Un momento della presentazione – Foto: Giorgio Manusakis

Presentata nel museo napoletano la mostra Tesori ritrovati – Storie di crimini e reperti trafugati, in cui si possono ammirare 600 capolavori trafugati, recuperati ma ancora mai esposti perché sotto sequestro giudiziario.

L’11 aprile, presso l’Auditorum del Museo Archeologico Nazionale di Napoli (Mann), si è tenuta la conferenza stampa di presentazione della mostra Tesori ritrovati – Storie di crimini e reperti trafugati, allestita nelle nuove sale site al terzo piano del Mann e visitabile fino al prossimo 30 settembre. Sono intervenuti, nell’ordine, il direttore generale dei musei, prof. Massimo Osanna, il comandante dei Carabinieri per la tutela patrimonio culturale, gen. Francesco Gargaro, il mag. Massimo Esposito, dei Carabinieri del nucleo di Napoli tutela patrimonio culturale, il procuratore aggiunto Pierpaolo Filippelli della procura di Napoli e, infine, il capo dipartimento per la tutela del patrimonio culturale e del paesaggio, Luigi La Rocca. Tutti gli interventi hanno sottolineato l’importanza della collaborazione tra le varie istituzioni affinché fosse possibile realizzare questa mostra. Già, perché questa non è un’esposizione qualsiasi; i capolavori che si ammirano non sono selezionati reperti del museo o in prestito da altre istituzioni museali o da privati, ma opere d’arte trafugate, recuperate, sequestrate e, fino a oggi, custodite nei depositi del Mann anche denominati, appunto, “Sing Sing”. Questa mostra dimostra anche quanto sia importante che il patrimonio storico artistico vada recuperato in ogni modo dalle istituzioni che procedono nel discorso della legalità, perché ogni manufatto, ogni pezzettino di oggetto d’arte va tutelato e riconosciuto come la nostra identità umana e diffuso per la trasmissione di questi valori all’intera umanità.

Testa di atleta, datazione incerta – Foto: Giorgio Manusakis

Non è stata un’operazione semplice quella appena descritta in poche righe, basti pensare che i reperti esaminati sono oltre 15.000 e per ognuno di essi si è cercato, non sempre con successo, di ricostruire il percorso storico ma anche giudiziario, una ricerca tutt’altro che semplice, che ha visto coinvolti la procura di Napoli, il Mann, i Carabinieri e l’Università Federico II di Napoli. Inoltre gravava su di essi il sempre presente fardello, tutto italiano, della burocrazia, tant’è che queste opere, come ancora purtroppo per molte altre, essendo corpo di reato erano sottoposte a sequestro giudiziario. Per giungere ad una confisca, e poterle poi assegnare definitivamente al Mann, è stata necessaria una stretta collaborazione, definita dal procuratore Filippelli rara se non unica in Italia, tra la procura e le varie altre istituzioni coinvolte.

Cratere raffigurante l’uccisione di Egisto, 470 a.C. – Foto: Giorgio Manusakis

L’itinerario della mostra è suddiviso in cinque sezioni tematiche: il collezionismo; la dimensione transnazionale del mercato illegale e le strategie messe in atto per contrastarlo; i casi giudiziari di particolare risonanza; le falsificazioni e, infine, le vicende ancora aperte di opere trafugate e ancora non restituite allo Stato.

Sono esposti seicento reperti provenienti dall’intero Mezzogiorno d’Italia e datati dall’età arcaica al Medioevo; tra essi troviamo splendidi vasi, statue, affreschi, ma anche armi, armature, oggetti di vita quotidiana e un paio di curiosità, ovvero alcuni falsi e gli strumenti usati dai tombaroli.

Gli attrezzi del tombarolo – Foto: Giorgio Manusakis

Nei pannelli esplicativi si possono leggere storie curiose, al punto da sembrare talvolta assurde, che narrano di come sia stato possibile recuperare alcuni reperti. Già, perché tutti sappiamo della presenza, fin dall’antichità, dei tombaroli, che vanno in cerca di antichi tesori d’arte scavando coi loro strumenti alla ricerca di tombe e reperti antichi, ma quello che racconta questa mostra va ben oltre: si parte dall’archeologo francese che paga 50.000 lire al contadino pompeiano per ogni reperto che trova nella sua terra mentre ci lavora, e si arriva al condominio del quartiere Fuorigrotta di Napoli che, per ben 80 anni, tiene nel suo cortile una statua colossale del I sec. d.C.; ma c’è anche il farmacista che si faceva pagare con reperti archeologici, veri ma anche falsi, le sostanze psicotrope che vendeva ad un tossicodipendente. Uno dei capolavori più belli in esposizione, inoltre, ovvero tre lastre affrescate della cosiddetta Tomba del Cavaliere di Paestum datate al IV sec. a.C., facevano parte della collezione privata della “divina” per eccellenza: Maria Callas.

Una delle tre lastre pertinenti alla cosiddetta ‘Tomba del Cavaliere’, IV sec. a.C. – Foto: Giorgio Manusakis

Quanto detto finora dovrebbe bastare a far comprendere perché questa è una mostra davvero molto particolare e altrettanto interessante. Ci sono opere d’arte stupende e mai esposte prima di oggi, e già questo dovrebbe bastare a farne capire l’importanza. Inoltre sono anche raccontate storie davvero curiose e particolari, che rendono la visita ancora più piacevole anche a chi non è un fan dei musei ma, magari, un appassionato di gialli, e in questa mostra, come detto, troverà storie che difficilmente potrà leggere anche nel più fantasioso libro e, inoltre, potrà vedere con i suoi occhi il capolavoro che ne è protagonista.

Statua di satiro, I sec. a.C. – Foto: Giorgio Manusakis

4 pensiero su “Da “Sing Sing” al mondo: finalmente visibili alcuni dei tesori nascosti del Mann”

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