Tavola periodica degli elementi – Licenza: CC BY 3.0, via Wikimedia Commons

Da diverso tempo, nelle cronache di politica internazionale riferite, in particolare, agli accordi tra l’Ucraina e gli Stati Uniti si parla di ‘terre rare’. Scopriamo insieme di cosa si tratta.

Le prime domande che nascono spontaneamente per coloro che non ne hanno mai sentito parlare, o ne sanno poco, sono: cosa sono le ‘terre rare’ e come vengono utilizzate? Dove è possibile reperirle e a quali costi, sia dal punto di vista economico che ambientale? Perché sono diventate tanto importanti in questo momento storico?

Cosa sono le “terre rare” e come vengono utilizzate

Il termine “terre rare” è utilizzato ufficialmente dalla IUPAC (International Union of Pure and Applied Chemistry) per definire un gruppo di 17 elementi chimici costituito dai 15 lantanidi (quelli nella tavola periodica di numero atomico da 57 a 71, ovvero Lantanio, Cerio, Praseodimio, Neodimio, Promezio, Samario, Europio, Gadolinio, Terbio, Disprosio, Olmio, Erbio, Tulio, Itterbio e Lutezio), oltre a scandio e ittrio (numero atomico 21 e 39 della tavola periodica). Per identificare questi elementi viene comunemente utilizzato, a livello internazionale, l’acronimo REE (Rare Earth Elements).

Senza addentrarci in argomentazioni tecnico-scientifiche sui singoli elementi, possiamo dire che il termine “terra rara” ha un valore storico. Le suddette sostanze, infatti, vennero per la prima volta isolate, nel 1787, in ossidi non comuni trovati nel minerale galodinite. Nella realtà la concentrazione media di REE sulla crosta terrestre non è assolutamente scarsa, tutt’altro, e comunque di molto superiore a elementi conosciuti a tutti come l’oro o il platino. Tuttavia, non trattandosi di metalli puri e quindi reperibili in natura allo stato nativo, i giacimenti che hanno concentrazioni tali da consentire un’estrazione profittevole sono veramente pochi. Inoltre, la loro estrazione, e soprattutto la loro separazione, risulta tecnicamente difficoltosa per alcune specifiche caratteristiche chimiche che li accomunano. Non a caso la parola “lantanidi” viene dal greco “λανθάνω” (lanthanein), che significa stare nascosto, proprio per sottolineare la difficile estrazione di tali minerali.

Per estrarre tali sostanze si usano solventi organici, separazione magnetica o temperature intorno ai 1000 gradi; tutte metodiche, secondo una ricerca di Juan Diego Rodríguez-Blanco, professore di Nanomineralogia al Trinity College di Dublino, molto aggressive per l’ambiente e non performanti, poiché più del 50% delle “terre rare” è destinato a perdersi nel corso della lavorazione. Per il settore industriale ad elevato livello tecnologico le “terre rare” sono sempre state ambite, anche perché sostanzialmente insostituibili, soprattutto per le loro proprietà magnetiche: il neodimio, ad esempio, utilizzato in una lega metallica con boro e ferro, permette la costruzione di magneti molto più potenti di quelli tradizionali realizzati in ferrite. Per questo la suddetta lega viene utilizzata per la costruzione di magneti permanenti ad alta resistenza, usati, ad esempio, per la produzione dei motori elettrici, delle ormai sempre più diffuse turbine eoliche ed altro.

Quindi, molte delle cose comuni che usiamo e che, direttamente o indirettamente, agevolano la nostra vita, contengono “terre rare”: uno smartphone può contenere fino a 62 diversi tipi di metalli. Le “terre rare”, quindi, svolgono un ruolo vitale nel funzionamento dei dispositivi tecnologici. Molti dei colori vivaci, rosso, blu e verde, degli schermi sono dovuti a tali elementi, che sono cruciali nella realizzazione di altoparlanti e in molti altri dispositivi high-tech, quali computer, laser, obiettivi di fotocamere, lampadine fluorescenti, reti 5G; l’erbio, ad esempio, è utilizzato nelle fibre ottiche per amplificare i segnali luminosi, permettendo la trasmissione di dati a lunga distanza (vedi la banda larga dei collegamenti internet).

