Sorgente sull’isola di Samotracia (Grecia) – Foto: Menandros Manousakis
Negli ultimi anni si parla sempre più di siccità e di crisi idriche. Questi fenomeni, difficili da affrontare, si fondano su disuguaglianze già presenti.
Il 28 luglio 2010 l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato la Risoluzione 64/292 che riconosce l’accesso all’acqua sicura e pulita e all’igiene come un diritto umano (Human Right to Water and Sanitation HRWS): con questa deliberazione il diritto all’acqua è stato riconosciuto come un diritto universale e fondamentale. L’Assemblea generale ha colmato un vuoto normativo che si prolungava da tempo; prima della risoluzione mancava una formulazione normativa del diritto soggettivo all’acqua potabile e l’espressa qualificazione di quest’ultima come bene collettivo. Tuttavia, la risoluzione dell’Assemblea generale non ha natura vincolante, per cui si limita ad affermare un principio generale ma non obbliga gli Stati ad attuare iniziative per garantire l’acqua potabile, di qualità e ad un costo accessibile.
Il diritto all’acqua in Italia e all’estero
Nella maggior parte degli ordinamenti europei, e anche nella Costituzione italiana, non ci sono riferimenti diretti all’acqua; le uniche eccezioni sono la Slovacchia e la Slovenia che hanno aggiunto nelle rispettive legislazioni un’espressa previsione che la inquadra come un bene pubblico e riconosce come diritto l’accesso all’acqua potabile. La costituzionalizzazione del diritto all’acqua rappresenta un importante passo avanti per garantire un grado elevato di tutela che tutt’oggi, come detto prima, non tutti gli Stati garantiscono a pieno. Nella nostra Carta Costituzionale, seppur non è esplicitamente previsto, il diritto all’acqua è desumibile da vari articoli, tra cui l’art.2 (diritto alla vita), il 32 (diritto alla salute ed a un ambiente salubre) e gli artt.33 e 34 (tutela del paesaggio e dell’ambiente). Come viene quindi garantito l’accesso all’acqua sia nel nostro Paese che al livello globale?
Fonti d’acqua – Foto: Menandros Manousakis
Water wars e water grabbing
Sul piano internazionale la situazione è estremamente frastagliata e il cambiamento climatico aggrava numerose criticità già esistenti. Le temperature torride hanno già causato ondate di caldo in Europa e numerosi incendi in Corea del Sud, Algeria e Croazia. Si sono inoltre verificate gravi inondazioni in Pakistan e una prolungata siccità in Madagascar ha lasciato circa un milione di persone con un accesso al cibo estremamente limitato. In alcuni Paesi si sono scatenate le prime water wars, ovvero le guerre per accaparrarsi l’acqua. Che il fenomeno sia esteso e preoccupante è facilmente deducibile dai dati: ad oggi oltre un miliardo di persone non ha un accesso sicuro all’acqua potabile e ai servizi igienici. Secondo uno studio dell’Università di Twente, circa 4 miliardi di persone vivono in aree in cui si verifica, per almeno un mese all’anno, un periodo di carenza idrica, mentre 1,8 miliardi di persone affrontano periodi di siccità per 6 mesi l’anno. Questi dati conducono al fenomeno del water grabbing, per cui aziende o governi traggono profitto dalle risorse idriche privatizzandole e rendendo l’accesso all’acqua particolarmente oneroso per la popolazione. Questo processo, in pieno contrasto con i diritti umani, consente lo sviluppo di veri e propri monopoli; non a caso l’acqua è definita l’oro blu proprio per la difficoltà della popolazione più fragile a poterne usufruire liberamente e gratuitamente. I Paesi più instabili al livello geopolitico, in particolar modo in Medio Oriente e in Africa, sono anche quelli dove reperire l’acqua è più difficile. L’Iraq da anni sta affrontando una forte crisi idrica dovuta alla costruzione di dighe da parte della Turchia nell’Eufrate e nel Tigri. Un’ulteriore situazione problematica riguarda il controllo del Nilo; da anni si protrae un conflitto tra Egitto, Etiopia e Sudan per il controllo delle acque del fiume che, trovandosi in una posizione strategica, è conteso tra gli Stati. Nel rapporto dell’Unesco The United Nations world water development report: leaving no one behind del 2019 si legge che tra il 2010 e il 2018 ci sono stati 263 conflitti legati al controllo delle risorse idriche. Questo dato, a causa delle frequenti siccità provocate dall’aumento della temperatura terrestre e dei problemi connessi all’instabilità di numerosi governi, potrebbe (anche se ormai è certo) aumentare vertiginosamente.
La crisi idrica degli ultimi anni in Italia
Anche nel nostro Paese la situazione appare sempre più problematica. Nell’aprile del 2024, i ricercatori della Utrecht University hanno pubblicato sull’Environmental Research Letters, un’importante rivista scientifica che si occupa di ambiente, una mappa globale della siccità. In questa mappatura si vede che in Italia il fenomeno della siccità è presente già in maniera massiccia e, nei prossimi anni, è destinato ad aumentare. In Sicilia la crisi idrica ha già portato 39 comuni a razionare l’acqua, ragione per cui il presidente della Regione ha recentemente dichiarato lo stato di calamità naturale su tutto il territorio. Dalle mappature e dalle analisi è osservabile che in alcune zone della Sicilia e della Sardegna, ma anche in Calabria, Puglia e Basilicata, le precipitazioni sono di gran lunga al di sotto della norma e le temperature sono sempre più elevate. Ciò ha inciso anche sulla diminuzione delle riserve idriche, anche a causa dell’elevata evapotraspirazione, ovvero quel fenomeno che consente all’acqua di trasferirsi nell’atmosfera tramite l’evaporazione diretta dagli specchi d’acqua, dal terreno e dalla vegetazione. Se oggi sono prevalentemente le regioni dell’Italia centrale ed in particolar modo il Sud a soffrire un’intensa siccità, tra il 2021 e il 2022 a risentirne sono state anche le regioni del nord. I ricercatori hanno stimato che in quel biennio il bacino del Po abbia perso circa 70 miliardi di tonnellate d’acqua, una quantità di poco superiore a quella contenuta nel lago di Garda.
L’idrante scarico – Foto: Menandros Manousakis
Questione idrica e cambiamento climatico
Questi problemi, sicuramente di difficile soluzione, necessitano di un’attenzione particolare sia a livello internazionale che nazionale. Nonostante sia importante e talvolta necessario arrivare ad un quadro normativo omnicomprensivo che vada ad offrire tutela alle fasce delle popolazioni più colpite da questo fenomeno, è altrettanto prioritario intervenire sulle cause e in particolare sul cambiamento climatico. È stato infatti riscontrato che le popolazioni che si trovano a dover affrontare la siccità sono anche quelle che vivono in zone di conflitto e già subiscono numerose violazioni dei diritti umani. Parlare quindi di cambiamento climatico, soprattutto andando a limitare gli effetti devastanti che questo ha sulle risorse idriche, significa concretamente tutelare le soggettività più a rischio. In questo senso gli Stati occidentali, che per ora godono di una situazione privilegiata, devono necessariamente farsi carico della questione climatica e del diritto di accesso alle risorse per consentire alle popolazioni oppresse un futuro più equo.
Sorgente sull’isola di Samotracia (Grecia) – Foto: Menandros Manousakis