Basilica di Sant’Andrea delle Fratte, la facciata con il campanile – Foto: Stefania Rega

Una storia lunga e ricca per uno dei migliori esempi di barocco romano

La toponomastica è una branca della linguistica, mai abbastanza apprezzata, che può dirci moltissime cose sulla storia e sulle origini dei luoghi che frequentiamo. Nel rione Colonna di Roma, intitolato alla vicina e centralissima piazza Colonna, insiste la Basilica di Sant’Andrea delle Fratte. Il termine un po’ desueto “fratte” indica un luogo incolto, dominato da rovi e sterpi, sul quale la mano ordinatrice dell’uomo non è ancora arrivata, o dal quale è da tempo scomparsa. Che una chiesa fosse intitolata alle fratte è la testimonianza inconfutabile che sorgesse in un ambiente ancora saldamente nelle mani di Madre Natura. E infatti le fonti ci informano che la chiesa dedicata a Sant’Andrea, “infra hortos” o “de hortis” secondo l’originaria denominazione latina, è sorta alla fine del XII secolo in una zona che allora era aperta campagna. Una condizione molto difficile da immaginare oggi percorrendo il rione Colonna, dove palazzi maestosi si aprono su strade lisce e pulite, e alberghi di lusso si alternano a ristoranti eleganti.

Anche la seconda denominazione di questa chiesa ci racconta qualcosa della sua storia: “Basilica della Madonna del Miracolo” fa riferimento ad un evento prodigioso che si verificò all’interno del luogo sacro il 20 gennaio 1842. In quella occasione Alfonso Ratisbonne, ebreo di nazionalità francese, di passaggio a Roma durante un viaggio verso Gerusalemme, entrò in chiesa. Il giovane non aveva alcuna simpatia per la religione e la chiesa cattolica. Del resto a quei tempi tra ebrei e cattolici i rapporti non erano esattamente di amicizia. Tuttavia, Ratisbonne entra in chiesa insieme all’amico, il barone Marie-Théodore de Bussierre, che lo accompagnava nella passeggiata per le strade della città papale. Una volta all’interno, ebbe la visione di una splendida donna che lui stesso riconobbe subito come la Vergine Maria. L’apparizione gli provocò una subitanea conversione. Lui stesso la racconta così: “tutto quello che so è che, entrando in chiesa, ignoravo tutto, e uscendone, vedevo tutto chiaro…i pregiudizi contro il Cristianesimo non esistevano più, l’amore del mio Dio aveva preso il posto di qualsiasi altro amore.” La forza della nuova fede lo portò ad ordinarsi sacerdote e farsi missionario nel mondo per la conversione di ebrei e musulmani. Morì infatti a Ain Karem, qualche chilometro fuori dalla città vecchia di Gerusalemme, nel 1884. Intanto, la chiesa Cattolica si affrettò a riconoscere la soprannaturalità dell’apparizione mariana e la chiesa di Sant’Andrea delle Fratte, promossa al rango di basilica esattamente un secolo dopo, nel 1942, si guadagnò il suo secondo nome: “Basilica della Madonna del Miracolo.”

L’edificio che ammiriamo oggi è, naturalmente, il frutto della decisa opera di restauro sulla chiesa del XII secolo che si protrasse lungo il Seicento e il Settecento. Il progetto principale, della seconda metà del XVII secolo, porta la firma del grande architetto Francesco Borromini, il maestro del barocco italiano.

Basilica di Sant’Andrea delle Fratte, l’ingresso – Foto: Stefania Rega

La facciata odierna della Basilica di Sant’Andrea delle Fratte è composta dal corpo in mattoni grezzi sul quale spicca, per contrasto ed eleganza, il campanile bianco e curatissimo, progettato proprio dal Borromini. Esso è composto da un basamento rotondo con quattro coppie di colonne corinzie sormontate da capitelli costituiti da erme di Giano Bifronte, quindi da otto cariatidi dalle ali ripiegate e un piano con torce fiammeggianti che ha la funzione di piedistallo per l’ultimo piano, dove è collocato lo stemma della famiglia committente, i Del Bufalo, che sostiene la croce di Sant’Andrea. Il campanile è soprannominato ‘ballerino’ perché quando la grande campana suona, la struttura oscilla paurosamente.

L’interno della basilica presenta una larga navata centrale coperta da volta a botte e fiancheggiata da tre cappelle per lato. Essa termina in un transetto, disegnato dal Borromini ed affiancato da altre due piccole cappelle.

