Collage di screenshot tratti dal trailer del film ai sensi dell’articolo 70 comma 1 della legge 22 aprile 1941 n. 633 sulla protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio, modificata dalla legge 22 maggio 2004 n. 128

A 102 anni dal capolavoro di Friedrich Wilhelm Murnau, Robert Eggers riporta sugli schermi Nosferatu in un remake che coniuga rispetto per la tradizione e tecniche innovative.

Le differenze con il capolavoro originale di Murnau

Il regista Robert Eggers, dopo gli elogi ricevuti dalla critica per The Northman, porta nelle sale Nosferatu, remake del capolavoro del cinema muto diretto da Friedrich Wilhelm Murnau, Nosferatu, eine Symphonie des Grauens. Si tratta di una scelta molto coraggiosa da parte del regista; il film originale è infatti considerato un caposaldo assoluto della cinematografia mondiale, che ha influenzato il genere horror e ha lasciato un’indelebile impronta nella produzione espressionista tedesca. Inoltre, il remake di Eggers ha un altro illustre predecessore, Nosferatu, il principe della notte (1979) di Werner Herzog, il quale fu capace di adattare pienamente ai canoni del nuovo cinema tedesco il grande classico di Murnau.

Quella di Eggers è tuttavia la prima rivisitazione della pellicola ad essere concepita e pensata in lingua inglese, ponendosi in una prospettiva che, pur rispettando profondamente la tradizione, è volta ad innovarla sia sul piano narrativo sia nella resa scenica. Rispetto al film originale questo remake si concentra maggiormente sulla figura di Ellen, interpretata da Lily-Rose Depp. La protagonista, alquanto inquieta per via della sua solitudine, trova conforto esclusivamente nella preghiera, attraverso la quale entra in contatto con un’entità spirituale misteriosa. Suo marito Thomas, nella pellicola interpretato da Nicholas Hoult, è invece un agente immobiliare che accetta un incarico da parte del suo datore di lavoro per vendere una vecchia dimora al conte Orlok, eccentrico abitante di un inquietante castello sito in Transilvania. La scoperta da parte di Thomas della vera identità del nobile, che si rivela essere un vampiro di nome Nosferatu, gli impedirà il rientro a casa, mentre la moglie Ellen sarà assalita da attacchi di sonnambulismo e convulsioni collegati ai malefici inflitti proprio da Nosferatu. L’arrivo del conte in città porterà un’ondata di morte, terrore e malattia, alla quale solo Ellen, fragile ma determinata, potrà porre fine, in uno scontro tra luce e ombra che rievoca pienamente i concetti cardini della pellicola da cui è tratto questo adattamento.

Dalla malvagità di Nosferatu al ‘male ordinario’ della società

Eggers focalizza la narrazione del film estremizzando alcuni elementi presenti nell’originale di Murnau, come ad esempio la discrepanza tra la convinzione di Thomas, proiettato in un’impresa che si rivelerà illusoria, dell’essere l’eroe della storia e il vero svolgersi degli eventi, per cui Ellen, nella solitudine della sua camera da letto, è la protagonista del vero e risolutivo scontro finale.

Ulteriore punto nevralgico di questo riadattamento è l’accezione data alla lotta tra bene e male, il cui confine, che risulta netto e invalicabile nell’originale, è ben più labile nella pellicola di Eggers. Qui a colpire, più che la sovrannaturale e assoluta malvagità della figura di Nosferatu, è il male ordinario, quello che alberga in una società repressa e ossessionata dalla sessualità, nella quale le donne come Ellen sono oppresse e subiscono violenza di ogni genere in un clima di accettazione e silenzio assoluti.

Conseguente a questa scelta è il modo in cui viene reso scenicamente il personaggio di Nosferatu: Bill Skarsgård, che lo interpreta, risulta irriconoscibile a causa del pesante trucco e della scelta di rappresentarlo avvolto nella maggior parte dei casi da tenebre che ne oscurano e stravolgono i lineamenti. Siamo ben lontani dalla figura portata sugli schermi da Murnau che si stagliava netta, nitida e imponente sullo schermo, incarnando alla perfezione l’incubo archetipico. Questo Nosferatu è una figura appartenente perlopiù alla dimensione onirica, confusa tra luci e ombre, come a suggerirci che più che davanti a un mostro ci troviamo davanti a una proiezione soprannaturale della repressione, del male, della nefandezza che attraversa il mondo reale.

Particolari strumenti ed artifici, orientati verso un’estetica chiaroscurale

Queste suggestioni vengono confermate dalla fotografia di Jarin Blaschke che rinnova il suo sodalizio artistico con Eggers, dando vita ad un’oscurità talmente intensa che, alla stregua di un elemento poetico e al tempo stesso minaccioso, sembra quasi possibile toccare con mano. Per realizzare queste atmosfere, molte scene di interni sono state girate al buio. Al fine di richiamare l’estetica e i toni del cinema in bianco e nero, per le riprese è stata usata una pellicola 35mm. Sono state inoltre utilizzate lenti particolari e un filtro speciale creato appositamente per l’occasione, in grado di eliminare le tonalità di giallo e di rosso al fine di accentuare l’estetica chiaroscurale. Di notevole qualità anche la colonna sonora originale, firmata da Robin Carolan, che rimarca quelle sensazioni di tangibile oscurità e palpabile tensione che pervadono tutta l’opera. Robert Eggers si dimostra, ancora una volta, regista capace di interpretare l’horror classico con il massimo rispetto per la tradizione ma, al tempo stesso, con l’utilizzo di tecniche contemporanee, dare anche nuova linfa a questo genere cinematografico. La sua sfida, come per i grandi successi The Witch (2015) e The Lighthouse (2019), è quella di suscitare nello spettatore tensione non attraverso trame particolarmente elaborate o immagini particolarmente crude, ma attraverso la creazione di atmosfere e di un’estetica in grado di affascinare, coinvolgere e catapultare il pubblico nell’interessante mondo della narrazione mitica-paranormale di tradizione mitteleuropea. Il film viene proposto in una veste contemporanea, che ha il fascino dell’antico ma strizza l’occhio alla modernità in quanto a tematiche, atmosfere e visione del mondo.

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