Curata da Achille Bonito Oliva, la mostra allestita presso la Basilica di Santa Maria Maggiore alla Pietrasanta, a Napoli, celebra la ricerca espressiva di uno dei maestri indiscussi del Novecento.
Panoramica della mostra – Foto: Mario Severino
a cura di Mario Severino
La conferenza inaugurale
Mercoledì 3 dicembre 2025 si è svolta la conferenza inaugurale della mostra Joan Miró: per poi arrivare all’anima presso la Basilica di Santa Maria Maggiore alla Pietrasanta di Napoli. L’evento ha visto la partecipazione della stampa e di numerosi appassionati di arte contemporanea e critici. A dare il benvenuto ai presenti è stato Vincenzo De Notaris, vicepresidente del Lapis Museum, che ha aperto la conferenza con un emozionante discorso sulla storia millenaria della Basilica: uno spazio che con la sua bellezza solenne e il suo fascino senza tempo si presta perfettamente ad ospitare una mostra di tale portata.
La co-curatrice Vittoria Mainoldi ha descritto l’allestimento come un affascinante viaggio attraverso la ricerca espressiva di Joan Miró, con un focus particolare sul suo rapporto con la grafica e le diverse tecniche di stampa. La mostra si concentra soprattutto sugli ultimi trent’anni della vita dell’artista, periodo in cui si dedicò intensamente alla sperimentazione, producendo alcune delle sue opere più emblematiche. Un aspetto fondamentale di questa esposizione è il tentativo di smontare il pregiudizio che spesso considera la stampa, e in generale il lavoro su carta, come una ‘sorella minore’ della pittura. Mainoldi ha sottolineato l’importanza di valorizzare queste opere, non solo come parte integrante del percorso artistico di Miró, ma anche per celebrare le tecniche della grafica: un ambito, quest’ultimo, che i grandi interpreti del Novecento, come lo stesso Miró, hanno saputo esplorare con grande maestria, in un tentativo di democratizzazione dell’arte. La stampa, difatti, si distingue come un metodo di espressione economico, grazie ai costi relativamente più bassi e ai tempi di realizzazione più rapidi rispetto alla pittura, che la rendono quindi più riproducibile e in grado di raggiungere un pubblico più vasto. È così che nel secondo dopoguerra, come ha osservato Mainoldi, nasce una vera e propria rivoluzione culturale, che ha avuto l’obiettivo di portare l’arte nelle case di tutti. Un processo che culminerà nella Pop Art e nell’esperienza di Andy Warhol con la sua celebre Factory.

Vittoria Mainoldi, Achille Bonito Oliva e Vincenzo De Notaris – Foto: Mario Severino
Un ruolo determinante nel successo di Miró nel mondo della grafica è stato svolto dal gallerista ed editore Aimé Maeght, il quale, lungimirante nel comprendere l’importanza della stampa, mise a disposizione degli artisti un atelier all’avanguardia. Pertanto, si creò un ambiente ideale per Miró dove poter esplorare e perfezionare nuove tecniche. Ben inserito nell’ambiente culturale contemporaneo, egli collaborò con numerosi artisti ed editori, illustrando riviste, spettacoli teatrali, copertine di album musicali e poesie. Le opere per i componimenti di Paul Éluard, Tristan Tzara, René Char e Jacques Prévert testimoniano il suo impegno nel fondere la poesia con l’arte visiva. Mainoldi definisce Mirò come “un poeta che ha deciso di esprimersi tramite l’arte visiva”, e la sua produzione è il riflesso di una lingua poetica unica, fondata su un tratto controllato ma anche su un impulso gestuale che sfida le convenzioni artistiche.
Su questo spunto ha preso la parola Achille Bonito Oliva, affermando che Mirò, per esprimersi, ha inventato un linguaggio completamente suo, originale, a cui lo spettatore non è abituato e che non riesce a leggere con chiarezza, rimanendone spiazzato. In bilico tra pittura astratta e figurativa, l’autore catalano crea una sintassi visiva fondata sulla relazione tra segno, ritmo e spazio. La sua arte è una sorta di regressione a uno stadio primitivo, come un ritorno alla purezza infantile o al linguaggio animistico delle prime forme umane, che riduce ogni complessità a un’essenza elementare. La produzione di Mirò – ha concluso Oliva – “si fa conoscere ed apprezzare per la sua capacità di suscitare energia, scarto e sorpresa, quale capacità irruenta e catastrofica dell’opera, di entrare nelle nostre menti e sconvolgerle.”

Les agulles del pastor (1973) – Litografia originale a colori – Foto da comunicato stampa
Le sette sezioni della mostra
Il percorso espositivo della mostra Joan Miró: per poi arrivare all’anima è articolato in sette sezioni, ognuna delle quali esplora un aspetto fondamentale dell’universo artistico e poetico dell’autore catalano, rivelando il suo profondo legame con la grafica, la letteratura e le arti performative.
La prima, Miró e il mondo dell’editoria, ci introduce al Miró editoriale, un aspetto della sua carriera spesso sottovalutato. Qui l’artista emerge non solo come pittore, ma anche come protagonista di un dialogo tra immagine e parola. La grafica diventa mezzo per rendere l’arte accessibile, democratizzandola attraverso il libro d’arte, che Miró considera un terreno di sperimentazione. Il rapporto con poeti e scrittori viene illustrato con evidenti rimandi alle sue collaborazioni con figure come Paul Éluard e Tristan Tzara.
La seconda sezione, Miró litografo, è un tributo alla sua passione per la litografia; una tecnica che gli permise di liberare la sua creatività in nuove forme. Collaborando con le storiche stamperie Mourlot e Maeght, Miró esplorò le potenzialità della litografia come mezzo di invenzione artistica. Le opere esposte, come quelle dei volumi Lithographe I e II, mostrano la sua evoluzione tecnica, che riesce a fondere innovazione e tradizione, portando la grafica a un nuovo livello di espressività.

