Sofonisba Anguissola, ‘Autoritratto alla spinetta’ (1554-1555), olio su tela – Napoli, Museo di Capodimonte – Foto: Giorgio Manusakis

Per secoli l’arte è stata appannaggio degli uomini e nascere donna significava essere relegata a una vita privata assumendo il ruolo di moglie e madre.

Non fu così per Sofonisba Anguissola, donna controcorrente, capace di infrangere lo stereotipo della creatività maschile e di fare da pioniera nella partecipazione della donna al mondo dell’arte.

Con la maestria dei suoi dipinti si impose alla scena europea prima ancora delle note pittrici di epoca barocca quali la celeberrima Artemisia Gentileschi o, andando avanti nei secoli, la famigerata Frida Khalo, tutte donne la cui forte personalità sfidò le convenzioni dei tempi.

Nata il 2 febbraio del 1532 a Cremona, primogenita di una nobile famiglia ebbe, insieme alle sue cinque sorelle, il privilegio di essere avviata allo studio della letteratura, della pittura e della musica secondo quanto suggerito dagli umanisti e, in particolare, da Baldassarre Castiglione nel celebre trattato “Il cortegiano”.

Le sue capacità disegnative e pittoriche prevalsero sulle altre sorelle (una abbandonò la carriera artistica per diventare monaca domenicana); ben presto i suoi interessi divennero anche il suo mestiere, riuscendo a farsi conoscere nelle corti italiane ed europee.

Nel 1559 approdò in Spagna, dove fu ben accolta da Filippo II diventando dama di corte della regina Elisabetta e ritrattista ufficiale della famiglia reale. Un ritratto di Elisabetta di Valois, a lei attribuito, è conservato nel Museo del Prado.

A Napoli, nel Museo di Capodimonte, abbiamo il suo “Autoritratto alla spinetta” realizzato nel 1554, all’età di ventidue anni, in cui appare caratterizzata da occhi chiari e da fronte spaziosa, vestita con abiti semplici ma dignitosi. Allo stesso periodo appartiene anche “Autoritratto al cavalletto” con il quale fu la prima pittrice a rompere un tabù, mettendo in discussione il ruolo della donna nella società del sedicesimo secolo e spianando, così, la strada a tante artiste.

Di lei abbiamo altri autoritratti, da sola o accanto alle sorelle; quest’ultime, Lucia, Minerva e la piccola Europa, le ritroviamo nella tela “Partita a scacchi” intente a giocare e sorvegliate da un’anziana servente.

Interessante è anche il ritratto che fece di lei il suo maestro, Bernardino Campi: la tela vede il pittore mentre è impegnato a ritrarre la giovane allieva nel suo ricco abito color cremisi.

Con il tempo Sofonisba si fece apprezzare non solo per il suo talento artistico, ma anche per le sue doti umane, per quella sensibilità che la spinse a restare alla corte madrilena anche dopo la morte della regina per prendersi cura delle due figlie di lei.

Sposatasi trentottenne, tardi per quei tempi, con il nobile siciliano Fabrizio Moncada, lasciò la Spagna per Palermo per poi, rimasta vedova appena cinque anni dopo, risposarsi con il nobile genovese Orazio Lomellini e trasferirsi in Liguria.

Nonostante i suoi spostamenti e varie vicissitudini familiari, non smise mai di dipingere, perfino in seguito a un forte calo della vista. A tale proposito, quando ormai era ultra novantenne, fu visitata dal giovane Anton Van Dyck che ne schizzò la figura in un disegno sul suo “Taccuino italiano” in cui annotò: “ho ricevuto maggiori lumi da una donna cieca che dallo studiare le opere dei più insigni maestri”.

Anche Michelangelo ne sottolineò il valore artistico promuovendone la carriera. Fu, così, l’unica donna che Vasari menzionò nelle sue “Vite” in cui, riferendosi alle sue opere scrisse: “paiono veramente vive e che non monchi loro altro che la parola”.

Sofonisba Anguissola si distinse in particolare nella ritrattistica, che rinnovò trasformandola spesso in pittura di genere; il soggetto è effigiato in un contesto ambientale in cui la pittrice si sofferma nel descrivere un gioiello. un libro, un guanto, uno spadino, tutti dettagli eloquenti nella caratterizzazione del personaggio.

La naturalezza e la freschezza dei particolari nei suoi dipinti risentono molto dell’influenza della pittura bresciana del Moretto, così anche la resa fisiognomica dei volti deve molto agli studi di Leonardo sull’attenzione dei moti dell’animo.

A tal proposito è significativo il disegno di un “Bimbo che piange morso da un gambero” al quale, molto probabilmente, si sarebbe ispirato Caravaggio nel suo noto “Ragazzo morso da un ramarro”.

“Pittrice di anime”, Sofonisba seppe conquistare, con le sue doti artistiche e la sua personalità, un ruolo in società all’epoca solo lontanamente vagheggiato dalla donna, ottenendo fama, gloria e riconoscimenti.

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