Achille d’Orsi – Modelletto per il Proximus tuus (1880) – Foto: Paola Germana Martusciello

La scultura napoletana tra Ottocento e Novecento alla luce di una nuova sensibilità sociale.

Il 16 dicembre si è inaugurata al MUSAP “Circolo Artistico Politecnico” ETS, Palazzo Zapata – Piazza Trieste e Trento 48, Napoli, la mostra dedicata ad Achille d’Orsi, significativo scultore napoletano dell’800, il quale occupa un posto centrale nel panorama della scultura italiana tra il XIX e il XX secolo, per aver aperto l’arte verso una nuova corrente le cui cifre stilistiche si identificano con il movimento del Realismo. Infatti, lo scultore, grazie alla sua attraente modernità che si identifica nelle scelte formali originalissime, crea uno stile particolare, che rappresenta sicuramente il superamento dei vecchi e passatisti modelli accademici ottocenteschi, fortemente connessi alle rappresentazioni mitologiche, oppure alle rappresentazioni di iconografie voluttuose e pesanti, allegorie che ribadivano pedissequamente repertori artistici dell’Ottocento, suggerendo appesantimenti visivi. Infatti, d’Orsi, con uno scatto anticipatore, aprì lo sguardo rivolgendolo verso le rappresentazioni di una nuova testimonianza sociale in cui si individuano note di un sensibile realismo; alleggerì le forme e il modellato della scultura ottocentesca per riconsegnare un respiro arioso e innovativo a questa arte, capovolgendone gli schemi in senso moderno, utilizzando lo scalpello come strumento di adesione alle tematiche sociali per poter rappresentare passioni e sofferenze umane con le quali aveva stabilito, grazie alla sua notevole sensibilità, un rapporto fortemente empatico; così come dimostrano le sue opere quali il Chierico coscritto (1877), la cui figura, rannicchiata su se stessa, rivela veristicamente la tensione interiore dovuta al conflitto tra religione e vita militare contraria alla spiritualità cristiana, mentre il grande cappotto che lo avvolge sembra accompagnare questa condizione di annichilimento.

Achille d’Orsi – Chierico coscritto (1877) – Foto: Paola Germana Martusciello

Le umili origini affascinano il d’Orsi che sembra dominare squisitamente la materia del bronzo, piegandola con maestria esecutiva, realizzando narrazioni inedite che vengono stampate sui volti dei suoi personaggi, da cui traspare il senso del disagio, della emarginazione sociale, della fatica e della inadeguatezza culturale: sono poveri, venditori ambulanti, ma anche pescatori, come il bellissimo bronzo che si intitola A Posillipo.

Achille d’Orsi – A Posillipo (1880) – Foto: Paola Germana Martusciello

L’opera fu presentata alla IV Esposizione Nazionale di Torino del 1880 e acquistata da Umberto I: una forma dal corpo acrobatico si acquieta in un equilibrio stabile, ma precario, esprime una forte ascendenza del linguaggio classico con influenze ellenistiche per il dinamismo accentuato, ma rappresenta le novità formali che gettano i semi per le nuove tendenze anticlassiche che invaderanno i modelli europei: infatti, la statua sottolinea una attenzione ai particolari espressivi del volto. Interessante anche un’altra scultura intitolata A Frisio; il titolo dell’opera richiama la villa del duca di Frisio a Posillipo, modello apparso più volte alle mostre nazionali e internazionali a cui partecipò lo scultore; rappresenta un giovane coperto soltanto da una rete sui fianchi mentre trasporta una corda intricata a cui sono legate le piccole anfore che rappresentano un antico sistema di pesca. Il giovane indossa un copricapo usato dai marinai e dai pescatori dell’antica Grecia, una sorta di pileo; il modellato è realizzato con grande bravura e perizia per la definizione acuta dei particolari.

Achille d’Orsi – A Frisio (1883) – Foto: Paola Germana Martusciello

Pura plastica ed eleganza classica, invece, sono gli elementi che definiscono l’opera Pathos (1898) in cui l’artista definisce una nuova fase della sua attività artistica, una adesione ai modelli simbolisti ed estetizzanti.

