Una scena della rappresentazione – Foto (modificata) Simona Pasquale
Dal 4 al 6 aprile Una voce umana, spettacolo scritto, diretto e interpretato da Francesca Fedeli, ha intrattenuto gli spettatori del Teatro Serra di Napoli.
a cura di Mario Severino
L’opera teatrale, intensa e profonda, si propone di esplorare il complesso universo della vocalità umana, ponendo domande fondamentali sul nostro modo di comunicare e di percepire noi stessi in un’epoca dominata dalla tecnologia. Francesca Fedeli, con una visione innovativa e provocatoria, si ispira al lavoro di Jean Cocteau La voce umana, rielaborando il concetto di dialogo in un contesto moderno.
Esattamente come nell’opera dello scrittore francese, è in scena solamente una donna al telefono, che in questo caso, però, è incapace di parlare perché si ritrova senza voce. Viene subito messo in chiaro che non si tratta di semplice afonia, ma che la voce, come se fosse un’entità con una volontà propria, ha deciso di allontanarsi dalla sua padrona, andando apparentemente in vacanza.

Una scena della rappresentazione – Foto (modificata) Simona Pasquale
La missione della voce
Da qui in poi Francesca, tramite l’ausilio di una maschera, smette di vestire i suoi panni ed interpreta la sua stessa voce perduta. Ella diventa un personaggio a sé stante, capace di esprimere gioia, dolore, rabbia e vulnerabilità, cosa che all’essere umano non è più concesso. Sembrerebbe che quella della voce più che una vacanza sia una missione: quella di restare umana.
La protagonista passa dall’essere uno strumento alla condizione di un lavoratore stanco, sfruttato, che non vuole più sottostare agli ordini del suo capo. Come se si fosse rotto un patto tra le due parti, la voce si sente tradita, non si sente più umana e si vede così costretta ad abbandonare l’essere umano per cui lavorava. Se l’uomo tende al disumano, la voce non può più essere umana.
Il rapporto tra tecnologia e vocalità
Sin dalle prime battute lo spettacolo – con assistenza alla drammaturgia di Gian Marco Ferone – cattura l’attenzione dello spettatore con una narrazione avvincente che alterna momenti di introspezione a riflessioni socioculturali. Un aspetto particolarmente interessante è l’esplorazione del rapporto tra tecnologia e vocalità. L’autrice si interroga su come la facilità di registrazione e riproduzione della voce possa alterare la percezione di noi stessi e delle relazioni. Ci si chiede se stiamo sacrificando la nostra naturalità in favore di una comunicazione sempre più artificiale e distorta. La voce diventa così non solo strumento di comunicazione, ma simbolo di un’umanità in continua evoluzione.

Una scena della rappresentazione – Foto (modificata) Simona Pasquale
Riflessioni sull’oggi
Lo spettatore viene lasciato con vari interrogativi a cui l’autrice non vuole dare una risposta, ma soltanto suggerire spunti di riflessione. Il tema principale riguarda l’uso delle nuove tecnologie e di come queste necessariamente abbiano mutato le relazioni interpersonali e la comunicazione, sia nella sua essenza che nella sua estetica. La potente affermazione “Se in principio era il verbo, speriamo che alla fine non sia questo immenso silenzio” lascia al pubblico una sensazione di inquietudine e un invito a non perdere di vista la bellezza e il potere della nostra voce, a non lasciarci silenziare dalle nuove tecnologie e a rivendicare il nostro diritto di esprimerci liberamente e pienamente.