Fibre ottiche – Autore foto: BigRiz – Licenza: CC BY-SA 3.0, via Wikimedia Commons

I preziosi materiali giocano un ruolo importantissimo anche nell’ambito della produzione di energie rinnovabili. Basti pensare agli impianti eolici, ai pannelli solari fotovoltaici ad alta efficienza e alle tecnologie di stoccaggio dell’energia, come le batterie per i veicoli elettrici. Se poi guardiamo all’ambito sanitario basta citare il gadolinio, che sino al 2018 è stato utilizzato come mezzo di contrasto per le risonanze magnetiche nucleari, per la sua idoneità ad estremizzarne le capacità diagnostiche, anche se successivamente il suo utilizzo è andato scemando a seguito di un’indagine dell’Agenzia Europea dei Medicinali (EMA) che scoprì un suo possibile accumulo nei tessuti cerebrali.

Gadolinio – Autore foto: Jurii – Licenza: CC BY 3.0, via Wikimedia Commons

Naturalmente l’utilizzo di “terre rare” è legato anche alla produzione di tecnologia militare. Le nuove applicazioni di difesa hanno determinato un aumento significativo della domanda di questi preziosi minerali, soprattutto per la produzione dei motori di caccia, ma anche di navi da guerra equipaggiate con sistema Aegis Combat System (un sistema di difesa che opera nei domini marittimi, aerei, terrestri, spaziali e informatici) nonché di strumenti di difesa antimissilistica, di satelliti, di sistemi di comunicazione. Un esempio emblematico in tal senso è il grande uso di “terre rare” nella produzione dei caccia F-35 (prodotti dalla Lockheed Martin) che richiede circa 415 Kg di questi elementi.

Ma forse la frontiera che può portare il profitto maggiore per le REE è quella collegata all’uso dell’intelligenza artificiale (AI), che prevede l’uso di chip sofisticati e consiste in algoritmi in grado di emulare le capacità di apprendimento umano. Soprattutto Cina e U.S.A. stanno sperimentando tecnologie che possono sostituire gli esseri umani nelle loro attività quotidiane. Pensiamo, ad esempio, allo sviluppo di chatbot (che deriva dalla fusione di due parole: “chat”, conversare, e “bot”, robot): Google Assistant, Alexa di Amazon, Siri di Apple, Cortana di Microsoft sono sistemi in grado di pensare e scrivere come gli umani. Inoltre l’AI potrebbe essere d’aiuto anche per la scoperta di nuovi giacimenti minerari tramite satelliti, facendo risparmiare tempo e denaro.

Quali sono i paesi con le maggiori riserve di terre rare? 

Le riserve di “terre rare” nel mondo sono stimate tra 120 e 150 milioni di tonnellate, localizzate principalmente in Cina (38% delle riserve mondiali), seguita da Brasile e Vietnam (il 18%), Russia (15%), Stati Uniti, Australia, Canada, India, Sudafrica, Tailandia e Malesia (anche se non da tutti adeguatamente sfruttate). Il più grande giacimento cinese si trova nella provincia della Mongolia interna e precisamente nel distretto di Bayan Obo (fonte della Fondazione Leonardo). Peraltro la Cina, che si è avvantaggiata nello sfruttamento attraverso un percorso avviato a partire dagli anni Novanta, grazie ai bassi costi di produzione e ai forti investimenti in infrastrutture e tecnologia, oggi può vantare una condizione, se così possiamo dire, di monopolio anche grazie all’acquisizione di diritti esclusivi di estrazione in diversi paesi dell’Africa, in cambio di un suo impegno per lo sviluppo e la realizzazione di opere infrastrutturali in loco.

Va detto anche – e i dati sopra accennati lo dimostrano – che se è vero che la concentrazione di “terre rare” non è poi così scarsa sulla terra, è un dato altrettanto certo che la loro distribuzione geografica è caratterizzata da una grande disomogeneità, con pochi giacimenti di grandi dimensioni situati in pochi stati i quali, così, ne condizionano il commercio, con conseguenze sugli equilibri dello scacchiere geo-politico mondiale. Per questo motivo la ricerca di “terre rare” va allargando i suoi orizzonti e diversi stati, in competizione tra loro, ma anche privati – chiaramente quelli con una economia forte – non solo stanno scandagliando le profondità marine (“deep sea mining, il processo di scavo e di estrazione di depositi minerari nelle profondità oceaniche), ma stanno guardando con sempre maggior interesse alle prospettive della New Space Economy e, quindi, alla possibilità concreta di estrazione dalla Luna. L’esplorazione del nostro satellite negli ultimi anni ha registrato un grande interesse geo-economico anche per la presenza di diverse “terre rare”. Pertanto è iniziata una vera e propria ‘corsa alla Luna’, favorita non solo dalla disponibilità di tecnologie atte all’estrazione, ma anche dalla disponibilità di vettori riutilizzabili, ad esempio quelli della società SpaceX (un grande progetto imprenditoriale di conquista dello spazio intrapreso dall’imprenditore statunitense Elon Musk), che consentirebbe un contenimento dei costi di trasporto delle risorse. L’esplorazione fuori dalla Terra ha condotto a grandi scoperte e campioni del suolo lunare e degli asteroidi hanno rivelato grandi quantità di minerali che, se potessero essere estratti e portati sulla Terra, varrebbero moltissimi soldi.

