L’ingresso della mostra – Foto: Matilde Di Muro
La Fondazione Made in Cloister dà avvio ad un nuovo programma culturale biennale dal titolo Rinascita. Nella nostra videointervista l’artista Carmela De Falco ci parla di una delle sue opere esposte.
Lo scorso 1 marzo 2025, la Fondazione Made in Cloister ha dato avvio ad un programma culturale biennale dal titolo Rinascita, con cui ribadisce e rafforza la propria missione. Infatti, come già abbiamo avuto modo di raccontare, questa meritevole realtà nasce, dieci anni fa, proprio con l’intento di dare vita ad un progetto di rinascita e di riqualificazione di un luogo storico-artistico identitario della città di Napoli qual è il Chiostro della Chiesa di Santa Caterina a Formiello. Questo bellissimo esempio di chiostro cinquecentesco, che nel tempo ha subito numerose trasformazioni e i più svariati utilizzi sino a essere abbandonato, è stato restaurato e riconvertito, attraverso la produzione culturale e la promozione dell’arte contemporanea, in spazio di rigenerazione urbana nel quale possono dialogare artisti, artigiani e comunità locale.

Renato Leotta, ‘Multiuniverso’ – Foto: Matilde Di Muro
Gli autori e le tematiche principali della collettiva
Il nuovo programma culturale biennale è stato ideato e sviluppato da “nonlineare”, una iniziativa indipendente concepita da Teresa Iarocci Mavica, curatrice di origine molisana, laureata in Scienze politiche all’Orientale di Napoli ma residente a Mosca dal 1989. Il progetto, che si sviluppa attraverso un articolato percorso di ricerca e pratiche artistiche che indagano il concetto di rinascita in relazione alle crisi globali e alle trasformazioni del nostro tempo, parte con l’installazione di una mostra dal titolo Il Sol dell’Avvenir. Visitandola si comprende bene che non si è di fronte ad una semplice esposizione di opere d’arte contemporanee ma c’è molto di più: è piuttosto uno spazio di riflessione e di relazione unico offerto ad una città, come Napoli, che rinasce infinite volte.

Alexandra Sukhareva, ‘Senza titolo’ – Foto: Matilde Di Muro
Le opere, realizzate da artisti internazionali quali Alexandra Sukhareva, Clément Cogitore, Danh Vo, Hiwa K, Anastasia Ryabova, Renato Leotta, Reena Spaulings, Olga Tsvetkova e Carmela De Falco, indagano e riflettono sul delicato equilibrio tra creazione e distruzione, tra speranza e catastrofe. Tale aspetto appare preannunciato sin dal titolo stesso della mostra, Il Sol dell’Avvenir, che cita un’espressione tratta dai versi di una celebre canzone partigiana italiana che incita a lottare per la libertà. In questo caso il sole non è inteso come simbolo nostalgico di una promessa utopica, ma piuttosto come forza ambivalentemente generatrice e, al contempo, distruttiva. Esso, più che un corpo celeste, diventa metafora dell’eccesso di energia che, mentre regala forza vitale, può anche essere insostenibile, richiamando così la violenza latente e comunque propria della natura.

Reena Spaulings, ‘Bandiera’ – Foto: Matilde Di Muro
Le Indie galanti: musica e danza unite per un’analisi sociale
Al centro del chiostro, sotto l’imponente struttura a capriata lignea che, in epoca borbonica, servì come essiccatoio delle lane lavorate nell’attiguo lanificio, è installato un ambiente cubico all’interno del quale è offerta la visione di un cortometraggio, della durata di 6 minuti, dal titolo Le Indie galanti (2017), di Clément Cogitore. Nel video un gruppo di ballerini, sulle note del pezzo operistico di Jean-Philippe Rameau, eseguito nel 1735 per Luigi XV e ispirato alle danze tribali dei nativi americani, si esibisce nel ‘krump’, una forma di arte coreutica nata nell’ambito dei disordini sociali e delle violenze della polizia presso la comunità afro-americana del sud di Los Angeles, in California, degli anni Novanta. Attraverso quella che si potrebbe definire una nuova ‘danza urbana nera’, caratterizzata da grande energia ed estrema libertà nei movimenti del corpo, l’artista visivo indaga sulle dinamiche interne ad una qualsivoglia comunità come se si trattasse di una battaglia tra vita, morte e resurrezione. Dunque, passato e presente, barocco e contemporaneo si incontrano per evocare tensioni purtroppo sempre attuali e pericolosamente irrisolte.

