Veduta di Pompei antica – Foto: Giorgio Manusakis
Sino al 28 febbraio 2026 il Mann propone due mostre temporanee, dedicate, rispettivamente, ad una collezione fotografica di Gabriel Ivanovic de Rumine e ad una raccolta di disegni di Luigi Bazzani.
Ivanovic de Rumine e Pompei: storia di uno dei primi reportage archeologici
Dagli archivi del Mann – il Museo Archeologico Nazionale di Napoli – circa un paio di anni fa, sono state recuperate una trentina di fotogrfie realizzate poco dopo la metà del XIX secolo da Gabriel Ivanovic de Rumine e riguardanti l’area archeologica di Pompei. L’ex ufficiale dell’esercito russo, congedatosi nel 1856 all’indomani della guerra di Crimea, è considerato tra i pionieri della fotografia, intesa come vera e propria forma d’arte. Il suo reportage pompeiano, nello specifico, fu prodotto tra il marzo e l’aprile 1859, allorquando si trovò a Napoli al seguito del Granduca Costantino di Russia, fratello dello zar Alessandro II. La città, allora capitale del Regno delle due Sicilie, fu infatti una delle tappe di una sorta di crociera culturale, che interessò anche altri rinomati centri del Mediterraneo come Palermo, Atene e Gerusalemme.
Per poter operare nell’area archeologica di Pompei – tra l’altro, con un’attrezzatura piuttosto ingombrante, formata da due camere ottiche, da un cavalletto e dalle lastre di vetro su cui imprimere i positivi – Ivanovic de Rumine richiese un’autorizzazione alla corte borbonica tramite l’intermediazione dell’allora ambasciatore russo Kakoschkine. L’istanza, nonostante un iniziale rifiuto pronunciato alla luce di un severo regolamento che vietava ogni tipo di ripresa sia all’interno degli scavi che nel Museo Borbonico, fu approvata con l’aggiunta di un ulteriore privilegio: fotografare strutture ancora inedite o in corso di esplorazione.

Alcune delle foto in esposizione – Foto (modificata) da comunicato stampa
Una documentazione connotata da grande perizia e sensibilità
Pertanto, nelle circa 30 immagini custodite ed ora esposte al Mann nell’ambito della mostra 1859 – Un fotografo russo a Pompei: Gabriel Ivanovic De Rumine è possibile visualizzare non solo il Foro, la Basilica, l’Anfiteatro, tratti di via dell’Abbondanza e alcune domus già note – dalla Casa del Fauno a quelle dei Capitelli Figurati e di Pansa – ma anche talune sale delle Terme Stabiane, le quali cominciarono ad essere dissotterrate proprio negli anni a ridosso dell’Unità d’Italia. Come segno di ringraziamento per tale rara concessione, il 17 aprile 1859 il Granduca Costantino donò una copia del reportage di de Rumine a Ferdinando II, in occasione di una visita ufficiale a Caserta. A tal proposito, si suppone che il corpus ricevuto dal sovrano potrebbe corrispondere alla raccolta conservata per decenni nei depositi dell’Archeologico di Napoli e ora presentata per la prima volta al pubblico. In realtà, occorre sottolineare come alcuni degli scatti dell’ex ufficiale russo iniziassero già a circolare un mese prima della donazione al re delle due Sicilie. Ben 25 di queste immagini, infatti, furono spedite dallo stesso autore alla Societè Francaise de Photographie – uno dei circoli di cui era membro – la quale le avrebbe poi esposte in una mostra a Parigi.
Grazie a questo importante reportage – uno dei più antichi riguardanti il sito archeologico di Pompei – Ivanovic de Rumine seppe affermarsi e farsi apprezzare per le sue spiccate doti artistiche nonché per l’accurata impostazione di determinati aspetti tecnici, dal contrasto luce-ombra alla corretta inquadratura dei soggetti, sino alla meticolosa applicazione della stampa ad albumina. Da un punto di vista storico, il suo prezioso lavoro si colloca in una fase di transizione da una produzione di tipo amatoriale – identificabile, ad esempio, nei dagherrotipi eseguiti nel 1841 proprio a Pompei da Alexander John Ellis – ad una dimensione più professionale dell’arte fotografica, segnata dalla ricerca di maggiore qualità degli scatti, dall’affermazione di atelier prestigiosi – da Bernard a Brogi e Sommer – e dalla pubblicazione di riviste specialistiche, tra cui la Gazette du Nord, fondata proprio dallo stesso ex militare russo a Parigi e col patrocinio del Granduca Costantino.

