Illusion – Foto: Menandros Manousakis

Al fenomeno naturale della paralisi ipnagogica, dal mondo antico alla modernità, sono associati spiriti, streghe e personaggi del folklore popolare.

a cura di Mario Severino

La ‘paralisi ipnagogica’ è uno stato fisiologico di paralisi dei muscoli scheletrici che avviene regolarmente durante le fasi del sonno. Il risvegliarsi temporaneamente in questo stadio, senza sapere di cosa si tratti, per la sua eccezionalità può creare notevole ansia o spavento. Sebbene questo disturbo duri molto poco, spesso chi ne soffre prova a gridare per chiedere aiuto, riuscendo al massimo a sussurrare debolmente e provando la sgradevole sensazione di sentire la propria voce soffocata da qualcosa di anomalo. Uno dei sintomi consiste in una forte pressione sul petto che in alcuni casi induce alla morte per soffocamento. Le paralisi nel sonno possono accompagnarsi alle illusioni ipnagogiche, allucinazioni generalmente macabre e spaventose – molto vivide essendo in una fase di transizione fra il sonno e la veglia – che il folklore ha personificato in sembianze umane o animali e spiegato in termini paranormali.

La prima descrizione di questo fenomeno nella cultura occidentale risale a Galeno, il quale si era posto il problema di identificarne le cause. I resoconti medievali sono pieni di descrizioni di fenomeni simili, spesso associati alla stregoneria. Dai sintomi espressi dalle persone che avevano sperimentato queste condizioni, si credeva che esse fossero state visitate da spiriti chiamati dai romani Incubi (Incubus) o, nella versione femminile, Succubi (Succubus).

Rilievo di Pan in groppa di un mulo itifallico – Copia romana da originale tardo-ellenistico – Museo Archeologico Nazionale di Napoli (Mann) – Foto: Giorgio Manusakis

Incubus: le identificazioni con Fauno, Pan, Satiri e Silvani

Col termine incubo (dal latino “incubare”, “giacere sopra”), nella tradizione romana viene indicato uno spirito malefico che opprime la persona nel sonno, causandole un senso di soffocamento o congiungendosi carnalmente con essa. Come tale, Incubus trova rispondenza in figure analoghe quali l’Efialte (᾽Εϕιάλτης) in Grecia, il Mahr nel mondo germanico e più divinità demoniache mesopotamiche, tra cui la più nota Lilith.

Plinio parla degli Incubus ed in primo luogo del loro potere di generare incubi dopo essersi accoppiati con uomini, donne e animali, ma poi assume un approccio scientifico e descrive i rimedi offerti dalla medicina popolare per tutelarsi da tali situazioni ricorrenti: “massaggi mattutini e serali fatti con un decotto di lingua, occhi, fiele e interiora di serpente, lasciato a raffreddare in vino e olio per un giorno e una notte”. Nel Somnium Scipionis di Macrobio gli Incubus sono dei fantasmi che entrano nella mente del malcapitato nel momento di passaggio tra il sonno e il dormiveglia.

La interpretatio romana è piuttosto varia e fornisce una certa varietà di fisionomie. Le fonti tarde e sporadiche ne precisano le caratteristiche come manifestazione visiva e notturna di FaunoIncubus rientra infatti tra i nomi secondari di questa divinità. Egli è notoriamente associato al dio greco Pan, dal cui nome deriva il sostantivo panico – originariamente timor panico o terror panico – poiché il dio, quando si adira con chi lo disturba, emette grida terrificanti, provocando così una incontrollata paura. Il mito più famoso legato a questa caratteristica è la titanomachia, durante la quale Pan salva l’Olimpo emettendo un urlo e facendo fuggire Deltine.

Ritratto del Titano Anytos – Museo Archeologico Nazionale di Atene – Foto: Giorgio Manusakis

Come già affermato gli Incubus, oltre al terrore, incarnano una sessualità dirompente, altra caratteristica tipica di Pan/Fauno, il quale è generalmente rappresentato con un grande fallo in erezione. Nei miti lo troviamo accoppiarsi indiscriminatamente con donne, uomini ed animali e, trovando spesso difficoltà a causa del suo aspetto, è solito esercitare violenza sessuale o abbandonarsi all’onanismo. Nei primi secoli dell’era cristiana molte divinità pagane vengono demonizzate e i Fauni furono associati ai Satiri e ai Silvani.

