La Loggia dei Lanzi è uno dei monumenti principali della città di Firenze, situata lungo un lato della centralissima Piazza della Signoria e a pochi passi dalla Galleria degli Uffizi.

Storia della Loggia: dalla fondazione alla trasformazione in museo

Sono due le ipotesi che spiegano l’origine del nome di questa struttura architettonica inserita dal 1901 nell’elenco degli edifici storici del “patrimonio artistico nazionale”, redatto dalla Direzione Generale Antichità e Belle Arti. Per quanto facciano riferimento, entrambe, al sostantivo tedesco Landsknecht, la prima delle due tesi correla l’appellativo con l’occupazione della Loggia da parte dei Lanzichenecchi, truppe mercenarie ingaggiate dall’imperatore Carlo V che nel 1527, prima di saccheggiare Roma, transitarono e sostarono a Firenze. La seconda, invece, maggiormente attendibile a giudizio degli storici, afferma che il nome Lanzi indicherebbe i soldati del corpo di guardia personale del duca Cosimo I, che avrebbe avuto sede proprio nella struttura prospiciente su Piazza della Signoria.

L’atto di costruzione del monumento, stipulato nel 1374, prevedeva che, tra i suoi scopi, dovesse ospitare le cerimonie dei corpi civici dei Priori e dei Gonfalonieri, laddove, per maltempo, non potevano svolgersi all’aperto nello spazio antistante il Palazzo Vecchio. I lavori di realizzazione della Loggia furono avviati tra il 1376 ed il 1382, basandosi su un progetto curato da Simone di Francesco Talenti, Taddeo Ristori Benci di Cione. Di questa equipe di illustri architetti, alla luce dei documenti d’archivio, non fece parte Andrea di Cione, fratello del suddetto Benci e detto l’Orcagna, al quale erroneamente, nella tradizione locale, è legato uno dei nomi del monumento. Appare, invece, verosimile l’idea che le arcate a tutto sesto della struttura potessero aver ispirato un grande maestro del Rinascimento come Filippo Brunelleschi nella costruzione del porticato dello Spedale degli Innocenti.

Limitato solamente, entro la fine del Trecento, agli stemmi comunali e alle sculture delle 7 Virtù, due delle quali (Fede e Speranza) eseguite da Agnolo Gaddi, l’apparato decorativo della Loggia dei Lanzi cominciò ad arricchirsi con l’avvento al potere della dinastia Medici. Alla collocazione del gruppo di Giuditta e Oloferne di Donatello (l’opera, in realtà, dal 1988 è stata spostata presso la Sala dei Gigli di Palazzo Vecchio) seguì quella di altre opere di maestri del Cinquecento come Benvenuto Cellini e Giambologna. Sul finire del Settecento la Loggia fu interessata da un generale restauro curato dagli architetti Giuseppe Manetti e Giuseppe Del Rosso. A seguito di questo intervento la struttura perse la sua originaria connotazione civico-politica per acquisirne una nuova di tipo museale, esaltata ulteriormente dall’inserimento di sculture trasferite dalla Villa Medici di Roma. Utilizzata negli anni Quaranta del Novecento, a causa dei bombardamenti della seconda guerra mondiale, come ricovero temporaneo di alcune statue esposte in Piazza della Signoria, la Loggia dei Lanzi è coronata in cima da una terrazza, progettata da Bernardo Buontalenti nel 1583, la quale rientra attualmente nella gestione della limitrofa Galleria degli Uffizi.

Uno dei leoni posti all’ingresso – Foto: Giorgio Manusakis

Le stupende opere di statuaria della Loggia

A fungere da veri e propri guardiani di questo piccolo museo sono le sculture di due leoni accovacciati. Solo uno, però, è antico e risale vagamente all’età romana; l’altro, infatti, è stato realizzato nel 1600 dallo scultore Flaminio Vacca. Fra tutte le opere visibili attualmente nella Loggia va specificato come solo due gruppi siano stati concepiti e creati appositamente per essere collocati al suo interno. Il primo è il Perseo con la testa di Medusa. Questo capolavoro in bronzo fu scolpito da Benvenuto Cellini tra il 1545 ed il 1554 su commissione di Cosimo I. Ottenuto dall’assemblaggio di quattro pezzi fondamentali (il corpo dell’eroe e la sua spada, da una parte, e quello di Medusa e la sua testa tagliata, dall’altra), il gruppo rappresenta una delle più belle creazioni di Cellini il quale per completarla, secondo un aneddoto popolare, si sarebbe persino ammalato e avrebbe dovuto fondere alcune delle sue stoviglie. La base visibile oggi è in realtà una copia di quella originale conservata al Museo del Bargello. In entrambe le versioni sono comunque raffigurate divinità collegate a questo famoso mito greco. L’opera di Cellini allude alla grandezza di Cosimo I che, in qualità di novello Perseo, riuscì a sconfiggere i suoi nemici politici, ovvero gli esponenti della fazione fiorentina repubblicana, rappresentati qui dai serpenti fuoriuscenti dal collo della creatura mostruosa.

