Basilica di Santa Chiara – Foto: Giuseppe Schiattarella
Un curioso caso di ‘integrazione’ nella Napoli angioina.
La basilica di Santa Chiara a Napoli, voluta nel 1310 da Roberto D’Angiò soprannominato Roberto il Saggio e dalla sua seconda moglie Sancia di Maiorca, fu in gran parte distrutta dal bombardamento alleato del 4 agosto 1943 e splendidamente ricostruita, nelle sue originarie forme gotiche provenzali, conservando l’antico rosone traforato, esattamente 10 anni dopo. Essa, oltre a ospitare le tombe di regnanti e nobili delle dinastie angioina e borbonica, custodisce anche i sepolcri di alcuni personaggi significativi nella storia di Napoli, sebbene non noti a tutti.
All’interno della Basilica, a navata unica, in tre delle dieci cappelle che la costeggiano per ciascun lato, sono collocati i sarcofagi di cinque cavalieri, tutti del XIV secolo. Nella seconda cappella a destra c’è quello di Roberto Diano (morto nel 1354), cavaliere dell’Ordine del Nodo e dello Spirito Santo, ordine curiale fondato il 12 maggio 1353 da Luigi di Taranto, secondogenito di Filippo D’Angiò e sposo di seconde nozze della Regina Giovanna I.
Sepolcro di Roberto Diano – Foto Giuseppe Schiattarella
Nella seconda cappella di sinistra sono collocati i sacelli (restaurati nel 2017) di Drugo Merloto e Niccolò (o Nicola) Merloto (morti nel 1339 il primo e nel 1358 il secondo), rispettivamente secondo marito e figlio di Isabella d’Apia o d’Eppè, contessa di Campagna e seconda moglie di Raimondo del Balzo, anch’essi sepolti a Santa Chiara.
Sepolcri di Nicolò e Drugo Merloto – Foto: Giuseppe Schiattarella
Nella terza cappella di sinistra, dedicata al Sacro Cuore di Gesù, sono invece ubicati i sepolcri di Raimondo Cabano, o de’ Cabanni (morto nel 1334), Siniscalco della corte di Re Roberto d’Angiò, e di uno dei suoi figli, Perrotto (o Pierotto) Cabano, o de’ Cabanni (morto nel 1336).
Cappella del Sacro Cuore, Santa Chiara – Foto: Giuseppe Schiattarella
I cavalieri Merloto, come si può facilmente dedurre, discendevano da famiglie nobili e lo stesso Roberto Diano, secondo la tradizione, apparteneva a una famiglia che aveva ricoperto cariche presso la corte angioina, per cui erano destinati a nobili sepolture. La storia dei Cabano rappresenta un’eccezione perché, parafrasando il titolo di un bello e approfondito articolo di Rosa Smurra, ricercatrice di storia medievale presso l’Università di Bologna dove insegna Storia medievale e città, è lo specchio di una particolare storia di ‘integrazione’ nella Napoli angioina.
La diffusa presenza di numerose colonie di stranieri, che ebbe il suo maggiore sviluppo nel XIII e XIV secolo per la politica voluta dagli angioini sia per mettere Napoli al centro, quale capitale del regno meridionale, che per incentivare i traffici commerciali in occidente, portò con sé un’espansione benefica delle attività commerciali del regno, ma anche alla persistenza di fenomeni negativi come la pratica del commercio degli schiavi.
Proprio in tale contesto contraddittorio emerge la storia di riscatto sociale di uno schiavo etiope (anche se all’epoca venivano generalmente chiamati così tutti gli schiavi provenienti dal continente africano) che, inserito nei gangli della corte angioina come cuoco, raggiunse posizioni di vertice in importanti uffici burocratici del regno. La sua storia è stata ricostruita, almeno in parte, attraverso documenti ufficiali, ma anche grazie al richiamo in un’opera di Giovanni Boccaccio che, è bene ricordare, visse a Napoli per circa 15 anni, dal 1327 al 1341, come risulta anche dagli scritti di G. de Blasiis in “ Archivio storico per le province napoletane “ (1892 – pagg. 485-515).
Stiamo parlando di Raimondo Cabano o de’ Cabanni, che grazie alla sua intelligenza e perspicacia seppe, evidentemente, meritarsi le grazie di Roberto D’Angio, dapprima duca di Calabria e poi re di Napoli. Delle sue origini e del suo ingresso a corte abbiamo solo un riferimento romanzato nel De casibus virorum illustrium (lib. IX), di Giovanni Boccaccio, riportato anche nel libro Historia della città e regno di Napoli di Giovanni Antonio Summonte, tomo terzo, (1748), p.365.