Il presbiterio è caratterizzato da numerosi dipinti di notevole interesse, tra i quali, dietro l’altare maggiore, la “Crocifissione di Sant’Andrea” di Giovan Battista Leonardi, la “Morte di Sant’Andrea” di Lazzaro Baldi e la “Sepoltura di Sant’Andrea” di Francesco Trevisani.

La cappella della Madonna del Miracolo – Foto: Stefania Rega

La terza cappella di sinistra è dedicata alla “Madonna del Miracolo”, ideata da Marcello Piacentini e dedicata all’apparizione mariana ad Alfonso Ratisbonne di cui abbiamo già raccontato. La Vergine è raffigurata così come apparve a Ratisbonne, in piedi, da sola senza il suo Bambino, vestita di lungo con una fascia, un velo ed una corona tempestata di diamanti. I raggi della grazia lampeggiano dalla punta delle dita mentre si trova sulle nuvole a piedi nudi. L’altare con il quadro è decorato con alabastro e marmo bianco venato di nero e presenta quattro colonne corinzie in marmo verde antico. I pilastri dell’arco posto all’ingresso della cappella sono completamente coperti dai tantissimi ex-voto. È l’unica cappella della basilica illuminata e curata. Le altre sono lasciate ad una incomprensibile incuria.

Tra le attrazioni principali della basilica sicuramente vi sono gli angeli che Gian Lorenzo Bernini realizzò per Ponte Sant’Angelo nel 1667: l’angelo con il “cartiglio” (a sinistra del presbiterio) e l’angelo con la “corona di spine” (a destra del presbiterio). Papa Clemente IX Rospigliosi li considerò troppo preziosi per essere esposti alle intemperie e sul ponte fece installare copie di bottega. In realtà sembra che il papa volesse appropriarsene e spedirli a Pistoia, città natale della sua famiglia. Comunque gli originali, dopo un breve soggiorno nel Palazzo Rospigliosi, non si mossero da Roma, anche per la morte di lì a poco del pontefice: rientrati in possesso dei Bernini, restarono all’interno del palazzo di famiglia fino al 1729, quando furono donati e trasferiti in questa chiesa.

Gian Lorenzo Bernini, ‘Angelo con il cartiglio’ – Foto: Stefania Rega

Dietro l’altare maggiore è situata una scala in pietra che permette di scendere nella cripta sottostante, dove si trova l’unico esempio a Roma di putridarium. Si tratta di un processo di trattamento dei defunti che un tempo i religiosi usavano spesso. Consisteva nel collocare i cadaveri sopra appositi sedili muniti di un ampio foro centrale sotto il quale veniva posizionato un vaso per la raccolta dei liquidi e dei resti della decomposizione umana. Una volta terminato il processo di putrefazione dei corpi, le ossa rimanenti venivano raccolte, lavate e trasferite per la sepoltura definitiva nell’ossario. Nel putridarium di Sant’Andrea delle Fratte è presente circa una quindicina di sedili disposti lungo i tre lati più lunghi. Purtroppo, o per fortuna, il luogo non è visitabile. Anzi, l’intero presbiterio è sciaguratamente chiuso al pubblico da bruttissime transenne di plastica arancione.

Il portico del chiostro – Foto: Stefania Rega

Direttamente dalla chiesa si accede ad un grazioso chiostro, con una fontana centrale circondata su tre lati da portici, le cui lunette nel corso del XVII secolo vennero decorate da più artisti con una serie di affreschi che raffiguravano la vita di San Francesco da Paola. Di queste pitture rimane purtroppo ben poco. Non rimane nulla, invece, del convento che affiancava il chiostro il quale venne confiscato dallo Stato Italiano dopo il 1870 e utilizzato come scuola elementare prima e come caserma dei Carabinieri poi. Oggi quelle sale ospitano alcune aule del Conservatorio di Santa Cecilia. Sotto al portico, infatti, si apre una grande vetrata che inaspettatamente porta non al convento, come ci si aspetterebbe, ma proprio al Conservatorio. Molto spesso, le note prodotte dagli studenti di musica accompagnano le passeggiate nel chiostro, contribuendo involontariamente all’atmosfera distesa, quasi sognante, che il luogo regala e che l’inavvedutezza di certi interventi e decisioni del passato e la sopraggiunta incuria scalfiscono solo in parte.

L’ex convento poi scuola e caserma, oggi parte del Conservatorio di Santa Cecilia – Foto: Stefania Rega

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