Il chiostro con l’ambiente cubico dove viene proiettato il cortometraggio – Foto: Matilde Di Muro
Dai rifiuti di guerra un’opera incompiuta ma con un messaggio di rinascita
Il concetto di ‘rinascita’, correlato ai problemi globali e ai cambiamenti della nostra epoca, è veicolato in più di un’opera, tra cui quella dell’artista curdo-iracheno Hiwa K dal titolo Il progetto della campana (2007-2015). Nello spazio tra le arcate del chiostro e l’essiccatoio centrale, spicca la presenza di una campana posizionata in una struttura in legno dalla quale sembra essere ingabbiata. Il manufatto è stato realizzato in collaborazione con il mastro ferraio curdo Najad utilizzando i rifiuti bellici ritrovati nei campi di battaglia e dimostra come anche i resti della guerra possano vivere la propria resurrezione. Inoltre, così facendo l’artista ha invertito la tristemente nota pratica del passato di fondere le campane per farne armi. Questa volta, mine, bombe, proiettili e parti di carri armati vengono assemblati in una campana per una chiesa italiana, anche se questa metamorfosi rimarrà, purtroppo, inutilizzata. Infatti, l’opera è risultata essere troppo grande rispetto alla nicchia che avrebbe dovuto ospitarla e, pertanto, giace silenziosa a terra, senza poter invitare alla preghiera, annunciare un evento gioioso o avvertire di un eventuale imminente pericolo. Così come appare, ingabbiata in una struttura lignea, essa è, di fatto, inutile e diventa un monumento alla promessa disattesa di una possibile trasfigurazione.

Hiwa K, ‘Il progetto della campana’ – Foto: Matilde di Muro
Dalla fede alla natura: il Cristo di Danh Vo
Tra i lavori di artisti maggiormente affermati e conosciuti, spicca l’opera Senza titolo (2024), realizzata dall’artista di origine vietnamita Danh Vo, che mette in scena un dialogo intimo tra artefatto storico e materia viva. Si tratta di un Cristo ligneo spagnolo del XVI secolo a cui l’artista dona nuove braccia con mani protese nell’atto di reggere delle ampolle di vetro. Per la realizzazione delle mani l’artista si è ispirato a quelle di suo padre, Phung Vo. Esse si fanno portatrici di vita, poiché quelle ampolle contengono dell’acqua che permette di far vivere e crescere le foglie di una pianta, il Tropaeolum Majus, originaria del Perù e dalle particolari proprietà antibatteriche. Quelle mani, tanto familiari all’artista, come nidi innestati nel corpo crocifisso di Gesù, sono un richiamo all’eterno gesto paterno di cura e salvezza della ‘Pietà’ mentre le piante vive testimoniano la costante forza di rinnovamento della natura.

Dahn Vo, ‘Senza titolo’ – Foto Matilde Di Muro
Dalla poetica dell’ascolto e della memoria di Carmela De Falco alla ‘geografia emotiva’ di Olga Tsvetkova
Molto interessanti anche le opere della napoletana Carmela De Falco. Di formazione accademica, quest’artista che, appena trentenne, vanta già la presentazione di mostre personali e la partecipazione a diverse collettive, è alla ricerca di un linguaggio dialogante che tende ad alterare e sovvertire gli ordini culturali codificati. Per Il Sol dell’Avvenir, Carmela De Falco ha ideato due opere: una performance, della durata di 15 minuti, dal titolo Riflettendo, riflettendo, la voce e un’installazione con scultura chiamata Trasmissione.