Lancio dell’Iridium 1 della società SpaceX- Autore foto: SpaceX – Licenza: CC0, via Wikimedia Commons

Gli impatti economico-ambientali e i possibili rimedi

Abbiamo parlato di una certa abbondanza di REE; tuttavia, il loro sfruttamento, come detto, è significativamente costoso sia in termini economici che di impatto ambientale. Infatti, la loro estrazione è legata a un procedimento di lavorazione, raffinazione e purificazione molto elaborato. Il materiale viene trattato attraverso vari passaggi che lasciano per strada una gran quantità di scarti tossici, con un costo ambientale elevatissimo (è stato calcolato che la lavorazione di una tonnellata di metalli delle “terre rare” produce circa 2.000 tonnellate di rifiuti tossici). A ciò si aggiunge che, come tutte le attività minerarie di grande portata, anch’essa va ad impattare sulla salute dei lavoratori dei siti estrattivi e delle persone che vivono nelle loro vicinanze. Non a caso sono stati osservati effetti di bioaccumulo di “terre rare”, con conseguente sviluppo di importanti patologie, in popolazioni che vivono nelle vicinanze di giacimenti. Nefaste sono le conseguenze sulle acque, nel caso non venga attuata una adeguata depurazione per eliminare i reagenti chimici utilizzati per l’estrazione, il processamento e il riciclo dei minerali (ad esempio solfati, ossalati o agenti estraenti). Ma certamente l’aspetto più critico è rappresentato dallo smaltimento degli elementi radioattivi (vedi il torio e l’uranio) presenti in tali sostanze in quanto i residui della lavorazione possono presentare una radioattività residua non trascurabile.

Barili di rifiuti radioattivi – Autore foto: ShinRyu Forgers – Licenza: CC BY-SA 4.0, via Wikimedia Commons

Da ultimo, va considerato l’importante impatto sulla qualità dell’aria: si calcola che per l’estrazione di 1 kg di samario, europio e gadolinio vengano rilasciati in atmosfera 55 kg di anidride carbonica; un numero importante, se si considera che la quantità di CO₂ rilasciata durante l’estrazione, ad esempio, di 1 kg di rame si attesta intorno ai 2,6 kg. 

Esempi significativi delle conseguenze sull’ambiente e sulla salute dell’uomo, connesse alle attività estrattive, ci provengono proprio da U.S.A. e Cina. Negli Stati Uniti lo sfruttamento della Miniera di Mountain Pass, a 85 chilometri a sudovest di Las Vegas – che dalla scoperta e fino agli anni Novanta ha rappresentato la maggiore fonte di “terre rare” del secolo scorso e che oggi rappresenta ancora il 15% della produzione mondiale – ha comportato un prezzo altissimo per l’ecosistema californiano. Qui, infatti, sono stati sversati, fra la metà degli anni Ottanta e la fine del decennio successivo del Novecento, circa 2.300 litri di acque reflue radioattive e altri rifiuti pericolosi nel suolo desertico della regione. In Cina, secondo l’Associazione cinese delle terre rare (C.S.R.E.), per ogni tonnellata di metalli rari estratti vengono scartati tra i 9.600 e i 12.000 metri cubi di rifiuti sotto forma di gas – a loro volta contenenti polveri concentrate, acido fluoridrico, anidride solforosa e acido solforico – e vengono prodotti circa 75 metri cubi di acque reflue acide e una tonnellata di rifiuti radioattivi. A dimostrazione di ciò, un rapporto del 2015 dell’Istituto di Scienze Geografiche e di Ricerca sulle Risorse Naturali di Beijing, nonostante la scarsità di studi sugli effetti diretti dell’attività mineraria sulla popolazione di Bayan Obo, segnalava già un’elevata vulnerabilità degli abitanti locali all’esposizione alla polvere di questi metalli.

