Siamo a Napoli, il cui centro storico, un’area estesa per più di 10 km², risulta essere tra i più vasti d’Europa ed è stato dichiarato patrimonio dell’umanità dall’UNESCO nel 1995.
Ci soffermiamo nel quartiere Mercato, sul versante orientale della città a ridosso delle antiche mura cittadine, dove subito attira la nostra attenzione la quattrocentesca Porta Capuana di epoca aragonese. Essa, caratterizzata dalla presenza di due torri cilindriche in piperno, simbolo di ‘Onore e Virtù’, prende il nome dal suo orientamento in direzione della città di Capua. Di fronte ammiriamo l’imponente Castel Capuano detto anche La Vicaria, costruzione fortificata di origine normanna rimasta dimora reale fino al XV secolo e, dal 1540, Palazzo di Giustizia.
Ma, in particolare, desidero focalizzarmi sul bellissimo Complesso Monumentale di S. Caterina che, con i suoi trascorsi e la sua variegata composizione, risulta essere uno splendido paradigma delle tappe fondamentali della storia di Napoli. Si tratta di un’insula di origine medievale rimasta ubicata esternamente alla città sino alla seconda metà del’400 quando venne, poi, inglobata all’interno della cinta muraria a seguito della politica difensiva del re Ferrante d’Aragona e dell’ampliamento delle mura cittadine.
Il Complesso è composto dalla quattrocentesca chiesa di Santa Caterina a Formiello, con a fianco il convento e i suoi due chiostri: uno piccolo e uno più grande detto dei Cedrangoli.
L’edificio di culto, che prese il nome dalla vicinanza degli antichi canali sotterranei, i formali appunto, che portavano l’acqua del fiume Sebeto dall’antica ‘Sorgente della Bolla’ sino alla città, inizialmente era una piccola chiesa con annesso convento di frati celestini, dedicata alla vergine e martire di Alessandria, santa Caterina.
Il suo ampliamento avvenne nel primo ventennio del ‘500 su progetto dell’architetto toscano Romolo Balsimelli ed infatti sono chiaramente leggibili le influenze del rinascimento fiorentino di memoria brunelleschiana o provenienti dagli esempi di Giuliano da Sangallo o di Francesco di Giorgio Martini.
L’interno, a croce latina, vede un’unica navata coperta con volta a botte, su cui si aprono cinque cappelle a pianta quadrata per lato e coperte anch’esse da volte a botte. Il transetto sporge della stessa profondità delle cappelle laterali così da formare una pianta dal perimetro perfettamente rettangolare.
Nello spazio della crociera e del presbiterio notiamo la presenza di numerosi lapidi e sepolcri della famiglia Spinelli di Cariati che aveva enormemente contributo, con cospicui lasciti, alla costruzione della chiesa cinquecentesca. Fu così che una delle maggiori dinastie feudali del regno accampò il proprio prestigio in questo luogo e, attraverso statue, stemmi ed iscrizioni, ne sottolineò titoli, parentele illustri, meriti ed imprese. Inoltre qui si custodiscono, dal 1497, 240 reliquie appartenenti a una parte dei celebri 400 Martiri d’Otranto, uccisi dai turchi per aver difeso la fede cristiana, e traslate a Napoli da Alfonso II nel 1492.
Nel complesso siamo di fronte ad uno dei pochi esempi architettonici inalterati dell’epoca rinascimentale a Napoli, caratterizzato da una severa dignità che appare interessata ma non particolarmente sconvolta dalle stratificazioni barocche e post-barocche dei secoli successivi e di cui, di fatto, tutta la città è testimone.
Esternamente alla chiesa, posta in posizione pressoché centrale rispetto al Castel Capuano, vi è un’edicola con il busto di San Gennaro realizzata, alla fine del’600, su progetto di Ferdinando Sanfelice come ringraziamento per la protezione accordata dal santo alla città in occasione di varie calamità.
Appartengono al complesso, posti alla sinistra della chiesa, il monastero, un piccolo chiostro e il grande chiostro detto dei Cedrangoli, forse per via della presenza, in origine, di alcune piante di arance amare.
Nell’Ottocento il monastero ed i chiostri, abitati sin dai primi del ‘500 dai padri domenicani, furono requisiti da Gioacchino Murat e, successivamente, trasformati da Ferdinando di Borbone in opificio per la produzione di lana e divise militari. Nasce il Lanificio che, dando lavoro a oltre quattrocento persone, divenne in breve tempo uno dei primi virtuosi esempi di industrializzazione del sud Italia.
Chiaramente, a livello architettonico, vi furono enormi alterazioni dell’assetto originario attraverso la tompagnatura delle arcate e la costruzione di superfetazioni necessarie e funzionali all’utilizzo industriale di luoghi di culto, come le due ciminiere collegate a due macchine a vapore, le parziali coperture e un padiglione.
Nel 1861, con l’Unità d’Italia e l’avvento di casa Savoia, vennero sospese le ordinazioni di divise, il lanificio smise di funzionare e il tutto divenne un’area dismessa soggetta ad un progressivo ed inesorabile degrado.
Stringiamo ancora di più il nostro focus di interesse per concentrarci particolarmente sul chiostro piccolo e sul racconto di come, ai giorni nostri, un importante intervento di restauro abbia consentito il recupero funzionale ed estetico di spazi degradati.
Nel chiostro piccolo, in origine dedicato a Santa Caterina da Siena, vi sono interessanti affreschi tardo cinquecenteschi, purtroppo gravemente danneggiati, mentre l’impianto originale venne profondamente modificato in epoca borbonica, soprattutto nella parte centrale con la costruzione di un’imponente capriata lignea destinata all’essiccazione delle lane. Tuttavia, questo particolare conferisce a questo luogo una straordinaria unicità come sintesi tra memorie rinascimentali e archeologia industriale ottocentesca.
Chiesa di Santa Caterina a Formiello, chiostro piccolo – Foto: Olivo Scibelli – Licenza flickr
Operare in un territorio significa conoscerlo, viverlo, scovare le bellezze nascoste, tessere relazioni quotidiane con chi ci vive e ci lavora, mettersi in modalità d’ascolto attenti a notare le dinamiche già presenti sul posto, catturando la vita stessa dei luoghi. È ciò che ha fatto un gruppo di privati napoletani che sono rimasti affascinati dalla bellezza di questi luoghi e, allo stesso tempo, hanno dato ascolto ad una sensazione di forte sgomento nell’assistere al degrado in cui versavano.
Si tratta della Fondazione Made in Cloister che si è resa protagonista di questa felice attività di restauro e riconversione, avviata nel 2000 e conclusasi per la parte più massiccia nel 2016. Alleati per dedicare impegno e denaro con un triplice obiettivo: salvare dalla rovina un complesso rinascimentale ormai al collasso, riportarlo agli antichi splendori e restituirlo alla comunità come volano per l’economia locale, catalizzatore di cultura e polo d’eccellenza dell’artigianato partenopeo e internazionale.
La Fondazione è riuscita innanzitutto ad ottenere l’affidamento del piccolo chiostro di proprietà della Regione Campania e, nel frattempo, divenuto a fasi alterne falegnameria, saponificio, garage, deposito.
Con un progetto di autofinanziamento e grazie a una massiccia raccolta fondi attraverso web e crowfounding, è stata ripristinata la spazialità ottocentesca, eliminando tutti gli abusi più recenti, per realizzare al suo interno un centro espositivo e performativo aperto alla città.
Chiesa di Santa Caterina a Formiello, vista laterale – Foto: Matilde Di Muro
Al restauro degli affreschi ha collaborato l’Accademia di Belle Arti di Napoli riportando alla luce le storie sulla vita di S. Caterina d’Alessandria e l’essiccatoio ligneo borbonico che, posto al centro dello spazio, abilmente recuperato è diventato il fulcro delle attività della Fondazione e simbolo del progetto.
Certo, il chiostro ha ancora bisogno di lavori di conservazione, restauro e manutenzione ma, intanto, il luogo ha ripreso a vivere attraverso mostre di arte contemporanea, performance, incontri e concerti.
Cinquecento anni di storia e la ‘memoria del passato’ che diventa ‘scintilla creativa’.
Ecco, quindi, una pregevole riqualificazione e valorizzazione di un singolare monumento di archeologia industriale in pieno centro cittadino. Come questo molti altri luoghi, in una città ricca di storia come Napoli, attendono di riprendere vita.
Forse il leggendario fiume Sebeto, cantato dai poeti romani e dai letterati umanisti, scorre ancora sotto l’antico lanificio. Non si sa. La cultura, come l’acqua, a Napoli scorre in minima parte visibile ma tanta parte è ancora invisibile, nascosta dai tanti strati di una umanità frenetica e distratta. Qui i tempi coesistono e le pietre, come le persone, ne sono viva e non immobile testimonianza. Tanti gli scavi da approfondire o le aree da rimettere in sesto perché se ne possa ammirare tutta la loro bellezza e, soprattutto, per ricordare agli abitanti dei quartieri, della città tutta e, perché no, del mondo intero, attraverso le migliaia di turisti che ogni giorno affollano le strade, che di qui molta storia è passata.
Da un luogo di memoria rinascimentale nasce il desiderio di un nuovo possibile ‘Rinascimento’: tanta voglia di futuro che si può poggiare sulla ricchezza del passato.
Specifiche foto del chiostro piccolo:
Titolo: Napoli – Chiesa Santa Caterina a Formiello Chiostro
Autore: Olivo Scibelli
Licenza: flickr
Link: https://www.flickr.com/photos/129801841@N03/16289999731/
Foto modificata
Castel Capuano – Foto: Matilde Di Muro