercano infanti che non hanno accanto la nutrice, li rapiscono dalle loro culle e ne straziano i corpi; […] Si dice che coi rostri strappino le viscere dei lattanti, e bevano il loro sangue sino a riempirsi il gozzo. Hanno il nome di Strigi.”

Nicolas Poussin, ‘Trionfo di Ovidio’ (1625 ca.) – Gallerie Nazionali di Arte Antica di Roma – Foto: Giorgio Manusakis
Ovidio ci riferisce poi che la dea Carna – il cui nome deriva probabilmente dal latino caro-carnis, (carne) – protegge la casa dalle strigi. Si tratta di una ninfa che risiedeva in un antico bosco chiamato Alerno (o Elerno), vicino al fiume Tevere, successivamente accolta tra le divinità con il compito di proteggere gli organi interni – in particolare dei bambini – e più in generale di assicurare il benessere fisico all’umanità. Quinto Sereno Sammonico nel Liber Medicinalis dedica un intero capitolo ai rimedi per gli attacchi delle strigi, consigliando, per esempio, di utilizzare dell’aglio per evitare che tali creature si avvicinino di soppiatto nottetempo.
Questi volatili vengono anche collocati da alcuni scrittori nel regno degli inferi. Seneca nell’Hercules furens asserisce che nel Tartaro “risuona il tristo presagio dell’infausta strige”; Silio Italico nei suoi Punica fa discendere Publio Cornelio Scipione nell‘Oltretomba per incontrare le anime e ottenere informazioni sulla guerra in corso. Nella sua descrizione è presente un albero di tasso su cui dimorano gufi, avvoltoi, arpie e una strige “le cui ali sono macchiate di sangue”. Alla luce di tutte queste fonti menzionate, si può delineare, pertanto, un primo ritratto delle striges latine: esseri metamorfici, notturni, infernali, che condividono con i rapaci il suono stridente della loro voce. Uccelli-donna, sulla falsa riga di sirene, arpie e furie, ma connotati in maniera ancora più macabra, proprio perché amano nutrirsi della dolce carne degli infanti.

Busto del cd. Pseudo-Seneca – Replica di I sec. d.C. da originale greco di fine II sec. a.C. – Museo Archeologico Nazionale di Napoli (Mann) – Foto: Giorgio Manusakis
Alcune differenti interpretazioni da Plinio a Petronio
Anche se abbondano le descrizioni, il concetto di strige rimane comunque molto vago. Il naturalista Plinio il Vecchio ammette di conoscere poco queste creature e reputa la loro esistenza frutto di fantasia: “Per quanto riguarda le storie che raccontano, sulla strige che espelle il latte dai suoi capezzoli sulle labbra dei neonati, io la considero assolutamente favolosa: fin dai tempi antichi il nome ‘strix’ è stato impiegato nelle maledizioni, ma non credo che sia ben accertato quale uccello si intenda veramente con quel nome”. Il passo di Plinio è importante perché riporta una credenza secondo la quale tali esseri, prima di sbranare gli infanti, li allattassero al seno, simboleggiando quindi un gesto materno solitamente legato alla vita ma che qui, invece, diventa innaturale e foriero di morte.
Orazio negli Epòdi assegna a queste creature alcune proprietà magiche: le loro piume sono un ingrediente per una pozione amorosa. Petronio nel Satyricon propone una storia narrata da Trimalchione, il quale racconta: “Sguainata audacemente la spada, dopo aver scrupolosamente fasciato la mano sinistra, si slanciò fuori dalla porta e trafisse da parte a parte una di quelle donne facciamo conto in questo punto – sia salvo quello che tocco! Sentimmo un gemito ma quelle – non dico frottole – non le vedemmo. Allora il nostro stupidone, rientrato, si gettò sul letto, e aveva tutto il corpo livido come fosse stato preso a frustate: perché certo lo aveva toccato la mala mano. Chiusa la porta, torniamo di nuovo alla veglia; ma mentre la madre abbraccia il corpo del figlio, lo tocca e si accorge che è un manichino fatto di paglia. Non aveva cuore, né interiora, né niente: di certo le strigi se lo erano portato via e avevano messo al suo posto un fantoccio di paglia”.
Di fronte al finale della vicenda così narrata, in cui il Cappadoce muore delirante (phreneticus) nel suo livore, gli ascoltatori di Trimalchione non possono che scongiurare spiacevoli incontri con tali creature notturne, definite mulieres plusciae (donne che sanno di più), che, letteralmente, mettono tutto sotto sopra (quod sursum est, deorsum faciunt).
Il passaggio medievale da uccello a donna
Nel corso del Medioevo la strige viene sempre più identificata come donna. Secondo una leggenda, tale creatura ebbe origine da un feto che, una volta venuto alla luce, avrebbe divorato il corpo morto della propria madre. Nell’immaginario collettivo la strix viene sempre più associata alla sfera notturna e ad alcuni animali. Inoltre, come repellente contro i suoi attacchi, viene utilizzato l’aglio, proprio come accade con i vampiri. Anche l’interesse per i bambini acquista rilievo, in quanto molto spesso nei processi di stregoneria si accusano le imputate di aver causato la morte di infanti nel vicinato. Tutti questi elementi, uniti a caratteristiche mutuate da altre figure mitologiche affini, delineano il profilo di quella che sarà la strega.