Carmela De Falco, ‘Trasmissione’ – Foto: Matilde Di Muro
La performance, messa in scena da Linda Feki, Sara Gioielli e Matteo Parisi, è stata già presentata il 1 marzo, giorno di apertura della mostra, e sarà nuovamente esibita nelle giornate del 5 aprile e del 31 maggio 2025. Per la sua realizzazione, l’artista ha trasformato lo spazio del Chiostro in un corpo risonante. Sottili segni di colore nero, tracciati sulle pareti bianche del quadriportico claustrale, sembrano danzare come righe di uno spartito da cui si liberano note di melodie che ricordano il canto dei monaci. I performers, mentre si muovono lentamente nello spazio, sembrano leggere le partiture ed emettono vocalizzi imitandosi a vicenda. È tutto un gioco di reciprocità, ascolto, memoria e reinterpretazione delle voci che risuonano l’un l’altra e, come in un gioco di specchi, si inseguono, si sovrappongono e si distorcono. Proprio attraverso questa serie di ‘riflessi’, Carmela De Falco analizza i meccanismi relazionali che governano i rapporti all’interno delle nostre società e quelli dell’uomo con le varie specie viventi presenti sul pianeta. Queste dinamiche, armoniche o disconnesse che siano, richiedono necessariamente ‘ascolto’ reciproco.

Particolare dei segni sulle pareti per la performance – Foto: Matilde Di Muro
Quelli dell’ascolto e, in particolare, dell’udito – il primo dei cinque sensi a svilupparsi nel feto – sono i temi trattati nella seconda opera dal titolo Trasmissione e della quale l’artista stessa ci ha gentilmente raccontato in una video intervista. Si tratta di un’installazione che vede la presenza di una piccola scultura, in ottone e bagno galvanico nell’oro, che riproduce la forma anatomica della coclea e che è poggiata su un angolo di una coperta di lana accuratamente piegata e riposta su un basso basamento parallelepipedo. Ebbene, la coperta rappresenta un forte legame tra l’opera d’arte e il luogo che la ospita in quanto memoria di quella lana che, un tempo, veniva lavorata nella fabbrica del Chiostro e che doveva servire a confezionare la divisa dei soldati borbonici. Tuttavia, in questo caso diventa oggetto che accoglie e si prende cura, abbracciando e riscaldando quel fragile organo grazie al quale possiamo prendere coscienza, insieme agli altri quattro sensi, di tutto ciò che ci circonda e a cui dobbiamo la nostra capacità di comunicare. Dunque l’artista, attraverso la presentazione di queste due opere, ci invita alla riflessione sul fatto che l’ascolto, che ci abilita alla comunicazione e all’incontro con tutto ciò che è altro da noi, è un’attitudine da preservare e amplificare.
Porta Capuana. Lo spazio come dubbio è il titolo di un’altra performance – questa volta di danza site-specific – che traccia la ‘geografia emotiva’ del quartiere Porta Capuana di Napoli. A idearla e metterla in scena la coreografa, direttrice teatrale e curatrice, nel campo della danza contemporanea, Olga Tsvetkova. Pur risiedendo a San Pietroburgo, l’artista ha scelto di operare a contatto con la comunità in cui insiste il complesso di Santa Caterina a Formiello.

Mountaincutters, ‘Oggetti di lotta e di lavoro’ – Foto: Matilde Di Muro
Una collettiva capace di porre le giuste domande
Molto altro ancora avremmo da raccontare su ciascuna delle 13 opere esposte. Tutte insieme costituiscono un vero e proprio racconto sulle svariate possibilità di rigenerazione e di rinascita. Ma non è come una favola, in cui mondi e protagonisti vivono nella fantasia e offrono una felice conclusione che ci fa sognare. È, piuttosto, un processo dinamico in cui l’opera ed il visitatore sono chiamati a relazionarsi come protagonisti di una ricerca in continuo divenire per dare vita a quell’ormai urgente rinascita che passa attraverso l’identificazione delle sfide odierne, dalla crisi climatica a quelle economiche e sociali. Invitiamo, dunque, caldamente a visitare questa mostra che sarà aperta sino al 31 maggio 2025 e che, come ha avuto modo di dichiarare la curatrice del programma culturale biennale Teresa Iarocci Mavica, propone “un’arte che non offre risposte pronte, ma sa porsi le giuste domande”.