Nel De civitate Dei di S. Agostino incubus è un termine sinonimo di Fauno: “È notizia assai diffusa e molti confermano di averlo sperimentato o di avere udito chi l’aveva sperimentato che i silvani e i fauni, i quali comunemente sono denominati ‘incubi’, spesso sono stati sfacciati con le donne e che hanno bramato e compiuto l’accoppiamento con loro.” Anche Isidoro di Siviglia accoglie l’identificazione tra demoni e fauni specificando che la caratteristica essenziale di queste creature è l’erotomania: “i demoni appaiono ai cristiani come incubi, cioè uomini bellissimi o succubi, ragazze seducenti, unendosi sessualmente con loro.”

Gli incubi continuarono a essere presenti nelle leggende medievali, dove la loro figura diventa più malvagia. Essi sottraggono energia dalla persona con cui giacciono per trarne nutrimento, uccidendola o lasciandola quasi soffocata. Tali demoni vengono citati nel celeberrimo Malleus Maleficarum e nel Daemonologie di Giacomo d’Inghilterra. Nel contesto della mitologia norrena, il poema Ynglingatal, del IX secolo, la Saga degli Ynglingar e l’Historia Norvegiae, del XIII secolo, raccontano della morte di re Vanlandi soffocato alle porte del sonno a causa del peso di un incubus inviato da una volva.

Insonnia – Foto: Vittorio Bianco

Le succubae: varianti sensuali degli incubi

Una versione femminile dell’incubo è chiamata succubo o succuba, un demone o un’entità soprannaturale di aspetto androgino che appare in sogno per sedurre gli uomini, di solito attraverso l’attività sessuale. Secondo la tradizione religiosa, tale figura ha bisogno di sperma per sopravvivere; l’attività sessuale ripetuta si traduce in un legame in cui il succubo prosciugherà o danneggerà l’individuo con cui sta avendo un rapporto. Tale personaggio è spesso raffigurato come una bella seduttrice o incantatrice, piuttosto che come figura demoniaca o spaventosa. Il succubo si presenta in generale come una bella donna, ma un’ispezione più attenta può rivelare deformità del suo corpo, come artigli, simili a quelli di uccelli, o code serpentine, avvicinandolo alla figura della sirena.

Il termine succubo deriva dal tardo latino succuba (amante), da succubare (giacere sotto; sub-sotto e cubare-giacere), verbo usato per descrivere la posizione sessuale implicita di questo essere. Secondo il Malleus Maleficarum queste figure raccolgono lo sperma dagli uomini che seducono. In questo modo si spiega come i demoni potessero apparentemente generare figli, nonostante la credenza tradizionale che fossero incapaci di riprodursi. A questo proposito si supponeva che i cambioni fossero creature deformi o più suscettibili alle influenze soprannaturali. Goffredo di Monmouth, iniziatore del ciclo arturiano, inserisce il mago Merlino tra questi personaggi. Egli, nascendo dall’unione di una principessa gallese e di un demonio, fin da subito manifesta dei poteri sovrannaturali; non diviene mago in seguito allo studio della magia, ma sviluppa le doti naturali ereditate dal padre infernale.

Fantasy – Foto: Menandros Manousakis

La paralisi ipnagogica nella fantasia popolare italiana

Diverse sono le figure del folklore italiano legate all’interpretazione popolare della paralisi ipnagogica. La pantafica è una figura spettrale abruzzese e marchigiana, personificazione dell’incubo. Ha spesso le sembianze di una vecchia strega che si materializza in camera del dormiente e gli impedisce di respirare. In alcuni casi assume invece l’aspetto di un grosso gatto nero. Per difendersi da essa è necessario dormire in posizione supina, mettere una scopa accanto al letto o sistemare un sacchetto di sabbia che la distrarrebbe costringendola a contare tutti i granelli.

Una figura simile è la trud, presente nella tradizione tirolese e ladina; rappresentata come una strega che penetra nottetempo nelle camere da letto passando per il buco della serratura, si siede sul petto delle persone e impedisce loro di respirare. In questo caso, per difendersi da essa, basterebbe farsi il segno della croce, cosa che però risulta difficile in una situazione di paralisi.

