Il Partenone di notte – Foto: Giorgio Manusakis

Dalle origini del mito, con la disputa tra Atena e Poseidone, alla nascita di Erittonio, figlio della dea vergine.

Come abbiamo detto nell’articolo di presentazione di questa serie dedicata alla mitologia greca e, in particolare, ai suoi luoghi e ai personaggi mitologici che li popolavano, Atene è l’essenza stessa del mito e ciò si capisce già dall’origine del suo nome. Difatti, com’era usanza a quei tempi, gli dei si dividevano le città mettendole sotto il loro ‘protettorato’. Quando fu fondata, Atene venne contesa da due tra i più potenti dei dell’Olimpo: Poseidone, dio del terzo dell’universo che era il mare, nonché potentissimo fratello di Zeus, e Atena, la più saggia delle dee, figlia dello stesso Zeus.

Statua di Athena promachos (I sec. a.C.) – Museo Archeologico Nazionale di Napoli (Mann) –  Foto: Giorgio Manusakis

Entrambi i contendenti cercarono di conquistarsi i favori degli Ateniesi con bei doni. Su Poseidone ci sono diverse versioni: Virgilio nelle Georgiche sostiene che il dio donò loro il primo cavallo, facendolo emergere dalla terra con un colpo del suo tridente (libro 1, vv.12-13); Apollodoro, invece, narra che il dio fratello di Zeus fece apparire un vero e proprio mare sulla collina che sarebbe poi divenuta l’Acropoli (3, 14, 1); Pausania riduce le dimensioni del mare ad una pozza d’acqua salata su cui venne poi costruito un pozzo, ma dice anche che, quando soffiava il vento del sud, era possibile sentire da esso le onde del mare e aggiunge che sulla pietra vi era inciso un tridente (1, 26, 5). Ma, nonostante l’importanza dei doni di Poseidone, Atena riuscì a prevalere grazie ad un unico, semplice regalo, su cui non ci sono dubbi: una pianta di ulivo. La dea, nella sua divina saggezza, comprese bene che quello sarebbe stato il dono più utile: difatti quale altra pianta sarebbe potuta essere più adatta a crescere nell’arido terreno ateniese? Ancora oggi si può visitare il luogo della disputa, lì infatti fu costruito l’Eretteo e al suo interno c’erano sia il pozzo descritto da Pausania che l’ulivo donato da Atena.

L’Eretteo (V sec. a.C.) – Foto: Giorgio Manusakis

Il giudizio su chi tra i due dèi dovesse vincere la contesa fu emesso dagli ateniesi stessi. Si racconta che il primo re di Atene, Cecrope, invitò tutta la cittadinanza a votare e questa si espresse con un voto che non si può proprio definire imparziale, infatti pare che le donne si siano espresse a favore di Atena e gli uomini a favore di Poseidone, ma, essendoci tra la popolazione una donna in più, prevalse la dea. Esistono, ovviamente, anche altre versioni in merito: una dice che sia stato il solo Cecrope a decidere, un’altra che invece sia stato Zeus stesso a scegliere chi, tra il fratello e la figlia, dovesse aggiudicarsi la nuova città sorta. Un’altra ancora racconta che il padre di tutti gli dèi convocò addirittura il collegio divino dell’Olimpo invitandolo a votare e la votazione, avvenuta con lo stesso schema di parzialità degli umani, cioè dee con Atena e dèi con Poseidone, sarebbe finita in parità, ma essendosi lui stesso astenuto, forse per non rischiare di essere accusato di parzialità, le dee prevalsero per un voto in più.

Poseidone e Anfitrite sul carro nunziale – Mosaico – Pompei, Casa del Granduca di Toscana – Museo Archeologico Nazionale di Napoli (Mann) – Foto: Giorgio Manusakis

A questa contesa divina dobbiamo una serie di altri miti che ad essa vanno collegati. Secondo qualcuno infatti, Poseidone, irritato dalla sconfitta, meditò vendetta e istigò Efesto, che a suo tempo aveva molto contribuito alla nascita di Atena, a chiederla in sposa o, secondo altri, a possederla comunque in qualche modo come ricompensa per il suo aiuto. Com’è ovvio, anche il continuo di questo mito prende strade diverse: infatti una versione dice che Efesto cercò di possedere Atena senza riuscirci, ma, essendosi comunque eccitato, fece finire il suo seme sulla coscia della dea chiamata da sempre Parthenos, cioè “vergine”, e notoriamente estremamente pudica. Atena, ovviamente disgustata, si ripulì con della lana o con della polvere che poi buttò a terra dove Gea, la madre terra, accolse il seme di Efesto, un seme comunque divino, e da questo nacque Erittonio.

