Uncontaminated Paradises (Greece) – Foto: Menandros Manousakis

Dall’arcipelago delle Isole Andamane, in India, alla foresta amazzonica, l’autonomia delle popolazioni autoctone rischia di essere compromessa dalle incursioni del mondo esterno.

Un quadro sommario delle genti autoctone nel pianeta  

Il 31 marzo la polizia indiana ha arrestato lo youtuber americano Mykhailo Viktorovych Polyakov, che era riuscito ad approdare, a bordo di un gommone, sull’isola di North Sentinel, appartenente all’arcipelago delle Andamane del Sud. Il reporter ha lasciato in dono alle popolazioni autoctone una cola light e una noce di cocco, contravvenendo alla normativa locale che impedisce l’avvicinamento al litorale oltre le cinque miglia. North Sentinel è infatti abitata dai sentinelesi, una popolazione che vive in totale isolamento e che nella sua storia ha avuto pochissimi contatti con il mondo esterno. Per questo motivo, nel 1956, il governo indiano ha adottato un regolamento per tutelare coloro che abitano negli arcipelaghi delle Andamane e delle Nicobare, vietando l’avvicinamento alle coste di tali isole.

I sentinelesi, come i piraoa e gli yanomanmi – abitanti della foresta amazzonica – ed i nukulaelae – popolazione nativa di una delle isole che compongono l’arcipelago di Tuvalu – hanno avuto un numero prossimo allo zero di contatti con il mondo esterno a causa dell’isolamento geografico. Nel caso dei sentinelesi e dei nukulaelae, stiamo parlando di abitanti di luoghi lontani da rotte commerciali e privi di interesse strategico o militare; nel caso delle popolazioni amazzoniche, come i piraoa, è invece la foresta ad aver fatto da barriera naturale, preservando i nativi dalle ingerenze del mondo esterno.

L’interesse antropologico nei confronti di queste popolazioni è elevatissimo: l’assenza di contatti con il mondo esterno ha infatti consentito a questi indigeni di preservare usanze culturali e religiose, modelli sociali e linguaggi che con ampia probabilità sono quasi del tutto analoghi alle prime aggregazioni umane. Per questo motivo, la maggior parte degli stati che ospitano comunità sociali isolate ha legislazioni che ne impediscono l’avvicinamento e il contatto. In questo senso la storia dei rapporti tra l’India e North Sentinel è esemplificativa per chiarire i motivi che sono alla base di tali divieti.

Astypalea Island (Greece) – Foto: Gea Scolavino Vella

Contatti ed incursioni a North Sentinel

Secondo gli studiosi, i sentinellesi abitano l’isola di North Sentinel da circa sessantamila anni e sono giunti qui in seguito alle prime migrazioni preistoriche che hanno portato la specie umana a spostarsi dal continente africano verso il resto del pianeta. Dalle scarse notizie in nostro possesso, la loro società è basata su caccia, pesca e raccolta, mentre non vi sono prove della conoscenza di tecniche agricole e di accensione del fuoco. l primi contatti pacifici con la tribù avvennero nel 1991 ad opera di un gruppo di ricercatori guidati da Triloknath Pandit, direttore dell’Anthropological Survey of India (AnSI). Tuttavia, nonostante gli studiosi fossero riusciti a stabilire ripetuti scambi amichevoli, lasciando noci di cocco e altri doni, i sentinelesi si mostrarono restii a una prolungata interazione e le visite indiane sull’isola furono interrotte nel 1997, garantendo, nel rispetto anche del sopracitato regolamento del 1958, un presidio navale militare a tutela dell’isolamento della popolazione. I successivi tentativi di contatto con North Sentinel sono stati tutt’altro che pacifici e le coste incontaminate di quest’ultima sono state oggetto di ripetute incursioni da parte di pescatori che illecitamente hanno provato ad appropriarsi delle risorse ittiche della zona. Nel 2018, invece, John Chau, un giovane missionario americano sbarcato illegalmente sull’isola, è stato ucciso e sepolto dagli indigeni. Tali incursioni illegittime sono state denunciate a partire dal 2014 da Survival International, movimento mondiale a sostegno dei diritti delle popolazioni autoctone. In particolar modo, l’organizzazione ha sottolineato come questi eventi mettano a rischio la sopravvivenza dell’intera popolazione indigena, definita come “la società più vulnerabile del pianeta”, in quanto l’assenza di contatti con il mondo esterno, con tutta probabilità, li rende privi di anticorpi in grado di proteggerli da malattie e batteri estranei al loro contesto abitativo. A sostegno di questa tesi si può ricordare quanto affermato dal direttore generale di Survival International, Stephen Corry: “quando, nel XVIII secolo, i britannici colonizzarono le isole indiane delle Andamane, le tribù dei Grandi Andamanesi furono decimate dalle malattie”.

