‘Dry River’ – Foto: Menandros Manousakis
Negli ultimi anni la ricerca sugli effetti sulla salute umana di un mondo in continuo cambiamento ha registrato un notevole sviluppo.
L’analisi dell’impatto del cambiamento climatico sulla salute mentale non aveva ricevuto, almeno fino a poco tempo fa, particolare attenzione. Infatti, gli studi che collegano tale fenomeno naturale alla dimensione psicologica e sociale sono aumentati solo a partire dal 2010. In tal senso è emerso il concetto di “ecoansia”, un termine che descrive le esperienze di ansia derivanti dalle crisi ambientali. Secondo i più recenti studi, la forma predominante di tale malessere è di origine antropogenica, includendo quindi il riscaldamento globale, l’innalzamento del livello del mare e l’intensificazione di disastri naturali ed eventi meteorologici estremi.
Cause ed effetti dell’ecoansia
Con il termine “ecoansia” si indica quindi una sensazione di disagio e paura derivante dalla frequente preoccupazione che si possano verificare disastri ambientali connessi al cambiamento climatico. In ambito psicologico, il termine viene utilizzato per indicare forme sub-cliniche di inquietudine, senso di colpa e depressione, scatenate dal pensiero e dalla riflessione sui mutamenti del clima. L’ecoansia si collega quindi ad un senso di preoccupazione, paura o ansia diffusa.
Se alcuni studiosi evidenziano come essa non sia ancora riconosciuta come un disturbo d’ansia formale ma piuttosto come una reazione comprensibile alla gravità della crisi ecologica, altri invece hanno affrontato il fenomeno da un punto di vista differente. Nel 2021 un gruppo di scienziati ha elaborato la Hogg Eco-Anxiety Scale, una scala di valutazione che include 13 voci per misurare l’eco-ansia, mettendo in evidenza come le preoccupazioni derivanti da diverse problematiche ambientali, come ad esempio il cambiamento climatico e il degrado ecologico, siano in realtà strettamente interconnesse. Nel 2018 l’American Psychological Association (APA) ha pubblicato un rapporto in cui si evidenzia che la lentezza dei cambiamenti climatici può scatenare una serie di emozioni diverse tra loro, tra cui paura, rabbia, sensazioni di impotenza e di stanchezza generalizzata. In generale, l’ecoansia sembra avere un impatto maggiore sui giovani adulti. L’APA, all’interno del suo rapporto, ha paragonato tale disturbo alle paure che le persone nutrivano durante la ‘guerra fredda’, quando si temeva l’eventualità di un conflitto nucleare.
Secondo i dati dell’Istituto Noto, in Italia le persone preoccupate per i cambiamenti climatici, e che dunque guardano al futuro con sfiducia, sono pari al 72%: praticamente tre cittadini su quattro. Secondo i dati ISTAT, nel nostro Paese il 70,3% dei giovani tra i 14 e i 19 anni si dice preoccupato per i mutamenti del clima. A questo proposito, UNICEF Italia e BONFIRE hanno raccolto una serie di testimonianze di ragazzi che hanno vissuto episodi di ecoansia.
Come evidenziato da Josh Wortzel, ricercatore della Brown University specializzato nell’analisi del legame tra cambiamento climatico e salute mentale, le alte temperature e i rapidi sbalzi termici alterano le funzioni cerebrali, compromettendo il sonno e influenzando i neurotrasmettitori e gli ormoni vitali, come la serotonina, quest’ultima fondamentale per la regolazione dell’umore e il controllo dell’aggressività.

‘Ecoansia’ – Foto: Menandros Manousakis
Manifestazioni di ecoansia e fattori di vulnerabilità
L’ecoansia può manifestarsi in diverse modalità; alcuni sperimentano episodi quotidiani di tristezza, altri crisi di panico improvvise. Un concetto strettamente connesso a questa condizione è quello di ‘solastalgia’, che descrive il dolore e la nostalgia che si provano quando l’ambiente di una persona subisce danni a causa del cambiamento climatico. Il termine, coniato dal filosofo ambientale australiano Glenn Albrecht, si riferisce all’impatto psicologico dei danni ecologici, come nel caso degli abitanti della Upper Hunter Valley in Australia, colpiti dall’estrazione del carbone. I sintomi della solastalgia, che possono essere acuti o cronici, sono stress, alienazione, depressione, ansia, senso di perdita, disturbi del sonno, tendenze suicide e aumento dell’aggressività.
Alcuni gruppi, come i giovani, risultano più vulnerabili all’ecoansia. Inoltre, le persone che vivono in zone particolarmente esposte a danni ambientali e al cambiamento climatico, così come quelle che sono costantemente in contatto con notizie sulla crisi ecologica, sono più soggette a stress. Secondo alcuni studi le donne sembrano essere più sensibili rispetto agli uomini. Indipendentemente dalla sua manifestazione, l’ecoansia ha un impatto significativo sul benessere psicologico e il fenomeno sta iniziando a preoccupare gli psicologi, che segnalano un significativo aumento dei casi con i sintomi descritti.
Uno dei problemi più diffusi, legato all’ecoansia ma più in generale anche alla vita frenetica che spesso siamo costretti a fare, è la sensazione di stress. Gli effetti di quest’ultimo sulla salute sono ampiamente documentati e tra i rischi comuni vi sono ipertensione, malattie cardiache, obesità e diabete. Gli studiosi stanno cercando di comprendere come il cambiamento climatico contribuisca ad aumentare i livelli di stress, osservando che le conseguenze psicologiche delle catastrofi climatiche sono molto più disastrose rispetto ai danni fisici riportati dai soggetti colpiti. Le persone colpite da eventi meteorologici estremi possono sviluppare stress post-traumatico, depressione e ansia. La perdita della casa, dei beni o di persone care ha effetti devastanti sul benessere psicologico. Una ricerca dell’Union Concerned Scientists del 2010 afferma che i soggetti che affrontano disastri naturali possono sviluppare problemi di natura psicologica in una percentuale tra il 25% e il 50%.
Gestire l’eco-ansia nel cambiamento climatico
L’ecoansia rappresenta sicuramente una delle sfide dei nostri tempi. Non parlare di cambiamento climatico è diventato ormai impossibile e le sfide da affrontare, sia a livello individuale che istituzionale, sono molteplici. La risposta, tuttavia, non può essere ricercata sul piano personale proprio perché le crisi e i mutamenti climatici rappresentano problemi di natura globale connessi alle emissioni delle grandi industrie e alla devastazione ambientale creata da numerose multinazionali che, nel corso degli anni, hanno sversato rifiuti tossici a discapito delle comunità locali. È necessario quindi fare pressione sui governi per arrivare all’approvazione di leggi – come è avvenuto in Cile per la questione dell’ecocidio – che sanzionino in maniera efficace le aziende responsabili della devastazione ambientale. Oltre al piano strettamente legislativo, è poi necessario riflettere in termini più estesi ed equi alla transizione ecologica, evitando di gravare ulteriormente su paesi già in difficoltà. La diffusione dell’ecoansia, proprio perché connessa ai fattori ambientali, ci deve portare a chiederci se le decisioni che stiamo prendendo sono utili a contrastare effettivamente la crisi climatica e se gli sforzi fatti finora siano stati indirizzati verso le giuste soluzioni.