Nell’area del beneventano, la strega che agisce in questo modo prende il nome di janara. Secondo una credenza popolare, tale spirito si avverte con una pressione improvvisa al ventre, segno che si è appena seduto sulla persona dormiente. La janara entra in casa come il vento, è invisibile e quindi può muoversi senza essere vista, ma è possibile rendersi conto della sua presenza sentendosi accarezzare il viso da una mano gelida. Un segno del suo passaggio durante la notte è anche quello di svegliarsi col corpo ricoperto da segni e lividi, perché si dice che entri nei sogni della gente percuotendoli con i fasci dei rami della sua scopa. Similmente alla pantafica, per difendersi dalla janara bisogna riporre del sale grosso sul davanzale, così che questa passi tutta la notte a contarne i granelli, o una scopa di saggina capovolta fuori la porta, così che ne conti i rami.

Il mazapegul invece è un personaggio fantastico del folklore romagnolo, in particolare dell’Appennino forlivese, a metà strada tra l’incubus e il folletto, che può provocare peso al ventre e orribili sogni. Luciano De Nardis ce ne dà una precisa descrizione: “Starebbe tra il gatto e lo scimmiotto. Piccino, di pel grigio […]  porta in capo un berrettino rosso. Del resto non ha vestimento di sorta […] La passione amorosa è la sua esclusiva manifestazione. […] Mazapégul impersona la sensualità, la passione erotica. E ne è rimotissimo simbolo. […] Viene dalle ere dei connubi bestiali”. Un preciso e completo identikit della personalità del mazapegul romagnolo ce lo fornisce Cino Pedrelli: “Il mazapegul è responsabile del senso di soffocamento e paralisi che opprime talvolta i dormienti; si corica con le donne, e le fa sue; svolge tutto un suo rituale amoroso e affettuoso con gli animali della stalla, ed in ispecie con gli equini, che si trovano al mattino coperti di sudore e adorni di trecce alle code e alle criniere.” Anche qui un metodo per liberarsene è quello di spargere una manciata di chicchi di riso sul davanzale: egli si mette a contarli uno per uno, fino a quando non sorge il sole e scappa.

In Sardegna è presente la figura dell’ammuntadòre, una creatura che attaccherebbe le persone nel sonno tramite gli incubi (in sardo chiamati ammuntadùras). Per alcuni versi essa non sembrerebbe altro che un’interpretazione dell’incubus, in quanto porta un senso di soffocamento e di disperazione che spesso arriva a svegliare il dormiente. Durante questo periodo di tempo solitamente breve, non si può muover alcun muscolo e, se si prova ad urlare, non ci si riesce. Alcuni sostengono di aver provato anche forti dolori al petto, come se qualcosa si trovasse su di esso e li obbligasse a rimanere come paralizzati. Secondo varie testimonianze dovrebbe trattarsi di un essere che non possiede una vera e propria forma, poiché questa cambia a seconda dell’individuo. Alcuni sostengono di aver visto l’ammuntadore sotto forma di strega, di scheletro, di nuvole, di vapore, di persone il cui volto non era ben visibile o insanguinato. Esso avrebbe perso col tempo il suo carattere di spirito notturno assumendone uno più cristiano, comunemente associato a quello di Satana.

A tal proposito esisterebbero anche formule e preghiere tutt’oggi ottenibili per scacciare questo demone.

On the Run – Foto: Menandros Manousakis

Incubi, succubi, demoni: metafore di ansie e paure umane

Le figure degli incubi e dei succubi, così come le varie manifestazioni locali nel folklore italiano, rappresentano tentativi di spiegazione di un’esperienza che, sebbene spesso spaventosa, resta profondamente radicata nella nostra psiche e nelle nostre tradizioni. Il superamento dell’ansia generata da tale fenomeno passa non solo attraverso la comprensione scientifica, ma anche attraverso l’apprezzamento di come le diverse culture abbiano cercato di dare voce a uno stato che rispecchia le paure più profonde dell’essere umano. Sebbene si tratti di un evento fisiologico riconosciuto dalla medicina moderna, il suo impatto sul vissuto delle persone continua ad essere amplificato dalle interpretazioni folkloristiche e mitologiche che nel corso dei secoli hanno provato a darne un senso.

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