Una scena della rappresentazione – Foto (modificata) Natale Verdicchio
Dal 28 al 30 novembre 2025 è andata in scena al Teatro Serra di Napoli la nuova produzione di Itaca Colonia Creativa.
a cura di Mario Severino
Quella scritta e diretta da Simone Somma è un’esperienza teatrale che non lascia indifferenti ma sonda gli angoli più nascosti della psiche, mettendo in luce le fragilità, i sogni e le disillusioni di una donna intrappolata nel suo passato e nelle sue proiezioni.
Sogni, aspettative e realtà
La scrittura pungente di Simone Somma, la performance straordinaria di Roberta Astuti e la scenografia evocativa di Violetta Di Costanzo mettono in scena una riflessione profonda sulla lotta interiore per liberarsi da costrizioni sociali, familiari e psicologiche. La piece è anche un’occasione per interrogarsi sulla relazione tra sogni e realtà, su ciò che scegliamo di diventare, su ciò che la società ci impone di essere e sulla condizione a cui ci abituiamo. Agosto è un monologo di una donna che ha paura di vivere, che non sa cosa fare della sua vita, ma che cerca disperatamente di trovare una via d’uscita dal caldo soffocante che la affligge e dai sogni irrealizzati di un futuro che non arriverà mai.
La protagonista vive in un universo fragile e sospeso, dove i ricordi d’infanzia e le aspirazioni mai realizzate continuano a tormentarla, ed è una figura che non ha mai realmente affrontato le proprie ambizioni. La sua condizione non è solo quella di una donna che vive nel passato, ma anche di una persona condizionata da un sistema che, fin dalla nascita, le ha imposto sogni e aspettative. Tutto ciò che è intorno a lei – i genitori, la società – ha deciso per lei, facendola rimanere in uno stato di perenne indecisione. Non sa cosa farà della sua vita, ma rimane ancorata alla speranza di un riscatto, alla possibilità di una rivalsa che è sempre più lontana e quasi irreale.
La protagonista si identifica con un nome infantile, che simboleggia la sua incapacità di fare il salto verso l’età adulta; appare bloccata in una dimensione puerile, incapace di liberarsi dalle aspettative degli altri e di prendere in mano le redini della sua vita. È il prodotto di una genitorialità che tende a plasmare i figli secondo la propria volontà, che li spinge a seguire destini tracciati per loro, condizionandoli nelle scelte di vita e non lasciandoli liberi di seguire le proprie velleità e ambizioni. La protagonista, pur vivendo nel corpo di un adulto, mostra una mente infantile e un cuore che non si è mai realmente liberato delle imposizioni esterne, rimanendo nell’ombra di sé stessa, come una bambina che aspetta che qualcuno le dica cosa fare.

Una scena della rappresentazione – Foto (modificata) Natale Verdicchio
La forma archetipale di Minerva
Roberta Astuti si presenta al pubblico nei panni di Minerva, ma subito svela un particolare importante del suo personaggio: preferisce essere chiamata Minnie; un nomignolo che non è un semplice vezzo. Tale passaggio, dal nome di una divinità della saggezza a quello di un personaggio del mondo dei fumetti Disney, è carico di significato. Non è solo un gioco di parole, ma un simbolo di un’evoluzione che non è mai avvenuta. La protagonista manca di consapevolezza, di maturità; non è mai diventata un soggetto adulto, il suo stato emotivo e psicologico è rimasto quello infantile. La Minerva della mitologia possiede una capacità di discernere e decidere in maniera razionale, con visione strategica e indipendenza; è simbolo di un potere che affonda nelle radici della conoscenza e dell’esperienza. Al contrario, quella di Somma è prigioniera della sua confusione, della sua indecisione e della sua difficoltà a prendere in mano la propria vita; è un’entità fragile, un’eterna bambina che non riesce ad affrontare né il mondo né sé stessa.
Minerva, la dea romana associata alla greca Atena, incarna la saggezza, la razionalità e la forza di affrontare le difficoltà con lucidità. La divinità è una figura che sa come governare il caos, che trova il senso in ogni guerra e in ogni battaglia. In contrasto, Minnie, nome che rimanda alla celebre topolina di Disney, è una figura intrappolata in un mondo infantile; un simbolo di dolcezza, gioia e innocenza, la cui esistenza è definita principalmente, se non unicamente, dall’essere la fidanzata di Topolino (Mickey Mouse); un ruolo che la limita, la intrappola in una dimensione statica, priva di evoluzione. In Minnie, pertanto, si sviluppa un conflitto tra il desiderio di crescere e la paura di affrontare la realtà. È una frattura psicologica profonda, che genera la tensione e l’ambiguità emotiva che pervade lo spettacolo. Solo comprendendo questa contrapposizione possiamo capire fino in fondo la complessità di questo personaggio: una donna che sogna di emanciparsi ma non riesce a fare il passo, rimanendo in un limbo sospeso.