Raffigurazione ottocentesca della strige, dalla galleria delle chimere della facciata occidentale della cattedrale di Notre-Dame a Parigi – Autore foto: Jawed Karim – Licenza: CC BY-SA 3.0 via Wikimedia Commons
Se nell’Etimologia di Isidoro di Siviglia il termine strix è ancora utilizzato per definire un uccello notturno, in una legge francese, risalente al IV secolo e attribuita ad un antenato del re Clodoveo, esso sembra invece definire una sorta di megera: “Se qualcuno dice ad alta voce di una donna che è una strige (stryge) o una prostituta sarà condannato ad una ammenda di 2.500 denari… Se una strige ha divorato un uomo […] sarà condannata a pagare 8.000 denari.” Anche nel Capitolare dei Sassoni del 782 ritroviamo questo sostantivo. Carlo Magno, in lotta contro il paganesimo locale, condanna in questo modo chi lanciava accuse di stregoneria: “Se qualcuno, ingannato dal diavolo, avrà creduto, secondo l’uso pagano, che un uomo o una donna sia una strige e mangi gli uomini e, a causa di questo, l’abbia bruciata ed abbia dato in pasto la sua carne, o egli stesso l’abbia mangiata, sia condannato a morte”. Col passare dei secoli e con la crescente e diffusa paura verso queste creature avremo nelle lingue europee i seguenti termini: strige in francese, estrige in portoghese, estriga in spagnolo, striga in ceco e in slovacco, штрига in croato, štriga in serbo, štrija in sloveno, shtrigë in albanese, strzygaa in polacco, cтрига in russo e in ucraino.
Questi sostantivi continueranno ad essere utilizzati principalmente per indicare una figura demoniaca, andando a fondersi con il folklore locale. Ad esempio, l’albanese shtrigë, dapprima utilizzato per definire un essere mitologico di sesso femminile che si nutre di sangue, acquisisce poi il significato di “donna alla quale si attribuiscono poteri sovrannaturali ottenuti attraverso rapporti con il demonio praticante magia”. In romeno strix dà vita a “strigo” (al maschile) e “strigoaică” (al femminile), un essere non-morto, caratteristico della locale mitologia. Dalla sua interpretazione moderna e dalla sua fusione con il vampirismo avrà origine il personaggio di Dracula di Bram Stoker. La parola utilizzata per indicare la strega nella lingua rumena è invece Vrăjitoare, che già dal X secolo si afferma per definire una donna sotto l’influenza del diavolo, il quale le dà il potere di lanciare incantesimi. Per un ulteriore approfondimento sulle terminologie e su altri aspetti riguardanti tali figure esoteriche vi rimandiamo ad una nostra successiva puntata.

‘Dracula’ di Bram Stoker – Foto: Stefania Rega
Specifiche foto dal web
Titolo: Cornelis Saftleven, Sabba di streghe, 1640 ca.
Autore: Sailko
Licenza: CC BY 3.0 via Wikimedia Commons
Link: https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Cornelis_saftleven,_sabba_di_streghe,_1640_ca._03.jpg
Foto modificata
Titolo: Chimera of Notre-Dame de Paris (Raffigurazione ottocentesca della strige, dalla galleria delle chimere della facciata occidentale della cattedrale di Notre-Dame a Parigi)
Autore: Jawed Karim
Licenza: CC BY-SA 3.0 via Wikimedia Commons
Link: https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Chimera_of_Notre-Dame_de_Paris,_26_April_2014.jpg
Foto modificata