Il caso dei Jarawa

È sempre Survival International ad aver avviato una campagna internazionale contro i cosiddetti ‘safari umani’, viaggi turistici organizzati nelle zone abitate dalla vicina popolazione dei jarawa, che, come i sentinellesi, ha sempre rifiutato il contatto con la società esterna. Sono state registrate, inoltre, incursioni di bracconieri nei loro territori di caccia e documentati abusi sessuali sulle donne da parte di turisti. La Corte Suprema Indiana, con una sentenza del 2002, ordinò la chiusura del tratto di autostrada che attraversa i territori jarawa, noto come Andaman Trunk Road. Tuttavia, le autorità locali si sono opposte a tale provvedimento, riuscendo ad ottenerne la revoca nel 2013. Tutto ciò, da un lato, ha permesso la riapertura dell’autostrada ma, dall’altro, ha favorito la ripresa di incursioni turistiche illegittime e dei ‘safari umani’.

In the Jungle (Greece) – Foto: Menandros Manousakis

Rischi e problematiche derivanti dall’interazione col mondo esterno

Risulta evidente, da quanto detto finora, come le violazioni dei divieti di avvicinamento alle popolazioni isolate – anche pacifico come quello dello youtuber Mykhailo Viktorovych Polyakov – possano essere pericolose. Tali azioni mettono infatti a rischio l’integrità e i diritti dei gruppi etnici coinvolti. Al tempo stesso i contatti con il mondo esterno rischiano di destabilizzare habitat naturali ed ecosistemi pressoché incontaminati. La totale mancanza di terreni coltivati, l’assenza di allevamenti di bestiame e l’utilizzo di tecniche antiche di caccia e pesca permettono la conservazione della biodiversità di questi contesti.

La sopravvivenza delle popolazioni indigene rappresenta inoltre un fondamentale limite allo sfruttamento intensivo delle risorse naturali in determinati territori, come nel caso delle tribù autoctone della foresta amazzonica. In Brasile, a partire dal 2019, sono state messe in atto politiche che favoriscono lo sfruttamento delle locali risorse naturali, liberalizzando settori come l’agricoltura, l’estrazione di minerali e la costruzione di infrastrutture, ma generando un incremento del disboscamento. Particolarmente ingenti sono stati i danni alla popolazione amazzonica degli Yanomami. L’OMS – l’Organizzazione Mondiale della Sanità – nel 2022 ha denunciato l’aumento delle morti per malattie derivanti dai contatti con l’esterno e dall’utilizzo del mercurio nell’estrazione illegale dell’oro da parte dei garimpeiros. Tali azioni hanno determinato il conseguente avvelenamento delle acque e la deforestazione di 13.484 ettari all’interno di aree protette. Per contrastare in maniera più efficace i garimpeiros – organizzati in bande spesso armate che hanno ripetutamente aperto il fuoco contro gli indigeni – è stato necessario l’intervento dell’esercito brasiliano, che dal giugno 2024 conduce operazioni finalizzate alla distruzione dei siti minerari abusivi e alla soppressione del fenomeno.

Between Sky and Sea (Samotracia, Greece) – Foto: Menandros Manousakis

L’UNDRIP: uno strumento di tutela per i diritti dei popoli indigeni

La tutela delle popolazioni autoctone è stata oggetto di delibera da parte dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, che nel 2007 ha approvato l’UNDRIP, la Dichiarazione delle Nazioni Unite sui Diritti dei Popoli Indigeni. All’interno di questo fondamentale testo è precisato che tali gruppi etnici godono dei diritti umani e delle libertà fondamentali in egual misura rispetto a tutti gli altri presenti nel mondo, garantendo loro l’autodeterminazione. La Dichiarazione inoltre sancisce il rispetto delle terre di appartenenza delle popolazioni indigene e ne impone la tutela agli stati che le ospitano. È altresì stabilito il diritto, per questi gruppi, alla partecipazione politica, al risarcimento e alla riparazione dei danni in caso di incursioni esterne. Dal quadro appena tracciato emerge come la propensione umana verso lo sfruttamento economico ed ambientale, ma anche antropologico e scientifico, incontri un invalicabile limite nel doveroso rispetto dei diritti fondamentali delle popolazioni locali e degli habitat dove quest’ultime vivono. Il legame inscindibile tra l’uomo e la natura dovrebbe, pertanto, farci interrogare sull’impatto delle azioni umane sull’ambiente circostante e sulla necessità di una ‘prospettiva ecologica’.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *