Una sala della mostra – Foto: Angelo Zito
Alle Gallerie dell’Accademia, a Venezia, è visitabile sino al 27 luglio una mostra di assoluto valore dedicata al Rinascimento ed arricchita dalla presenza del famoso Uomo vitruviano di Leonardo da Vinci.
Corpi moderni – La costruzione del corpo nella Venezia del Rinascimento è un’esposizione allestita in alcune sale al pian terreno di una delle principali pinacoteche d’Europa per la sua vasta raccolta di dipinti di scuola veneta databili dal Trecento al Settecento e realizzati da grandissimi maestri come Cima da Conegliano, Giovanni Bellini, Tintoretto, Giambattista e Giandomenico Tiepolo. L’itinerario proposto nelle Gallerie dell’Accademia si concentra cronologicamente sul Rinascimento, florida stagione culturale caratterizzata dal recupero dell’’antico’ e dalla conseguente rinascita delle arti e delle scienze. Come a Roma, a Firenze e in diverse città dell’area tosco-umbra, anche a Venezia è possibile riconoscere numerosi e significativi esiti di un vero e proprio ‘rinnovamento’ che coinvolse anche l’immaginario collettivo tra XV e XVI secolo.
Una prima sezione di tipo scientifico: dall’Adamo di Rizzo all’Uomo vitruviano di Leonardo
Punto di partenza della mostra, che assume come leitmotiv il corpo umano nelle sue infinite sfaccettature, è la copia (in resina e gesso) di un’opera-simbolo di Antonio Rizzo: l’Adamo. La scultura, documentata all’interno del Palazzo Ducale di Venezia dal 1472 e sistemata, così come quella di Eva, in una nicchia dell’Arco Foscari, dimostra come anche in Laguna artisti e committenti possedessero in età rinascimentale una buona conoscenza dell’anatomia umana. Per questa statua si ipotizza che Rizzo avesse tratto ispirazione dalla visione di modelli prodotti nell’atelier fiorentino di Antonio del Pollaiolo. Ciò che colpisce nell’Adamo, infatti, è la resa naturalistica di taluni dettagli, come la spina dorsale, le costole e i tendini del collo, caratterizzati, questi ultimi, da un’evidente tensione.

Antonio Rizzo, ‘Adamo’ (1472) – Foto: Angelo Zito
A partire da questa prima opera, collocata singolarmente in una specifica saletta, l’esposizione si articola come una vera e propria narrazione organizzata in tre fondamentali capitoli. Il primo di questi, dal titolo Il corpo svelato: conoscere, è contraddistinto da un approccio di tipo scientifico verso il concetto di corpo. Il celebre Uomo vitruviano di Leonardo da Vinci, per quanto unica nel suo genere, è solo una delle tante opere degne di considerazione all’interno di tale sezione. Dai documenti, dalle illustrazioni e dai manufatti qui esposti si evince la volontà, da parte di molti studiosi rinascimentali, di scandagliare in profondità l’anatomia umana e di compiere ulteriori progressi nello studio della medicina e della farmaceutica. A tal proposito, una figura di spicco nel contesto veneziano del XVI secolo è quella di Andrea Vesallo. Lo scienziato, autore del trattato La fabbrica del corpo, elabora in una xilografia la “riproduzione viscerale” di un corpo femminile ancora non del tutto precisa e attendibile ma fortemente influenzata da modelli figurativi antichi, come statuette votive di offerenti – in mostra vi è un esemplare etrusco fittile di II secolo a.C. dalla Fondazione Luigi Rovati di Milano – o immaginette di divinità – una di esse, in marmo e di epoca tardo-ellenistica, apparteneva ad un collega accademico di Vesallo, il giurista Mantova Benavides.