Alcune delle foto in esposizione – Foto (modificata) da comunicato stampa
Architettura e scenografia: due componenti basilari nell’arte di Bazzani
Una rappresentazione fedele di come apparivano gli edifici e le case di Pompei dalle esplorazioni ottocentesche è fornita dalle illustrazioni ad acquerello di Luigi Bazzani. Anch’esse riemerse dai depositi del Mann ed interessate da restauri, tali opere – riunite qui nella mostra Luigi Bazzani e la casa pompeiana – riscossero grande apprezzamento anche presso le massime autorità del Regno d’Italia. Per citare un solo esempio, è sufficiente pensare ad una missiva di inizio Novecento nella quale l’allora ministro della pubblica istruzione, Nunzio Nasi, sollecitò il direttore del Museo di Napoli, Ettore Pais, ad incentivare la produzione di siffatte raffigurazioni per scopi documentaristici e didattici.
Bazzani, oltre ad essere un valente architetto, lavorò per anni come scenografo teatrale al fianco di maestri del calibro di Giuseppe Verdi e Giacomo Puccini. Avendo, dunque, maturato una tale esperienza professionale, l’artista ebbe modo di sperimentare il filone delle gouache settecentesche, ampliandone, tuttavia, il range anche agli interni di abitazioni e strutture pubbliche dell’antica città vesuviana.

Alcuni degli acquerelli in esposizione – Foto (modificata) da comunicato stampa
Gli acquerelli di Bazzani: dall’osservazione diretta allo studio di documenti fotografici
Nel fondo posseduto dal Mann, composto da oltre 70 acquerelli, eseguiti dallo scenografo a partire dalla sua prima visita agli scavi, avvenuta tra il 1884 e il 1885 – confluiti poi nelle collezioni del polo museale napoletano solo negli anni Venti del Novecento – si passa da vedute en plein air del Foro a scorci relativi all’Odeion e al vicino Tempio di Iside. Tra le abitazioni, l’occhio di Bazzani si sofferma su dimore di particolare bellezza, fama ed ampiezza: dalla Casa del Fauno, la cui esedra tra i due peristili appare già mutilata del celebre mosaico di Alessandro – alla Casa di Marco Lucrezio, riprodotta in ogni minimo dettaglio, compreso un cartibulum, un tipico tavolino in marmo, ritrovato nell’atrio.

Luigi Bazzani – Pompei, Casa del Fauno (1900 ca.) – Foto (modificata) da comunicato stampa
Alla luce di tutto ciò, è lecito ipotizzare che l’intero lavoro dello scenografo si fosse basato anche sullo studio preliminare di diverse fotografie riguardanti l’area archeologica pompeiana. Questa tesi sembra suffragata da alcuni dati, come la presenza di schizzi su carta velina nell’archivio privato dell’artista ed il tipo di inquadratura da lui spesso adottato nelle rappresentazioni grafiche. Inoltre, non è del tutto esclusa l’ipotesi che l’architetto avesse potuto vedere e studiare alcune immagini stereoscopiche, relative a luoghi come il Foro Triangolare o la Casa del Poeta Tragico, prodotte da grandi nomi del suo tempo quali Giorgio Sommer, Robert Rive ed Ernest Lamy. Opere di questo tipo, infatti, per quanto ancora sperimentali, erano a quei tempi già molto richieste ed apprezzate per la loro discreta resa tridimensionale. In sostanza, l’arte fotografica è il sottile filo rosso che unisce i protagonisti di queste due mostre temporanee, le quali, sia da un punto di vista tematico che logistico, appaiono come approfondimenti delle sezioni permanenti Domus – riaperta la scorsa estate – e del Plastico di Fiorelli. Ivanovic de Rumine e Bazzani condividono, infatti, nel loro operato, metodologie e tecniche molto rigorose, capaci di cogliere, e così tramandare, ogni aspetto della Pompei che stava man mano ritornando alla luce dopo secoli di oblio, senza rinunciare alla produzione di sfumature estetiche di grande eleganza e poesia.