In considerazione del fatto che non esistono in natura, al momento, delle concrete alternative alle “terre rare”, per procedere verso una transizione ecologica che possa garantire un futuro sostenibile, evitando ulteriori danni a una già precaria condizione ambientale, sarà fondamentale elaborare nuove soluzioni: trovare nuove modalità di estrazione e lavorazione dei metalli; indurre, attraverso la ricerca e l’innovazione tecnologica, lo sviluppo di materiali alternativi per ridurre la dipendenza da questi elementi critici, favorendo una progressiva diminuzione della loro domanda. Una possibile soluzione è rappresentata anche da una promozione del riciclo efficiente e a ridotto impatto ambientale delle ‘terre rare’ dei prodotti a fine vita.

“Terre rare” e geopolitica internazionale

Appare evidente che occupare una posizione di primo piano nell’ambito del mercato globale delle “terre rare”, utili allo sviluppo del high tech e non solo, sarà molto importante per gli stati che vogliono sostenere le industrie ad alta tecnologia e allo stesso tempo condizionare le capacità tecnologiche dei paesi competitor. Un contesto del genere è destinato certamente a incidere, nei prossimi anni, sulle politiche internazionali, sia dal punto di vista economico che della sicurezza.

La Cina occupa, oggi, una posizione dominante del mercato, grazie alla ricchezza dei giacimenti e alla consolidata funzionalità delle sue industrie di raffinazione. Sebbene il Paese abbia solo poco più di un terzo delle riserve globali di “terre rare”, da sola controlla il 50-60% della loro estrazione globale e l’80-90% del mercato nella fase di lavorazione intermedia. Attualmente, il 98% della fornitura di terre rare dell’U.E. proviene dalla Cina e secondo un’analisi del Centro Studi Internazionali (CeSI), almeno nel breve periodo, lo scenario non è destinato a mutare, in quanto la gestione dei preziosi minerali è considerata dal Paese orientale una questione centrale in proiezione futura. Tramite i suoi piani, come quello del Made in China 2025, la potenza asiatica spinge verso una transizione energetica che richiede sempre maggiori quantità di “terre rare”, determinando un’impennata del loro uso interno, a discapito dell’esportazione verso altri paesi la cui domanda è in continuo aumento.

In tale contesto di supremazia, sia pure in posizione più defilata, si colloca anche la Russia che, potendo contare sulla sua esperienza nel settore minerario, si pone in posizione privilegiata nel mercato grazie alle risorse interne e alle iniziative condotte nei paesi africani. Sempre secondo il CeSI, se Russia e Cina arrivassero al controllo di tali risorse strategiche per lo sviluppo tecnologico, gli altri paesi – primi tra tutti gli U.S.A. e quelli dell’U.E – verrebbero a trovarsi in una situazione di dipendenza, come oggi accade in Europa per l’approvvigionamento energetico. Tale condizione porta a ipotizzare una ‘militarizzazione’ delle “terre rare” da parte di Cina e Russia che potrebbero essere usate come strumento di pressione politica e di deterrenza economica.

Pertanto, gli altri paesi hanno avviato una riflessione sulla diversificazione della fornitura dei minerali, volgendo lo sguardo verso altre opportunità e sulle risorse africane. In tale ambito un ruolo fondamentale lo gioca la supply chain, quella catena del valore che sia gli Stati Uniti che l’Europa mirano a rivedere per ridurre la dipendenza dalla Cina. A ciò vanno aggiunti i nuovi conflitti mondiali e, soprattutto, gli effetti della crescente rivalità tra Cina e Stati Uniti che non fa altro che determinare divisioni e danni per tutti i paesi, minando la crescita economica globale. Insomma, la questione sta diventando una vera e propria partita a scacchi in continua evoluzione, che potrebbe ridisegnare il futuro tecnologico del mondo intero.

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Titolo: Periodic table large-it
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Titolo: Fibreoptic
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Titolo: Gadolinium-2
Autore: Jurii
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Titolo: Iridium-1 Launch (32312419215)
Autore: SpaceX
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Titolo: TINT Radioactive wastes’ barrel
Autore: ShinRyu Forgers
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