Andrea Vesallo, ‘La fabbrica del corpo’ (1555) – Foto: Angelo Zito
In questo capitolo dell’allestimento viene, inoltre, approfondito il rapporto tra anatomia ed architettura. I grandi protagonisti del Rinascimento, da Venezia al resto della penisola, paragonano spesso, infatti, le loro “fabbriche di muri” a quella sublime “impalcatura” di ossa, organi e muscoli che è il corpo umano, le cui parti – ad esempio mani e piedi – possono fungere da basilari unità di misura. Pertanto, dalla presentazione di una costruzione prospettica di testa umana, elaborata da Piero della Francesca, e da uno spaccato assonometrico di cranio, eseguito da Leonardo, si passa ai progetti di Donato Bramante e Baldassarre Peruzzi per la Basilica di San Pietro in Vaticano, nei quali si compendiano perfettamente sezione, alzato e planimetria. Il filo rosso che unisce queste ultime dettagliate rappresentazioni è proprio lo studio, da parte di entrambi gli illustri architetti, delle naturali proporzioni umane.

Leonardo Da Vinci, ‘Sezione e spaccato assonometrico di cranio’ (1489) – Foto: Angelo Zito
Particolarmente audace, invece, è il ‘parallelismo’ creato tra l’Autoritratto nudo di Albrecht Durer e il suddetto Uomo vitruviano leonardesco, facente parte della collezione permanente delle Gallerie dell’Accademia. Accomunate da una finalità didattica, le due figure differiscono, tuttavia, per alcuni particolari. Se quello dureriano è un “Ecce Homo pagano”, derivante dalle statue classiche di Apollo e Mercurio, il cui pene e la cui testa, di dimensioni macroscopiche, esprimono potenza fisica ed intellettiva, la rappresentazione creata dal genio di Vinci, per quanto collocata in una sorta di atmosfera ideale e atemporale, riunisce in sé, in realtà, le varianti anatomiche di due giovinetti studiati da vicino e misurati secondo canoni e criteri metrici attinti dal mondo greco-romano.

Albrecht Durer, ‘Autoritratto a corpo nudo’ (1509 ca.) – Foto: Angelo Zito
Il secondo capitolo: eros ed intimità nei dipinti veneziani del Cinquecento
Il secondo capitolo della mostra, Il corpo nudo – Desiderare, si focalizza maggiormente sulla peculiarità del contesto veneziano in epoca rinascimentale. Molti artisti operanti in tale periodo nella Laguna ricorrono spesso alla lucentezza dei colori ad olio per raffigurare ‘icone femminili’ prive di ogni indumento, sdraiate, spesso addormentate e collocate dinanzi a sfondi paesaggistici marini o campestri. L’allestimento, nello specifico, offre meravigliosi dipinti a tema realizzati da Bernardino Licinio e Girolamo da Treviso, accostabili, per gusto e sensualità, alla nota Venere di Urbino di Tiziano conservata agli Uffizi.

Girolamo da Treviso, ‘Nuda dormiente distesa in un paesaggio’ (1515 ca.) – Foto: Angelo Zito
Lo stesso eros, tuttavia, non si lega necessariamente a divinità, ninfe o altre figure di gusto classico, ma può talvolta pervadere l’intimità di una scena domestica, come quella immortalata proprio dal Vecellio in un quadro della Royal Collection di Windsor. In questo capolavoro il vincolo coniugale tra i due protagonisti è intuibile dal seno semiscoperto della donna, accarezzato dall’uomo al suo fianco, nonché dalla presenza di un ulteriore personaggio, una sorta di testimone, che pudicamente rivolge il suo sguardo altrove.

Tiziano Vecellio, ‘Ritratto di sposi con testimone’ (1510 ca.) – Foto: Angelo Zito
Tale sezione della mostra è impreziosita, altresì, dalla presentazione dei Sonetti Lussuriosi, raccolta di poesie erotiche scritte nella prima metà del Cinquecento da Pietro Aretino, e da diversi cimeli dall’elevato valore simbolico: una scuffia, in lino, seta e perle di vetro, emblema dello status di moglie per le donne veneziane del XVI secolo, proveniente dal Metropolitan di New York; un fazzoletto della seconda metà del Cinquecento, dal Museo del Tessuto di Prato, di fattura lagunare ed afferente, insieme ad un gruppo di anelli, al cosiddetto ‘vocabolario’ dei gesti amorosi e cortesi; infine, un paio di guanti in pelle, ricami e paillette, di manifattura olandese, concesso in prestito dal Museo del Bargello di Firenze e simboleggiante un’intimità che, all’occorrenza, con il gesto dello sfilamento, si apre all’interlocutore meritevole di stima e fiducia.