Rilievo da una base di statua raffigurante la nascita di Erittonio (1-67 d.C.) – Museo del Louvre, Parigi – Foto: Giorgio Manusakis

Un’altra versione racconta che Efesto ottenne di poter sposare Atena e, dopo che le nozze ebbero luogo, la portò sul letto nuziale, ma lì la dea, che teneva alla sua verginità più di ogni altra cosa, svanì e il seme di Efesto finì a terra; anche in questo caso fu raccolto dalla madre terra Gea che generò Erittonio. Un’altra storia, meno conosciuta, racconta che Atena diede a Efesto un figlio chiamato Apollo e che Atene fosse sotto la sua protezione; i particolari di questa storia scarseggiano, ma sia ad Atene che a Delo si raccontava che Leto, madre di Apollo, fu aiutata dagli ateniesi durante la sua fuga a Delo, dove partorì Apollo.

Tra le tante cose belle, la mitologia ha anche la molteplicità delle versioni tra cui il lettore può scegliere quella più di suo piacere e spesso la conclusione è unica, come nel caso che stiamo narrando. Infatti, quale che sia la storia che più vi piace, la conclusione è che dal seme di Efesto nacque Erittonio, e Atena, per senso materno o per pietà, dato che Gea aveva rifiutato il nascituro, lo prese con se, ma volendolo tenere segreto agli occhi degli altri dèi (in particolare di Poseidone) per difendere la sua reputazione, lo nascose in un cesto rotondo o in una cassa che affidò alle tre figlie di Cecrope: Erse, Pandroso e Aglauro, vietando loro tassativamente di guardare all’interno del cesto. Vi sembra possibile dire una cosa del genere a ben tre donne e sperare che lo facciano? Ovviamente no, altrimenti non si direbbe che la curiosità è donna ma, per quanto strano, Atena aveva evidentemente avuto un vuoto di saggezza e le tre ragazze, Aglauro in testa, altrettanto ovviamente guardarono nel cesto. E cosa videro?

Acropoli di Atene, il Santuario di Aglauro – Foto: Giorgio Manusakis

Naturalmente ci sono diverse versioni, ma che conducono ad un unico elemento: un serpente. Sembra, infatti, che il cesto contenesse proprio questo rettile, almeno secondo alcuni; secondo altri c’era Erittonio protetto da uno o addirittura una coppia di serpenti e il bimbo, all’apertura del cesto, si trasformò anch’egli in questo animale; altri ancora raccontano di un bambino con una coda di serpente al posto delle gambe o che Atena avesse successivamente partorito un serpente. Qualunque cosa ci fosse nel cesto, le ragazze vedendolo impazzirono di paura e si gettarono dal punto più alto della roccia che poi divenne l’Acropoli, almeno secondo la versione più famosa; ma un’altra diceva che furono perseguitate dai serpenti. Apollodoro, a sua volta, ci racconta che fu Erse a convincere la sorella Pandroso ad aprire il cesto e che la Aglauro che era con loro al momento dell’atto sciagurato, era la loro madre e non la sorella. Erittonio, comunque, umano o rettile che fosse, si rifugiò nello scudo di Atena, dove lo troviamo raffigurato nelle ricostruzioni della statua in oro e avorio di Fidia che era nel Partenone. Ad informare dell’accaduto Atena, mentre la dea stava trasportando una roccia che intendeva porre sull’Acropoli al fine di renderla inaccessibile ai nemici, fu una cornacchia e, poiché a quel tempo non esisteva ancora il detto “ambasciator non porta pene”, Atena maledisse il volatile del malaugurio che fino ad allora era il suo uccello prediletto (lo rimase anche in seguito in altre regioni della Grecia) e trasformò le sue penne da bianche in nere. La roccia, invece, non arrivò mai sull’Acropoli, ma fu lasciata cadere e divenne il colle Licabetto.

Atene, il colle Licabetto – Foto: Giorgio Manusakis

Circa l’episodio della cornacchia, chi di voi è stato ad Atene si sarà chiesto il perché i negozi di souvenir sono pieni di statuine raffiguranti un uccello notturno, che poi è il simbolo di Atene. Il motivo è presto detto: Atena, oltre a maledirle e ad avergli cambiato colore, impose alle cornacchie di non tornare mai più a volare sull’Acropoli e da allora la dea affidò la custodia dei suoi segreti alla cittadella sacra, dove veniva anche venerata. Il rapace notturno, che tanto facilmente trovate ad Atene, divenne il suo uccello preferito, tanto che spesso nelle antiche raffigurazioni indicava Atena stessa. Inoltre va ricordata la trasformazione, che operò Demetra, di Ascalafo in gufo (lo racconteremo meglio quando pubblicheremo i miti di Eleusi) e che, anche se non sembra avere nulla a che fare con Atena, la dea saggia veniva tuttavia chiamata dagli ateniesi la loro Kore, ossia la loro Persefone, tant’è che l’antica statua di Fidia in oro e avorio di Atena Nike, che era all’interno del Partenone, aveva in una mano un elmo e nell’altra un melograno.

Nella prossima puntata parleremo del mitico primo re di Atene, Cecrope, secondo alcuni un serpente.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *