La Sacra di San Michele – Foto: Giulietta Vizzotto
a cura di Giulietta Vizzotto
Impossibile giungere in val di Susa e non vederla: la Sacra di San Michele, monumento simbolo della Regione Piemonte dal 1994, si erge maestosa sul monte Pirchiriano a 962 metri sul livello del mare, lungo una via che già nell’antichità collegava l’Italia all’Europa nord-occidentale.
Il monte Pirchiriano rappresenta uno tra i più antichi luoghi di culto dedicati all’arcangelo Michele. Esso si trova esattamente alla metà di una linea immaginaria che unisce il monastero di Skelling in Irlanda, il monastero di St. Michael’s Mount in Cornovaglia, l’abbazia di Mont Saint-Michael in Normandia, la Sacra di San Michele in Piemonte, il santuario di Monte Sant’Angelo in Puglia, il monastero di Panormitis sull’isola di Simi in Grecia e il monastero Stella Maris ad Haifa in Israele.
Secondo la leggenda questa linea sacra, dedicata al culto di san Michele Arcangelo, sarebbe il colpo di spada che il santo inflisse al diavolo per rimandarlo all’inferno.
L’abbazia è stata fondata tra il 983 e il 987 e edificata sopra a tre piccole cappelle preesistenti già dedicate a san Michele Arcangelo, grazie alle donazioni di Ugo di Montboissier, ricco penitente francese.
In origine è stato un insediamento monastico benedettino diventando, intorno al XII secolo, un centro spirituale e culturale che ha accolto nobili e pellegrini di tutta Europa.
Dal XIV secolo, per motivi economico-politici e amministrativi, inizia una progressiva decadenza che porta, nel 1622, alla soppressione dell’ordine monastico.
Nei due secoli successivi l’incuria e i saccheggi portano gli edifici a parziale rovina.
La rinascita inizia nel 1836 quando re Carlo Alberto di Savoia chiama alla Sacra la congregazione religiosa fondata dal sacerdote-filosofo Antonio Rosmini diventando, poi, proprietà dello Stato nel 1866.
I Padri Rosminiani sono tuttora i custodi e gestori del santuario, promuovendo iniziative per la conservazione e valorizzazione dell’abbazia.
La Sacra di San Michele è tra i più grandi complessi architettonici di epoca romanica in Europa, frutto di interventi e ampliamenti fatti nel corso dei secoli.
Il basamento che sostiene la parte orientale della chiesa con le tre absidi in pietra verde è alto 26 metri. Il portale d’ingresso, sorvegliato da leoni scolpiti nei capitelli degli stipiti, segna l’inizio del cammino fisico e spirituale che porta alla chiesa.
Lo Scalone dei morti – Foto: Giulietta Vizzotto
La ripida salita dello Scalone dei morti mostra molto evidenti i caratteri dell’architettura romanica ed è stato nei primi tempi utilizzato come luogo di sepoltura per i monaci e i benefattori.
Il viaggio del visitatore e del pellegrino inizia proprio da qui: si entra in un luogo un po’ oscuro che culmina, al termine dello scalone, con il Portale dello zodiaco da cui filtra la luce esterna; la salita, a prescindere dal proprio credo religioso, non lascia intimamente indifferenti.
La fatica di percorrere la salita sui gradini usurati dal tempo induce all’introspezione, a guardare dentro di sé e a volgere spesso lo sguardo verso la porta da cui filtra la luce che per il pellegrino rappresenta, ora come allora, la rinascita e la conquista della pace interiore.
Raggiunto il Portale dello zodiaco, sullo stipite di destra si possono vedere scolpiti i segni dello zodiaco mentre su quello di sinistra altre sedici costellazioni.
Uscendo all’aperto, oltre a riprendere fiato dalla salita piuttosto faticosa dello scalone, ci si trova di fronte quattro archi rampanti neogotici che sono stati costruiti durante i lavori di consolidamento della chiesa nel XIX secolo, sotto la direzione dell’architetto Alfredo D’Andrade.
La scalinata in pietra verde conduce al portale romanico della chiesa, ai cui lati ci sono due colonnine con capitelli floreali e che è protetto da un gocciolatoio che termina sulla destra con la testa di un monaco incappucciato e sulla sinistra (ora mancante) quella di un ragazzo. I battenti della porta in noce sono un dono di Carlo Felice di Savoia datato 1826 e mostrano le armi di san Michele Arcangelo e il diavolo sotto forma di serpente ma con un volto umano.
Il Portale dello zodiaco – Foto: Giulietta Vizzotto
La chiesa, costruita in parte sul basamento (nella zona del presbiterio) e in parte sul monte, è stata realizzata in due tempi e modificata nei secoli, subendo l’ultimo restauro importante nel 1937 con la ricostruzione della volta centrale a crociera. I grandi pilastri che separano le tre navate mostrano il mutare del gusto stilistico, che è passato dal romanico al gotico nei lunghi anni della costruzione, ovvero dal 1160 al 1230 circa.
La Sacra di San Michele, interno della chiesa – Foto: Giulietta Vizzotto
Al primo periodo risalgono le statue che adornano l’abside; gli affreschi che decorano le pareti sono tutti del XVI secolo, mentre il fondo della chiesa ospita pregevoli opere pittoriche del XVI e XVII secolo; tra tutte spicca il trittico di Defendente Ferrari del 1520.
La Sacra di San Michele, il trittico di Defendente Ferrari – Foto: Giulietta Vizzotto
I sarcofagi in pietra, collocati lungo il perimetro della chiesa, ospitano le spoglie di alcuni esponenti di Casa Savoia traslate nel 1836 dal Duomo di Torino per volere di re Carlo Alberto, lo stesso che si adoperò affinché la congregazione rosminiana arrivasse a gestire e custodire la Sacra.
Del grande monastero che fu costruito tra il XII e XIV secolo per accogliere più di sessanta monaci, restano ormai solo alcune imponenti rovine, tra cui spicca la Torre della bell’Alda: la leggenda racconta che Alda, una bella ragazza, per sfuggire ai soldati di ventura si sarebbe gettata dalla torre del monastero, giungendo incolume ai piedi del monte grazie all’intercessione degli angeli. In seguito, per vanità e denaro, tentò una seconda volta il volo, ma si sfracellò sulle rocce sottostanti. (Chi troppo vuole nulla stringe!)
La Torre della bell’Alda – Foto: Giulietta Vizzotto
Ci sono due vie per raggiungere la Sacra: dalla stazione di Avigliana è possibile usufruire di un servizio di navetta che porta direttamente al piazzale da cui inizia la salita all’abbazia; oppure, per chi ha gambe buone, lasciare l’auto alla stazione di Sant’Ambrogio e, attraverso una mulattiera, con circa un’ora e mezza di camminata, raggiungere la Sacra attraverso una salita intervallata da 15 stazioni della Via Crucis.
Un’ultima curiosità: il grande scrittore Umberto Eco si ispirò a questa abbazia per descrivere i luoghi in cui è ambientato il suo celebre romanzo Il nome della rosa.
Per chi si trova a passare in terra piemontese è una visita che merita di essere fatta per i luoghi suggestivi, le molte opere d’arte, la sua storia millenaria e il panorama della val di Susa.