Una scena della rappresentazione – Foto (modificata) Natale Verdicchio
Il caldo
Dapprima la protagonista racconta di sé e della sua quotidianità; Minnie sembra condurre una vita serena, vive un rapporto di coppia che descrive come appagante ma che poi non si rivela come tale. La sua è una relazione immaginaria con un essere inanimato, il cui unico scopo sembrerebbe essere quello di ricevere un supporto per resistere al caldo. Quest’ultimo fattore è il motivo per cui si lamenta, ma che le permette di andare avanti così, con la sua vita, senza farsi domande e senza assumersi responsabilità.
Questo caldo infernale è la causa del suo sragionare, della sua follia, della sua vita misera. È il caldo che ottunde e che lacera, che le impedisce di vedere la realtà per quella che è, facendole rimandare tutto alla sua condizione di impotenza. Esso diventa una presenza immateriale in scena, si fa deuteragonista dello spettacolo, nel cui titolo – Agosto – viene richiamato inevitabilmente. Nel suo delirio, Minnie non si assume la responsabilità delle sue azioni, delle sue scelte, ma giustifica ogni singolo errore come inevitabile, come una reazione al caldo, all’ambiente, a ciò che le accade fuori da sé. La sua è una condizione di impotenza causata da una realtà che le impone dei limiti e che lei stessa passivamente accetta per paura di affrontare il proprio dolore.

Una scena della rappresentazione – Foto (modificata) Simona Pasquale
L’ironia del dolore
Eppure, nonostante tutto, i sogni non abbandonano Minnie. Sono sogni di rivalsa, di speranza, di un futuro che non è mai realmente iniziato. A volte sono momenti di pura immaginazione, come quando, su una sedia, si solleva e sogna di fluttuare su Marte al suono di Rocket Man di Elton John. Questi passaggi onirici sono interludi liberatori, fughe dalla realtà, ma anche la dimostrazione che, dentro di lei, c’è ancora una parte che desidera ardentemente esplorare il mondo, affermarsi, vivere pienamente. La scelta della musica, spesso ricorrente, e del movimento evoca quella sensazione di libertà che Minnie non riesce a raggiungere, ma che il suo spirito continua a rincorrere. Sono piccoli momenti di physical theatre che intervallano lo spettacolo, utilizzati per rappresentare la sua capacità di sognare e immaginare. Tuttavia, anche in queste occasioni, ogni volta che la protagonista prova a far partire una canzone, il giradischi si inceppa, riportandola alla realtà. Il tono generale oscilla tra drammatico e comico, tra flusso di coscienza ed esplorazione interiore, tra citazioni estemporanee e descrizioni buffe. Si ride, ma non senza un certo imbarazzo, come se il dolore che si cela dietro la risata fosse sempre presente, sempre in agguato. Agosto è uno spettacolo che, pur affrontando temi dolorosi e inquietanti, non rinuncia a un’ironia amara.

Una scena della rappresentazione – Foto (modificata) Natale Verdicchio
Un mondo di carta
Il palcoscenico del Teatro Serra diventa un microcosmo inquietante: una semi oscurità avvolge lo spazio, dove la protagonista, immersa in un continuo movimento ossessivo, si trova a maneggiare scatole di cartone; oggetti del passato, ricordi inutili eppure imprescindibili, simbolo potente del fardello di una vita fatta di opportunità mancate e sogni soffocati. Ogni contenitore sembra rappresentare un frammento della sua esistenza, un piccolo pezzo di vita che, purtroppo, non può essere dimenticato né gettato via. Dal punto di vista scenografico la visione di Violetta Di Costanzo è notevole. Il palcoscenico si configura come un vero e proprio magazzino: un deposito di scatole che fanno pensare a qualcosa di chiuso, di sigillato e si fanno metafora della prigione emotiva della protagonista. Gli oggetti scenici, tutti realizzati in cartone, sono simboli di un mondo fragile, forse da proteggere, ma anche di una realtà che Minnie non riesce ad affrontare, come un universo tutto imballato che non può scartare. Questa barriera che si presenta sul palco, per quanto imponente, rivela chiaramente la sua vulnerabilità. Il cartone è un materiale che non può sostenere un grosso peso, proprio come la fragile psiche di Minnie. È interessante, inoltre, mettere in relazione questo materiale con il caldo di cui la protagonista si lamenta, tanto torrido che potrebbe quasi far prendere fuoco a questi contenitori impilati e disposti a formare un labirinto. Ogni scatola, ogni angolo di scena contribuisce a costruire un ambiente claustrofobico e privo di via d’uscita, che riflette la condizione interiore della protagonista. Minnie si ritrova rinchiusa in questo spazio che si fa metafisico e capisce che, di questi contenitori, lei potrebbe essere il contenuto. La luce si dissolve e proprio in uno di essi Minnie viene riposta.
