Museo di Capodimonte – Napoli – Foto: Giorgio Manusakis

Da tenuta di caccia del re a museo nazionale, la Reggia di Capodimonte vi narra la sua storia

Sono nato il 10 dicembre del 1738 quando, per volere del re di Napoli, Carlo di Borbone, fu posata la prima pietra di ciò che poi sarei diventato: la Reggia di Capodimonte! Il re intendeva farmi diventare la sua residenza di caccia, e così mi fece costruire in un fitto e grande bosco, ma sul versante più bello, perché dalle mie finestre voleva godere dello splendido panorama della città che dolcemente si adagia sul golfo di Napoli. Per la mia progettazione si affidò all’architetto palermitano Giovanni Medrano, mentre per farmi costruire chiamò il famoso Angelo Carasale; anni dopo i due costruirono anche il teatro San Carlo. Il re, però, non sapeva dove custodire la sua immensa collezione d’arte ereditata dalla madre, Elisabetta Farnese, e il marchese de Salas, suo segretario di Stato, gli propose di custodirla tra le mie possenti mura. Fu così che, dopo circa vent’anni, a tenermi compagnia arrivarono quadri, porcellane, busti e altre inestimabili opere d’arte, formando il primo nucleo di ciò che sarei diventato: il ‘Museo Nazionale di Capodimonte’. In ventiquattro delle mie cinquantacinque stanze, furono esposti quadri di Raffaello e Tiziano, porcellane e biscuits preziose, e tanti altri tesori dell’arte. Vennero a farmi visita le più alte personalità di ogni tempo, dal marchese de Sade a Goethe, da Antonio Canova all’abate di Saint-Non.

Ma non dovete credere che la mia storia sia sempre stata bella, vi assicuro che in circa quattro secoli ne ho passate di brutte giornate. Quelle dell’arrivo dei francesi a Napoli nel 1799, per esempio, furono giornate cruente e devastanti. Prima che arrivassero, qualcuno fece due conti su quanto custodivo, trovando ben 1783 quadri; ma chi rifece i conti dopo il saccheggio francese ne contò soltanto 1458! Fu il re Ferdinando I di Borbone a salvare le opere più importanti, trasferendole a Palermo prima dell’arrivo dei francesi; e fu sempre lui, una volta tornato sul trono di Napoli, a disporre che quanto fu trafugato e venduto dai francesi a Roma, venisse recuperato. Purtroppo solo poche opere furono ritrovate e riportate a Napoli nel nuovo museo allestito a ‘Palazzo Francavilla’, oggi ‘Palazzo Cellammare’. In quel periodo le mie mura servirono più come abitazione reale che come museo. Certo, arrivò la collezione Borgia nel 1817, ma fu anche ceduta la collezione di Leopoldo di Borbone-Napoli e molte altre opere furono donate all’Unità degli Studi di Palermo. Quando l’Italia fu unita, continuai ad essere una residenza reale, anche se raramente i Savoia mi fecero visita, ma una parte di me restò museo.

Nel 1864 potei fieramente esporre la ‘Collezione di Armi Farnesiane’ e l’Armeria Borbonica’, mentre nel 1866 fu trasferito tra le mie mura lo splendido ‘Salottino in porcellana’ di Maria Amalia di Sassonia, originariamente posto nella reggia di Portici. Successivamente arrivarono anche arazzi preziosi e, nel 1877, il grande pavimento in marmo ora nella sala 31, che fu rimosso da ‘Villa Jovis’ a Capri per abbellire le mie camere. Fu in quello stesso anno che le mie stanze ospitarono una grandiosa festa per l’Esposizione Nazionale di Belle Arti’ e, sotto la direzione di Annibale Sacco, si avviò il progetto per arricchirmi con una galleria di arte moderna con dipinti e sculture ottocentesche.

Con l’inizio del XX secolo buona parte delle mie collezioni furono trasferite al ‘Museo Archeologico Nazionale’, e anche se ebbi l’onore di ospitare opere del Masaccio, molti dei miei quadri e dei miei preziosi tesori andarono ad abbellire i palazzi istituzionali di Roma: Quirinale, Montecitorio e Madama; altri, invece, adornarono università e sedi di ambasciate italiane all’estero. Molte altre opere furono cedute a Parma e Piacenza, che ne richiedevano da molti anni la restituzione, dato che originariamente facevano parte della collezione Farnese dei loro palazzi, e io mi ritrovai a vedere i duchi di Aosta girare tra le mie stanze, ormai diventate una loro abitazione. Poi scoppiò la Seconda guerra mondiale, e tutti i tesori custoditi nei musei di Napoli furono traferiti nelle abazie prima di Cava dei Tirreni e poi di Montecassino. Alla fine del conflitto i duchi di Aosta lasciarono le mie stanze, e fu grazie alle pressioni di autorevoli personaggi come Benedetto Croce, che si decise che il ‘Museo Nazionale Archeologico’ ospitasse solo le collezioni di antichità, mentre i dipinti furono trasferiti nuovamente tra le mie mura e allestiti sotto la direzione del museologo e storico dell’arte Bruno Molajoli. Lo stesso Molajoli curò anche i lavori della mia ristrutturazione, che iniziarono nel 1952 dopo che, nel 1949, fu firmato il decreto che sanciva la mia nascita, quella del Museo Nazionale di Capodimonte! Molajoli lavorò insieme a Ferdinando Bologna, Raffaello Causa e Ezio De Felice, e i loro allestimenti furono ammirati e presi a modello per la loro modernità e funzionalità. L’inaugurazione ebbe luogo nel 1957, e l’anno successivo mi arricchì della collezione De Ciccio, prima, e poi di numerosi disegni e opere provenienti dalle chiese napoletane e trasferite da me affinché le custodissi. Dopo il terremoto del 1980 ebbi bisogno di nuove cure e rimasi chiuso fino al 1995, quando riuscì ad esporre solo parte dei miei tesori; ho dovuto attendere il 1999 per poter riaprire tutte le mie stanze ai visitatori.