Achille d’Orsi – Pathos (1898) – Foto: Paola Germana Martusciello

Osservatore del vero, così come lui stesso si definisce, influenzato dalle idee nate al seguito di Zola e di Darwin sull’obiettività dell’arte, d’Orsi lavora in una Italia post unitaria attraversata da grandi cambiamenti non solo politici, ma soprattutto da idee innovative e dalle trasformazioni sociali dovute alla industrializzazione. La sua formazione artistica trova luogo presso il Reale Istituto di belle arti di Napoli, dove frequentò la scuola di scultura, diretta da Tito Angelini, il cui insegnamento era orientato sui paradigmi accademici, ma, ben presto, si rese disponibile ad accogliere i nuovi cambiamenti in atto, come le tendenze veriste introdotte dai giovani studenti più liberi e intraprendenti; successivamente divenne professore di modellato e di seguito parte della Presidenza. Le prime opere sono realizzate attraverso un modellato levigato e compatto, così come richiedevano gli accademismi, per una scultura romantica e purista, per poi sciogliersi, in seguito, nel corso degli anni ‘70, in uno stile realistico connotato da superfici scabre e irregolari, in cui passaggi di luce si addensano nelle pieghe delle forme volte a catturarne i riflessi per modularne i passaggi coloristici. D’altra parte anche in altri ambiti la stessa tendenza veniva maturandosi; in pittura, analogamente, accadeva con Morelli e Michetti. Infatti, nella Testa di carrettiere, opera in bronzo, i caratteri del nuovo Realismo si determinano attraverso profondi solchi, labbra contratte, come il mento che appare arretrato rispetto al viso, mentre gli occhi, profondamente espressivi, comunicano una pausa dall’affaticamento; aspetti filtrati, senza alcun dubbio, da una certa eleganza ellenistica, come denota anche il richiamo alla rappresentazione del copricapo frigio.

Achille d’Orsi – Testa di carrettiere (1879-80) – Foto: Paola Germana Martusciello

Mentre l’opera il Modelletto per il Proximus tuus (1880) ci riconduce ai temi dell’Alessandrinismo, con gli elementi della terra e della zappa in primo piano, percorsi, però, da quella originale nota del Realismo, non solo per l’espressione viva e sofferente, ma anche per l’uso di un modellato che restituisce appieno la terra molle, umida ricca di umus; e soprattutto ritrovano la fatica del lavoratore suggerendone l’aspetto estenuante, che si consolida in un lavoro sicuramente duro per trasformarsi in una scultura di protesta politico sociale.

Achille d’Orsi – Modelletto per il Proximus tuus (1880) – Foto: Paola Germana Martusciello

Tra le opere pubbliche realizzate nella città partenopea, si sottolinea la statua di Alfonso d’Aragona per una delle nicchie della facciata principale di Palazzo Reale e la statua di Umberto I collocata in via Nazario Sauro, in cui si condensano le sue note stilistiche di verità espressiva: un artista che, senza alcun dubbio ha cavalcato l’antico, trasformandone il linguaggio in quello della modernità verista.

All’inaugurazione hanno preso parte il presidente della Fondazione “Circolo Artistico Politecnico”, Adriano Gaito, il presidente e il vicepresidente del MUSAP – Fondazione di Partecipazione, Sergio Sciarelli e Orazio Abbamonte, insieme al direttore del museo, Diego Esposito. Un gruppo di voci che racconta la visione del MUSAP: un luogo dedicato alla riscoperta e alla condivisione del patrimonio artistico napoletano dell’Ottocento e dei primi anni del Novecento, con l’obiettivo di avvicinare il pubblico alla ricchezza culturale di una stagione fondamentale della storia artistica della città.

La mostra è visitabile fino all’8 gennaio a Palazzo Zapata, Napoli. Info: 081426543 – 329 2654343, museo@fondazionecircoloartistico.it

Paola Germana Martusciello

La locandina della mostra – Foto: Paola Germana Martusciello

Di admin

2 pensiero su “Achille d’Orsi al MUSAP: il Realismo come forma di coscienza”
  1. Impeccabile come al solito la presentazione della professoressa Martusciello di questa mostra dedicata ad Achille d’Orsi; riusciamo infatti ad inquadrare nella giusta prospettiva un artista le cui opere, se guardate frettolosamente da osservatori inesperti come chi scrive, potrebbero richiamare quelle di Gemito e basta così. Invece quanti spunti interessanti in queste sculture, senz’altro meritevoli di una maggiore conoscenza da parte del pubblico che frequenta i musei!

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