Litografo I (1972) – Litografia originale a colori – Foto da comunicato stampa
La terza sezione, Femmes, Oiseaux, Personnages, è un’immersione nell’iconografia più intima e riconoscibile di Miró: figure femminili stilizzate, uccelli che volano verso l’infinito e personaggi enigmatici, che sembrano sfidare le categorie tradizionali della figurazione. Questi soggetti, spesso simbolici e universali, sono raccontati attraverso linee e colori che trasmettono un senso di libertà e di energia, tipico della sua ricerca espressiva.
Scrittori, Artisti, Amici, la quarta sezione, si concentra sulle interazioni intellettuali che hanno segnato la vita e la carriera di Miró. Non solo pittore, ma anche membro di una rete di creativi, egli ha avuto un rapporto continuo con poeti, artisti e scrittori. In questa sezione viene esplorato l’aspetto collettivo della sua produzione: un legame che ha arricchito il suo percorso e dato vita a opere che sfidano le convenzioni artistiche del suo tempo.

Nocturn catala (1972) – Acquaforte a colori – Foto da comunicato stampa
La quinta sezione, Musica e teatro, evidenzia l’interesse di Miró per le avanguardie teatrali e musicali, con particolare attenzione alla sua collaborazione con il movimento della Nova Cançó catalana. Egli non era solo un pittore, ma anche un curioso sperimentatore delle forme artistiche a cavallo tra visivo e sonoro. In questa sezione, il pubblico può apprezzare anche le sue copertine discografiche, concepite come veri e propri oggetti poetici che univano pittura, parola e musica in un’esperienza totale.
La sesta sezione, Ubu Roi, è una riflessione sulla sua celebre collaborazione con la figura di Ubu, il personaggio assurdo e anarchico creato dal drammaturgo Alfred Jarry. Le litografie a lui dedicate mostrano come Miró, con il suo tratto unico, riuscì a trasformare la satira teatrale in una potente espressione visiva, giocando con le forme e le proporzioni per rendere l’assurdo visibile.

Ubu Roi (1966) – Litografia originale a colori – Foto da comunicato stampa
Infine, Parole e segni ci porta al cuore del linguaggio estetico dell’autore catalano, dove segno, simbolo e colore si mescolano per creare un alfabeto personale, ovvero un codice che permette all’artista di raccontare storie senza parole. In questa sezione il pubblico è invitato a esplorare la sua poetica visiva, che non fornisce risposte definitive, ma stimola l’immaginazione e la riflessione di ciascun osservatore, lasciando spazio a una lettura aperta e soggettiva.
Per poi arrivare all’anima: nel titolo della mostra il fine ultimo dell’arte di Miró
Il titolo della mostra, Per poi arrivare all’anima trae ispirazione da una celebre citazione di Miró: “Ho difficoltà a parlare della mia pittura, perché nasce sempre da uno stato allucinatorio, suscitato da un contraccolpo qualsiasi, oggettivo o soggettivo che sia, e di cui non sono in alcun modo artefice. Quanto ai miei mezzi d’espressione, sempre più mi sforzo di giungere al massimo grado di chiarezza e di potenza e di aggressività plastica, ossia di risvegliare dapprima una sensazione fisica, per poi arrivare all’anima.” In queste parole è sintetizzata la continua ricerca di Miró, il cui lavoro non si ferma alla superficie, ma cerca di toccare l’anima dello spettatore attraverso un linguaggio visivo che è tanto intuitivo quanto sperimentale.

Panoramica della mostra – Foto: Mario Severino
Come ha spiegato Bonito Oliva, Miró si può definire un artista “felicemente indeciso”, capace di rompere le convenzioni e sperimentare in maniera costante. La sua arte è una “misura” delle forme, un equilibrio tra il caos e l’ordine, tra l’impulso e la razionalità. La sua libertà espressiva è la chiave del suo successo e della sua capacità di lasciare un segno indelebile nella storia dell’arte contemporanea. La mostra Joan Miró: per poi arrivare all’anima, che resterà aperta fino al 19 aprile 2026, rappresenta una straordinaria opportunità per scoprire un lato meno conosciuto del genio catalano. Non solo una celebrazione della grafica, ma anche un omaggio alla sua visione estetica complessa, affascinante, democratica e accessibile. Secondo Bonito Oliva, Miró non vuole mandare messaggi precisi, ma piuttosto invita il pubblico a interpretare la sua arte, a farla propria e a sentire quella “sensazione fisica” che, come il maestro stesso diceva, conduce “all’anima.”
