Celebrazione di san Gennaro, Duomo di Napoli – Foto: Vittorio Bianco

Ogni anno a Napoli, il sabato che precede la prima domenica di maggio, le ampolle contenenti il sangue di san Gennaro vengono portate in processione dal Duomo alla Basilica di Santa Chiara. L’antico rito, a cui i napoletani sono profondamente legati, commemora la traslazione del corpo del patrono dall’Agro Marciano, suo originario luogo di sepoltura, alle Catacombe di Capodimonte.

Da dove ha origine la processione?

Verso il sangue di san Gennaro è diffusa a Napoli ed in tutto il mondo una devozione plurisecolare. Il vescovo di Benevento, che visse l’infanzia e l’adolescenza nella zona dell’odierno centro storico, abitando, secondo la tradizione, con la sua famiglia in via San Gregorio Armeno, la famosissima strada dei presepi, morì decapitato il 19 settembre 305 a Pozzuoli per aver difeso alcuni suoi compagni cristiani di quella diocesi dalle feroci persecuzioni dell’imperatore Diocleziano.

Sempre secondo la tradizione popolare, una donna, che corrisponderebbe alla nutrice del Santo, di nome Eusebia, al momento della decapitazione avrebbe raccolto parte del suo sangue in due ampolle. I piccoli contenitori in vetro, custoditi in segreto per un certo tempo, sarebbero apparsi per la prima volta in pubblico in occasione del trasferimento del corpo del martire dall’Agro Marciano, località situata nei pressi dell’attuale quartiere napoletano di Fuorigrotta, alle Catacombe di Capodimonte. In tale circostanza il sangue da solido sarebbe diventato liquido in seguito al suo accostamento ai resti del cranio. Proprio la compresenza di entrambe le parti del corpo del Santo, cioè la testa ed il sangue, sarebbe, secondo i devoti più ferventi, la condicio sine qua non per il miracolo della liquefazione nelle tre date dell’anno in cui è atteso.

Processione di san Gennaro, Duomo di Napoli – Foto: Vittorio Bianco

Oltre al sabato che precede la prima domenica di maggio, infatti, il prodigio accade di solito il 19 settembre, giorno della morte e, dunque, della cosiddetta ‘nascita al cielo’ del martire, ed il 16 dicembre, giornata in cui si ricorda la protezione del Santo dall’eruzione del Vesuvio del 1631. In tutte queste ricorrenze, le ampolle del sangue vengono estratte da un’apposita cassaforte, collocata all’interno della Cappella del Tesoro del Duomo, ed esposte alla venerazione dei fedeli accanto ad un busto reliquiario in argento, risalente al XIV secolo e contenente al suo interno resti del cranio di san Gennaro.  

La processione di maggio è detta anche processione degli infrascati in quanto i sacerdoti partecipanti avevano l’abitudine di indossare una coroncina di foglie di vite per ripararsi dai raggi del sole. Inizialmente, infatti, la cerimonia si teneva il 19 settembre proprio nella data in cui la Chiesa ricorda il dies natalis del martire Gennaro. Tuttavia, poiché molti fedeli non riuscivano ad essere presenti a causa delle concomitanti attività agricole legate alla vendemmia, la Curia partenopea decise successivamente di spostare lo svolgimento del rito al sabato precedente la prima domenica del mese.

Un curioso aneddoto del Seicento…

Alla processione di maggio si associa il ricordo di un evento tumultuoso. Sino al Seicento, nei giorni precedenti la cerimonia, vigeva l’usanza di trasportare il busto di san Gennaro in uno dei Sedili, che corrispondevano agli antichi quartieri di Napoli. Nel maggio del 1646, in base ad una rotazione prestabilita tra i vari rioni, tale privilegio sarebbe dovuto spettare al Seggio di Capuana. Tuttavia, alcuni suoi rappresentanti, recatisi in cattedrale per ricevere la scultura argentea del martire, sarebbero stati respinti dai funzionari del vescovo dell’epoca, il cardinale Ascanio Filomarino, per non aver presentato una specifica istanza di concessione. Sarebbe nato, così, un duro scontro tra le parti, per cui, da un lato, il presule avrebbe deciso di far uscire la processione direttamente dal Duomo; dall’altro, alcuni aderenti al Seggio di Capuana, sotto forma di ripicca, avrebbero bloccato il corteo in Largo Corpo di Napoli, tentando addirittura di impossessarsi del sangue di san Gennaro e delle reliquie. Durante questo parapiglia il cardinale Filomarino, secondo le cronache dell’epoca, avrebbe ricevuto “un calcio nel sedere” da un nobile, un tale don Peppe Carafa, il quale, accusato l’anno seguente di fare gli interessi del Viceregno spagnolo, sarebbe stato ucciso da un gruppo di rivoltosi guidato dal noto pescivendolo Masaniello. Il cardinale, spaventato per l’accaduto, sarebbe fuggito grazie all’intervento delle sue guardie mentre il sangue di san Gennaro e le reliquie furono portati nella chiesa di S. Angelo a Nilo dove la liquefazione sarebbe comunque avvenuta alcuni giorni dopo il tumulto.

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