Manifesto all’ingresso del museo – Foto: Matilde Di Muro

Sino al 21 luglio il Museo Madre di Napoli ospita un’interessante retrospettiva sulla nota artista salernitana. La nostra videointervista a Eva Fabbris, direttrice del Madre.

“Il mio nome maschile gioca sull’ironia e lo spiazzamento; vuole mettere allo scoperto il privilegio maschile che impera nel campo dell’arte, è una contestazione per via di paradosso di una sovrastruttura che abbiamo ereditato e che, come donne, vogliamo distruggere. In arte, sesso, età, nazionalità non dovrebbero esserci delle discriminanti. L’Artista non è un uomo o una donna ma una PERSONA”. È così che Bianca Pucciarelli Menna spiega la sua scelta di entrare nel mondo dell’arte con lo pseudonimo maschile di Tomaso Binga ed è a lei, artista salernitana, che dal 18 aprile al 21 luglio 2025 il Museo Madre – acronimo di Museo d’Arte Contemporanea Donnaregina di Napoli – ha scelto di dedicare, per la prima volta, un’ampia retrospettiva dal titolo Euforia Tomaso Binga per raccontare dei suoi 40 anni di attività.

Uno dei due ingressi alle sale della mostra – Foto: Matilde Di Muro

La biografia dell’artista: il passaggio da Bianca Pucciarelli Menna a Tomaso Binga

La protagonista, classe 1931, è una poetessa, performance-artist ed esponente di spicco della poesia sonora in Italia. Sin dall’infanzia, il padre le trasmette l’amore per la poesia e l’arte figurativa. Nel 1959 sposa lo storico dell’arte Filiberto Menna e insieme si trasferiscono a Roma, dove ha modo di frequentare alcune gallerie d’arte importanti e stringere stimolanti rapporti di amicizia con poeti, critici e artisti contemporanei. La sua pratica incomincia come disegnatrice e decoratrice e a Roma lavora su disegni ed opere in terracotta d’ispirazione cubista e futurista.

La sua prima esposizione pubblica avverrà nel 1971 con lo pseudonimo di Tomaso Binga come reazione alla disparità di genere, svelando un grande interesse per la produzione poetica di Filippo Tommaso Marinetti. A partire dal 1972 l’autrice comincia ad utilizzare la scrittura ‘desemantizzata’, ovvero una scrittura che perde il suo significato originario per acquisirne uno nuovo capace di agire nel profondo di chi la riceve leggendola o ascoltandola. Gli scritti di Binga sono come messaggi disseminati e, talvolta, ospitati dai supporti più improbabili: carta di ogni tipo, liscia o pieghettata, a righe, a quadretti, ma anche altro. I testi redatti su supporti ‘complicati’ raccontano di un pensiero liberato attraverso un profondo atto di volontà contro l’imposizione di un condizionamento sociale. È quanto si riconosce nelle “carte da parati”, in cui vengono rappresentate una preziosità falsa ed una borghesia che l’artista stessa definisce “plastificata”. In questo caso le parole sembrano farsi faticosamente spazio, apparire e scomparire tra righe verticali, fiori, decori barocchi e finti damaschi.

Opere su carta da parati – Foto: Matilde Di Muro

Tutto può servire per lanciare un messaggio: poesia visiva e sonora, performance, disegno, pittura, scultura, fotografia, video, collage, installazioni, polistirolo, plexiglass, legno, terracotta, carta da parati e poi, anzi soprattutto, il corpo; in particolare il nudo femminile, il corpo nudo dell’artista che, libero e scardinato dagli indiscussi archetipi della bellezza, diventa linguaggio per manifestare pur senza emettere suoni.

Dalla fondazione del Lavatoio Contumaciale alle più innovative performance

Nel 1974 Binga fonda, insieme al marito, il Lavatoio Contumaciale, associazione culturale ancora attiva a Roma e dedita alla promozione delle arti. Le origini di questo luogo parlano di una storia antica che si arricchisce, con questa esperienza, di nuovi ed eterni significati. Nei dintorni del Lungo Tevere Flaminio, in un reticolo di strade che portano nomi illustri dell’arte, nel seminterrato di un caseggiato di edilizia popolare dei primi del Novecento, un tempo venivano portati a lavare i panni infetti – per questo, appunto, era detto lavatoio contumaciale. L’artista stessa racconta: “quel locale divenne la sede della neo-associazione che, emblematicamente, ne assunse il nome per lavare e bollire le idee infette o passatiste di ‘marinettiana’ memoria”. Di fatto quel luogo è divenuto centro di cultura, di grande impegno anche civile, al riparo dalle banalità e dai gesti che non nascono per interrogare e trasformare.

Dal 1975 il progetto di Tomaso Binga sulla ‘scrittura vivente’ si concretizza attraverso una serie di opere in cui il suo corpo fotografato prende la forma delle lettere dell’alfabeto. Nudo e privo di qualsiasi connotazione sociale, esso diventa segno linguistico attraverso cui stimolare nuovi processi di apprendimento.

‘Alfabeto pop’ – Foto: Matilde Di Muro

Nel 1977, in occasione di una mostra al Centro D di Roma, l’artista mise in scena una delle performance più significative dal titolo Bianca Menna e Tomaso Binga. Oggi spose. Si trattò di un’operazione dal particolare valore semantico sia verbale che visuale. Infatti, furono esposte due fotografie: una dell’artista, che indossava un candido abito da sposa – foto originale delle nozze avvenute nel 1959 con Filippo Menna – ed un’altra che la ritraeva nei panni di Tomaso, con un elegante abito scuro da matrimonio, in compagnia di una tela bianca, una macchina da scrivere e un paio di occhiali come simboli del genio artistico maschile. Andò, così, in scena la metamorfosi di Bianca in Tomaso, sugellata attraverso un finto sposalizio in cui sono le ‘spose’ a rivoluzionare il potere patriarcale del linguaggio.