Benvenuto Cellini, ‘Perseo con la testa di Medusa’ (1545-1554) – Foto: Giorgio Manusakis

Il secondo dei due gruppi realizzati ad hoc per la Loggia è il Ratto delle Sabine. Eseguito da Jean Boulogne, italianizzato con l’appellativo di Giambologna, il capolavoro immortala uno dei Romani protagonisti dell’evento, necessario per dare una discendenza alla popolazione dell’Urbe, che prende sulle sue spalle una fanciulla. Tra le sue gambe è raffigurato un anziano personaggio, il cui significato allegorico è incerto. Interessante, a tal proposito, è una tesi secondo la quale nelle tre figure si potrebbero identificare le tre età dell’uomo, cioè la giovinezza, la maturità e la senescenza. Scolpendo un unico blocco marmoreo in uno stile che si ispira a quello michelangiolesco, Giambologna mostra la sua grande abilità nell’aggrovigliare le statue, inducendo l’osservatore a muoversi intorno ad esse per apprezzarne i minimi particolari. Purtroppo, secondo quanto emerso dall’ultimo restauro del 2008, il Ratto delle Sabine è apparso danneggiato in vari punti per via della prolungata azione degli agenti atmosferici ed inquinanti. Pertanto l’intenzione delle autorità competenti è di spostarlo, in un futuro non troppo lontano, in una nuova sede al chiuso, che potrebbe corrispondere alla Galleria dell’Accademia, dove già, tra l’altro, è esposto un suo modello in terra cruda.

Giambologna, ‘Ratto delle Sabine’ (1574-1580) – Foto: Giorgio Manusakis

Di Giambologna la Loggia dei Lanzi custodisce un’altra meravigliosa opera come il gruppo di Ercole ed il centauro Nesso. Lo scultore decide qui di immortalare uno dei momenti più intensi dell’antico mito: l’eroe argivo, teso e concentrato in volto, sta per sferrare il colpo decisivo verso il suo avversario, che aveva tentato di violentare sua moglie Deianira. Proprio nella rappresentazione di Nesso, creatura per metà uomo e per metà cavallo, Giambologna offre forse uno dei migliori saggi della sua bravura. Oltre che nella dettagliata resa del suo corpo, l’artista si esalta soprattutto nella modellazione dei riccioli dei capelli e della barba, anticipando quel pathos che si ritroverà pienamente nel Seicento con il Barocco. Realizzato nel 1599, il gruppo fu posto inizialmente presso il Canto dei Carnesecchi per poi essere spostato nel loggiato degli Uffizi e successivamente in una piazzetta vicina alla riva sinistra dell’Arno; al 1812, infine, risale la sua definitiva sistemazione nella Loggia.

Giambologna, ‘Ercole e il centauro Nesso’ (1598) – Foto: Giorgio Manusakis

Nel Ratto di Polissena si ha una delle opere più espressive della scultura ottocentesca. Perno del gruppo è il personaggio di Pirro-Neottolemo che, dopo aver preso con sé la figlia di Priamo e da poco ucciso suo fratello Polidoro, sta per colpire a morte la supplicante sposa del re troiano, Ecuba. È molto probabile che da un punto di vista stilistico l’autore Pio Fedi abbia tratto ispirazione da modelli scultorei antichi, come il Menelao e Patroclo custodito proprio nella Loggia, e del XIX secolo, come l’Ercole e Lica di Antonio Canova ed il Pirro che getta Astianatte dalla torre di Lorenzo Bartolini. La scelta del tema epico, nel quale si intrecciano amore e morte, sembra essere fortemente influenzata dal coevo contesto culturale romantico. Al gruppo, che fu svelato al pubblico per la prima volta da Fedi nel 1865 nel suo studio fiorentino di via dè Serragli, è stata dedicata una mostra tenutasi da novembre 2018 a marzo 2019 all’interno della vicina Galleria degli Uffizi.  

Pio Fedi, ‘Ratto di Polissena’ (1855-1865) – Foto: Giorgio Manusakis

Tra i documenti di statuaria antica spicca indubbiamente il già menzionato gruppo di Menelao e Patroclo. In realtà, secondo un’altra ipotesi basata su confronti con la ceramografia greca, il personaggio in piedi potrebbe essere identificato con Aiace Telamonio il quale sta sorreggendo il corpo del defunto compagno Achille.

‘Menelao e Patroclo’ (copia di epoca romana da originale greco) – Foto: Giorgio Manusakis

Va sottolineato come l’opera, donata da Papa Pio V a Cosimo I, presentasse già diverse lacune al momento della sua scoperta a Roma, probabilmente durante gli scavi del Foro di Traiano. Nel completare le parti mancanti gli artigiani Pietro Tacca e Ludovico Salvetti si sarebbero ispirati, come modello di riferimento, ad un gruppo statuario custodito a Palazzo Pitti ma per la testa del cosiddetto Menelao avrebbero considerato un ritratto del re di Sparta conservato ai Musei Vaticani. Il gruppo della Loggia, eseguito nella seconda metà del I secolo d.C. al tempo della dinastia imperiale dei Flavi, è copia di un originale ellenistico della metà del III secolo a.C. Sempre dagli scavi del Foro di Traiano proverrebbero le sei statue femminili sistemate all’interno del monumento vicino al Menelao e Patroclo, le quali, però, furono prima collocate a Villa Medici e poi soltanto nel 1789 trasferite a Firenze; in tre di queste figure è possibile riconoscere matrone di periodo imperiale. Una delle restanti, invece, è stata identificata con Thusnelda, figlia del principe Segestes nonché moglie di Arminio, uno dei protagonisti della vittoria dei barbari sui romani nella Battaglia della Selva di Teutoburgo, la quale fu rapita e portata a Roma da Germanico. Nel completare, infine, questo interessante excursus dedicato agli straordinari tesori racchiusi nella Loggia dei Lanzi è doveroso porre in evidenza l’esposizione di due epigrafi che commemorano due eventi importanti nella storia di Firenze: l’adozione del calendario moderno a partire dal 1750 (che portò all’abolizione del precedente che aveva inizio dal 25 marzo) e la nascita del Regno d’Italia, di cui la città sarebbe stata per alcuni anni capitale.

‘Thusnelda’ (II sec. d.C.) – Foto: Giorgio Manusakis

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