Matteo Garrone – Autore foto: Harald Krichel – Licenza: CC BY-SA 3.0 via Wikimedia Commons
Dall’esordio alla consacrazione internazionale, Matteo Garrone racconta l’Italia attraverso uno sguardo pittorico e favolistico, tra rigore formale e impegno civile.
Le origini di un talento
Figlio del raffinato critico teatrale romano Nico Garrone e della fotografa Donatella Rimoldi, nipote dell’attore spezzino Adriano Rimoldi, Matteo Garrone nasce e cresce in un ambiente culturale ricco e stimolante. Dopo il diploma conseguito nel 1986 presso il Liceo artistico Ripetta, si avvicina al mondo del cinema dapprima come aiuto-operatore, per poi dedicarsi intensamente alla pittura. È proprio da questo connubio tra immagine e racconto che nascerà la sua cifra stilistica. Il debutto alla regia avviene nel 1996 con il cortometraggio Silhouette, vincitore del Sacher d’Oro, che l’anno successivo confluirà nel suo primo lungometraggio Terra di mezzo: tre storie di immigrazione ambientate a Roma, in cui i confini tra realtà e finzione si confondono con naturalezza.
Un cinema essenziale e autentico
Fin dai primi lavori, come Ospiti (1998) ed Estate romana (2000), Garrone mostra un marcato interesse per il realismo e le dinamiche umane. Predilige troupe ridotte, ambienti reali, attori non professionisti e un linguaggio visivo privo di artifici. Le sue opere si costruiscono così sull’immediatezza dell’improvvisazione e sull’utilizzo di strumenti tecnici minimali: cinepresa a spalla, sonoro in presa diretta, inquadrature statiche e lunghe sequenze.
Il risultato è un cinema anti-spettacolare, capace di catturare le verità più intime e nascoste dei suoi personaggi. Estate romana, in particolare, rappresenta un omaggio alla Roma underground degli anni Settanta, sullo sfondo di una città in trasformazione alla vigilia del Giubileo.
L’evoluzione stilistica e il primo riconoscimento
La consacrazione critica arriva nel 2002 con L’imbalsamatore, premiato con il David di Donatello per la miglior sceneggiatura. Prodotto da Fandango, il film segna una svolta nella poetica di Garrone: alla sua attenzione per la realtà si aggiunge una profonda elaborazione visiva, ispirata dai suoi studi artistici. Il racconto noir, legato a un fatto di cronaca, si trasforma in un’esperienza pittorica sospesa tra realismo e astrazione. Con Primo amore (2004), il regista spinge ulteriormente su questo binario: la storia, ossessiva e disturbante, viene narrata con un rigore formale estremo fino a sfiorare l’astrattismo visivo.
Il trionfo internazionale
La definitiva affermazione arriva nel 2008 con Gomorra, adattamento del libro-inchiesta di Roberto Saviano. Il film conquista il Grand Prix al Festival di Cannes, ottiene riconoscimenti agli European Film Awards e una candidatura al Golden Globe. È un’opera potente, corale, spietata, che segna una svolta epocale nel cinema italiano. Dopo il successo di Gomorra, Garrone prosegue nel solco della riflessione contemporanea con Reality (2012), una grottesca parabola sull’ossessione per la fama, che gli vale nuovamente il Grand Prix a Cannes. Nel frattempo, supporta nuovi talenti come Gianni Di Gregorio, producendone l’esordio con Pranzo di Ferragosto.

‘Gomorra’, il logo – Autore immagine: Schreibwerkzeug – Licenza: CC BY-SA 4.0 via Wikimedia Commons
Tra fiaba e orrore: la maturità creativa
Nel 2015 Garrone firma Il racconto dei racconti – Tale of Tales, adattamento di tre fiabe tratte da Lo cunto de li cunti di Giambattista Basile. Il film, dal cast internazionale, si distingue per le sue atmosfere gotiche e una spettacolarità raffinata. Con Dogman (2018), ispirato al celebre “delitto del Canaro”, il regista torna a una dimensione più intima e violenta, ricevendo nuovi consensi a Cannes grazie alla magistrale interpretazione di Marcello Fonte. La sua versione di Pinocchio (2019), con Roberto Benigni nei panni di Geppetto, riconferma la sua propensione per la narrazione fiabesca traslata in immagini contemporanee, ottenendo due candidature agli Oscar.

Roberto Benigni – Autore foto: Harald Krichel – Licenza: CC BY-SA 3.0
Io Capitano: un racconto universale
Il 2023 segna un nuovo apice con Io Capitano, presentato alla Mostra di Venezia, dove ottiene il Leone d’argento per la miglior regia. Il film si inserisce nel solco della tradizione favolistica, rielaborando l’odissea migratoria attraverso simboli e archetipi. L’opera conquista anche una candidatura all’Oscar per il miglior film straniero e si impone ai David di Donatello 2024, aggiudicandosi tra gli altri il premio per la regia.
Garrone: un autore tra immagine e verità
Matteo Garrone si conferma uno dei registi più originali e visionari del panorama cinematografico europeo. La sua opera, in bilico tra pittura e realtà, tra cronaca e fiaba, è un continuo tentativo di esplorare l’animo umano attraverso una macchina da presa che osserva, registra, trasfigura. Con rigore stilistico e sensibilità sociale, Garrone ha saputo rinnovare il linguaggio del cinema italiano, portandolo a dialogare con le grandi tematiche del nostro tempo. Le sue storie, profondamente radicate nella realtà ma raccontate con gli strumenti del simbolo e della metafora, ci restituiscono un’immagine dell’essere umano che è fragile e potente al tempo stesso. La sua poetica è destinata a lasciare un segno indelebile, continuando a parlare alle nuove generazioni, in un presente che ha più che mai bisogno di visione e coraggio.
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Titolo: Matteo Garrone
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Titolo: Gomorra, logo
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Titolo: Roberto Benigni
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