Miniatura tratta da Boccace, Des cas des nobles hommes et femmes. Monaco di Baviera, Bayerische Staatsbibliothek, Ms. Cod. Gallo. 6, fol 347 (da: Devisse, fig. 148) – Licenza: Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivatives 4.0 International
Lo scrittore certaldese (secondo alcuni fiorentino o, addirittura, parigino di nascita), che nell’opera ripercorre le sventure più celebri accadute nella storia dell’umanità a partire dalla creazione e fino al XIV secolo, trattando del caso di Filippa la Catanese, balia a corte dei D’Angiò divenuta una delle donne più potenti del regno, parla di questo schiavo moro (“aethiops”), venduto dai pirati a Raimondo de Cabanni, maestro delle cucine reali, che, avendo intravisto le sue capacità potenziali, lo fece battezzare, gli dette il suo nome e lo fece erede dei suoi beni e del suo ufficio di prevosto.
Il resto della sua storia, riassunta brevemente nel richiamato testo boccaccesco, la si è potuta meglio ricostruire anche attraverso documenti ufficiali. Primo tra tutti un atto di donazione di Roberto D’Angiò con il quale de’ Cabanni, anche perchè unito in matrimonio con la citata Filippa, balia di Ludovico secondogenito di Roberto D’Angiò, morto bambino e quindi già nelle grazie del futuro sovrano di Napoli, nel 1305 beneficiò di una rendita annuale successivamente riconfermata nel febbraio 1311, come ha documentato Camillo Minieri-Ricci nei suoi studi storici fatti su 84 registri angioini.
Come meglio descritto nel libro Annali delle due sicilie (volume II, pag.400, di Matteo Camera, Napoli, 1860), con riferimenti documentali ai registri Angioini dell’Archivio Storico di Napoli, de’ Cabanni divenne anche proprietario di una casa in piazza Santa Maria della Fontana, nei pressi di Castel Nuovo, meglio noto come Maschio Angioino, dove vi erano le residenze dei principi angioini e dei dignitari di corte: “Rececpisse a Raymundo de Cabannis milite cambellano regij ospitrij Siniscallo et Philippa de Catania coniugibus libram unam cere pro ann. censu unius domus site Neapolis in platea S.Marie de fontana prope Castrum novum et menia dicte civitatis.” (Ratio Thesauri Reg. Roberti an 1325-1326 lit. C. fol.300).
Nello stesso libro di Camera si rileva come de’ Cabanni, dopo la morte del padre adottivo, fu nominato da re Roberto ciamberlano, o anche ciambellano (addetto alla cura degli appartamenti e del tesoro del re) e familiare (titolo di prestigio dato a coloro che lavoravano a corte, fra cui anche gli artisti stipendiati, dopo aver dimostrato capacità e disponibilità). Successivamente fu nominato prima cavaliere e, di lì a poco, Siniscalco dell’Ospizio Reale, con compiti di amministratore delle proprietà reali e di sovrintendenza al vitto del re e della sua corte. Quest’ultima era una carica di alto prestigio (già esistente durante i regni normanno e svevo e che si è perpetuata anche durante il dominio aragonese), poiché rappresentava uno dei sette grandi ufficiali del regno, con diritto di partecipazione al Consiglio della corona.
L’importanza raggiunta da Raimondo Cabano durante il regno di Roberto D’Angiò ha la sua immagine emblematica nei sontuosi funerali celebrati alla sua morte, avvenuta il 25 ottobre 1335, e alla sua sepoltura nella Basilica di Santa Chiara, la chiesa dei re angioini.
Sepolcro di Raimondo Cabano – Foto: Giuseppe Schiattarella
La fortuna di Raimondo continuò anche dopo la sua fine, in quanto i figli avuti da Filippa, Carlo, Perrotto e Roberto, che furono nobilitati e beneficiati di feudi da re Roberto e successivamente dalla regina Giovanna I (nipote del predecessore, ascesa al trono alla sua morte avvenuta il 20 gennaio 1343), rivestirono tutti incarichi di rilievo nella corte angioina. Sarà il coinvolgimento di Roberto de’ Cabanni (divenuto conte di Eboli e Siniscalco della Reggia), della nipote Sancia (divenuta marchesa di Morcone e dama d’onore della regina) e della madre Filippa di Catania nella congiura che portò al regicidio di Andrea di Ungheria, marito di Giovanna I d’Angiò, avvenuto ad Aversa nella notte del 18 settembre 1345, a segnare la fine delle fortune familiari dei Cabano, nonostante la grande considerazione di cui ancora godeva Roberto da parte della regnante.
Specifiche foto:
Titolo: Boccace, Des cas des nobles hommes et femmes. Munich, Bayerische Staatsbibliothek, Ms. Cod. Gall. 6, fol 347 (da: Devisse, fig. 148)
Autore: sconosciuto
Licenza: Creative Commons 4.0
Link: https://www.researchgate.net/figure/Figura-2-Boccace-Des-cas-des-nobles-hommes-et-femmes-Munich-Bayerische_fig1_265918891
Foto modificata