Napoli, Museo di Capodimonte – Sala 2 – Foto: Giorgio Manusakis

Oggi napoletani e turisti da tutto il mondo accorrono a Capodimonte per ammirare i miei quadri, le mie porcellane e i tanti tesori che volentieri espongo a chi ama l’arte. Li vedo entrare al piano terra, spesso la fila arriva fino ai giardini esterni, qualcuno si ferma alla caffetteria e poi lascia zaini e cappotti al guardaroba prima di entrare nel bookshop e poi comprare i biglietti. A volte, quando ci sono concerti o conferenze, scendono nel mio seminterrato per raggiungere l’auditorium o, i più giovani, le due sale didattiche; in una delle due sale ospito spesso anche mostre temporanee. Quasi sempre, però, vedo i visitatori salire sullo scalone centrale guardando i busti e i marmi che lo abbelliscono, fino ad arrivare al piano ammezzato, dove trovano la ‘Collezione di manifesti dei Grandi Magazzini Mele’, giunta a me solo nel 1988, e il ‘Gabinetto dei Disegni e delle Stampe’. Lì si fermano e ammirano le migliaia di stampe, disegni preparatori e acquerelli di artisti celebri quali Tintoretto, Rembrandt, Annibale Carracci, Guido Reni, Giacinto Gigante e Jusepe de Ribera, solo per citarne alcuni; fanno parte di varie collezioni, giunte a me anche recentemente. Ma le sorprese che riservo ai visitatori del piano ammezzato non finiscono qui. Continuando a percorrere i miei corridoi, trovano un’esposizione allestita solo nel 2012: la ‘Collezione dell’Ottocento Privato’, formata da quadri di Vincenzo Gemito, Anton Sminck van Pitloo, Domenico Morelli e tanti altri artisti del XIX e XX secolo.

Quando escono dal piano ammezzato, mentre salgono al primo piano li vedo parlare tra loro delle opere che più li hanno affascinati. Ma ciò che li attende li lascerà ancor più affascinati. Già nella sala 2 si trovano di fronte alla collezione Farnese, e restano tutti ammirati davanti alle opere del Correggio, del Parmigianino, di Tiziano, del Botticelli, solo per citarne alcuni. Ma trovano anche alcune ‘chicche’: la sala 3, ad esempio, è interamente dedicata alla splendida Crocifissione opera del Masaccio, mentre nella sala 9 si trovano di fronte alla copia del Giudizio universale, opera di Mercello Venusti, che permette di vedere com’era realmente il capolavoro che Michelangelo eseguì nella Cappella Sistina, prima che Daniele da Volterra ne coprisse le parti allora giudicate indecenti. Dovreste vederli come ammirano l’opera, sorpresi e un po’ perplessi. Poi proseguono tra le stanze del primo piano e scoprono i tesori della collezione Borgia, quelli della collezione De Ciccio, la ‘Galleria delle Porcellane’ e, infine, l’Armeria Farnesiana e Borbonica’, con i suoi cinquemila reperti: pistole, pugnali, armature da giostra e guerre, tra cui quella di Alessandro Farnese, e numerose spade, una delle quali sembra fosse appartenuta al famoso Ettore Fieramosca. Ma una parte del primo piano è rimasta adibita ad appartamento reale. Li vedo curiosare tra gli antichi mobili della sala scritture, girarsi intorno nella sala da letto del re Francesco I e trattenere i bambini dal correre nella ‘Sala delle feste’, e poi fare la fila per vedere il ‘Salottino di Porcellana’ della regina Maria Amalia.

Quando salgono le scale per arrivare al secondo piano, ascolto le loro voci che discutono dei capolavori ammirati; ma altri sono immersi in un silenzio quasi surreale mentre ascoltano il loro cuore avere un fremito, perché già sanno cosa li attende nella sala 78: la Flagellazione di Cristo del Caravaggio! In tanti vengono da me solo per vedere questo capolavoro, e non esitano neanche un minuto nel passare velocemente tra le sale, senza nemmeno dare uno sguardo ai numerosi altri reperti esposti. Eppure c’è la ‘Galleria Napoletana’ con i suoi dipinti, le sculture e gli arazzi, e il capolavoro di Simone Martini, San Ludovico di Tolosa che incorona il fratello Roberto d’Angiò; ma anche opere di Luca Giordano, di Tiziano e tanti altri capolavori, fino ad arrivare alla collezione di arte contemporanea, che continua al terzo piano.

Ma sapete qual è la mia più grande soddisfazione? Vederli uscire tutti stanchi, ma con gli occhi che ancora brillano per i tanti capolavori che hanno ammirato e che non dimenticheranno più, anzi, chi può tornerà spesso da me per rivederli. Dite che sono presuntuoso? Io credo di essere stato perfino modesto nel descrivermi in queste righe, perché per raccontare bene tutta la mia storia e descrivere i tanti capolavori che custodisco e di cui non vi ho parlato, non basterebbe un libro. Ma c’è un solo modo per sapere se vi sbagliate oppure no: venite a visitarmi!

Caravaggio – Flagellazione di Cristo -1607/08 – Napoli, Museo di Capodimonte – Foto: Giorgio Manusakis

2 pensiero su “I musei si raccontano: Capodimonte”

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