‘Bianca Menna e Tomaso Binga. Oggi spose’ – Foto: Matilde Di Muro

Nel 1978 partecipa alla Biennale di Venezia nella mostra Materializzazione del linguaggio con il Dattilocodice, una serie di opere realizzate mediante la sovrapposizione dei caratteri con la macchina da scrivere. Nel corso dei decenni successivi la sua ricerca è proseguita nel campo della scrittura ‘verbovisiva’ e della poesia ‘sonoro-performativa’, che si è palesata in esposizioni sia personali che collettive in Italia e all’estero. Tomaso Binga, focalizzando il suo interesse prevalentemente sulle questioni di parità di genere, ha cercato il dialogo utilizzando svariati materiali in maniera del tutto originale e sperimentale. Attraverso molteplici forme l’artista continua ancora oggi a denunciare, con intelligenza ed ironia, ogni sguardo discriminante e a sostenere il riscatto sociale.

Materiali e tematiche di Euforia

Questi 40 anni di attività e di pensiero sono stati raccolti dalla Fondazione Donnaregina per le arti contemporanee in un’imperdibile esposizione di 120 opere ubicate in 18 sale al terzo piano del Museo Madre. Sono installazioni, fotografie, collage, documenti, testimonianze di performance – molte delle quali esposte per la prima volta o a decenni di distanza dalla loro prima apparizione – provenienti da musei e collezioni private. La mostra, che è il risultato di due anni di studi e approfondimenti, realizzati in stretta collaborazione con l’artista e il suo archivio, evidenzia l’impegno e la principale vocazione del Madre, che è quella di fare ricerca e dare voce, valore e visibilità ai tanti linguaggi dell’arte contemporanea.

L’artista all’anteprima stampa – Foto: Matilde Di Muro

Tomaso Binga, oltre ad essere stata un’importante, attiva e creativa protagonista delle avanguardie italiane dagli anni Sessanta ad oggi, è tuttora ambasciatrice di problematiche fin troppo attuali. Infatti, le sue istanze, che possono apparire sorpassate e radicalmente femministe, accendono i riflettori su tante dinamiche che, purtroppo, non sono state ancora risolte, come l’oggettivazione della donna e la conflittualità del maschile con il femminile all’interno dei tanti ruoli sociali in cui sono innegabilmente impari diritti ed opportunità.

La mostra, che vede un allestimento sperimentale dal tracciato circolare, ideato dal collettivo multidisciplinare Rio Grande in dialogo con Tomaso Binga, accompagna il visitatore in uno stimolante percorso fatto di immagini e parole. Infatti, non vi è un ingresso univoco o un’unica direzione di visita: due diversi itinerari si congiungono in una sala dedicata alle relazioni affettive, rappresentate come giocose e vive architetture. Non un percorso artistico obbligato, dunque, ma un itinerario in ogni sala; un percorso fatto da creazioni artistiche a cui Tomaso Binga assegna titoli eloquenti, come tracce che svelano il senso delle opere stesse. Tra le 18 sale, quella intitolata Ti scrivo solo di domenica vede esposte, una accanto all’altra, 54 lettere scritte a macchina su carta Amalfi, frutto di un progetto durato un anno. Ogni domenica del 1976 l’artista scrisse una lettera in cui dialogava con un’amica immaginaria usando solo sostantivi femminili in italiano. Nella prima di tali epistole scrive così: “Mia cara amica, ti scrivo di domenica perché è l’unica giornata al femminile della settimana”. È un modo fantasioso ed intelligente per dimostrare come persino nella forma linguistica siano radicati i valori patriarcali. Di questo allestimento, in particolare, vi offriamo un racconto in video rilasciato alle nostre telecamere da Eva Fabbris, curatrice della mostra oltre che direttore artistico del Museo Madre.

‘Ti scrivo solo di domenica’ – Foto: Matilde Di Muro

Un prezioso catalogo a corredo della mostra

La mostra, che, come abbiamo già detto, è visitabile fino al 21 luglio 2025, è stata presentata alla stampa, in anteprima esclusiva, lo scorso 18 aprile e per l’occasione Bianca Pucciarelli Menna, in arte Tomaso Binga, ci ha fatto dono della sua presenza rivelando come Euforia non sia solo il titolo della retrospettiva a lei dedicata per i suoi quarant’anni di attività ma anche il gioioso e travolgente stato emotivo che non è riuscita a mascherare mentre ci accompagnava e raccontava personalmente la genesi e il senso di ogni opera esposta. L’esposizione è stata sugellata dalla creazione di un libro-catalogo prestigioso e riccamente illustrato, edito da Lenz Press in italiano e inglese, curato da Eva Fabbris, Lilou Vidal e Stefania Zuliani. Il volume si articola in tre parti: nella prima vi sono dei saggi e un’intervista all’artista; nella seconda una serie di brevi testi critici analizza opere singole o piccoli gruppi di lavori delle principali aree di interesse di Binga; la terza parte è dedicata alla poesia visiva. Con questa operazione di promozione artistica di così elevato spessore socio-culturale il Madre ribadisce il suo impegno nella divulgazione dell’arte contemporanea soprattutto come opportunità di riflessione sui tanti temi di attualità messi in risalto da artisti di particolare rilievo come Tomaso Binga che, da decenni, ha saputo mettere in discussione urgenze identitarie e sociali attraverso la reinvenzione linguistica.

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