Vetrinetta con cimeli vari – Foto: Angelo Zito
Il terzo capitolo: dalle mode dell’epoca ad una riflessione sulla caducità umana
Il terzo ed ultimo capitolo dell’esposizione, Il corpo costruito: rappresentarsi, presenta una galleria di ritratti illustri ed un’ampia gamma di strumenti ed artifici finalizzati all’ostentazione di agiatezza e prestigio. In questa sezione emerge nuovamente tra i protagonisti Albrecht Durer con la sua celeberrima Veneziana. La donna è un’aristocratica, colta a mezzo busto e leggermente di tre quarti, la cui eleganza traspare dall’abito scollato, dalla collana fatta di vaghi dorati e neri e dalla capigliatura a ciocche ondulate e scriminatura centrale – un aspetto, questo, che suscitò la sincera ammirazione di Giovanni Bellini. Dello stesso autore tedesco vengono proposti uno studio di figura femminile in costume e il ritratto di un comune giovane africano, simbolo del carattere cosmopolita della Laguna a cavallo tra XV e XVI secolo. Ricco e variegato è, inoltre, il campionario di oggetti da toeletta – dai pettini in avorio agli specchi di fattura muranese – mentre alcuni volumi contengono ricette speciali per schiarire pelle e capelli: una vera e propria mania, che favorì la diffusione e il commercio della cerussa, un pigmento molto usato nel campo delle arti pittoriche.

Albrecht Durer, ‘Ritratto di veneziana’ (1505) – Foto: Angelo Zito
A far da contraltare a questo repertorio tipicamente femminile è una serie di protesi e di parti di armature, afferenti all’ambito maschile. Non si tratta, in realtà, di semplici integrazioni di gambe e braccia, bensì di manufatti dall’incredibile funzionalità, considerabili tra i migliori risultati del progresso scientifico rinascimentale, mirante, dunque, a rendere sempre più dignitosa la vita di quanti subivano infortuni e mutilazioni. A concludere questa terza parte del percorso espositivo è, infine, una riflessione sul rapporto corpo-tempo, basata su una coppia di quadri di Giorgio Barbarella, meglio noto con l’appellativo di Giorgione: il cosiddetto Uomo giovane di Budapest e La vecchia. L’immagine dell’anziana donna, secondo un inventario redatto nel 1602, doveva essere coperta da un dipinto raffigurante “un homo con una veste di pelle negra” che potrebbe essere identificato con il protagonista dell’opera proveniente dal Szepmuveszeti Museum. Tale sovrapposizione sembra racchiudere in sé un duplice messaggio: da un lato, esaltare la bellezza e il candore della fisicità umana, tipici della giovinezza; dall’altro, ricordare la precarietà e la caducità di ogni individuo, legate perlopiù alla senescenza. Corpi moderni, in definitiva, non è una semplice carrellata di opere – alcune delle quali di eccelso valore, come appunto l’Uomo vitruviano – su una delle epoche più affascinanti e prolifiche della storia, ma è un racconto in cui l’umanità di oltre cinque secoli fa e quella attuale possono riconoscersi in un comune denominatore, che non è solo un involucro o un contenitore, ma un “luogo” in cui si intrecciano esibizionismo e amore per il Bello, interesse scientifico e ricerca di piacere e benessere.
[…] Corpi moderni – La costruzione del corpo nella Venezia del Rinascimento, alle Gallerie dell’Accademia sino al 27 luglio, in merito alla quale vi suggeriamo la lettura di un nostro approfondimento; […]