L’oramai mitico Gazometro in zona Ostiense Foto: Luciana Pennino

Un’accattivante visita a via del Commercio 9/11.

Non immagino cosa possano ispirarvi le foto che ho scattato per voi, ma vi confido che è un luogo che su di me ha esercitato sempre una seduzione speciale: è il Gazometro dell’Urbe. Sì, con questa “z” che fa strano ma che mi piace tantissimo, si impone al mio sguardo ma non m’inquieta; gli spazi di aria, di luce, di cielo azzurro e nuvole, incorniciati dalla struttura metallica traforata, me lo rendono leggero e amichevole. Grazie a una fantastica visita organizzata da Eni in collaborazione col FAI (Fondo per l’Ambiente Italiano), ho conosciuto la sua storia.

Il Colosseo moderno – Foto: Luciana Pennino

Per datare la costruzione di questa grandiosa torre cilindrica in ferro, facciamo un salto indietro fino al 1936: alto quasi 90 metri, con un diametro di più di 63 e una capacità di 200 mila metri cubi, il Gazometro fu costruito dall’Ansaldo di Genova (con la tedesca Klonne Dortmund) per contenere il gas dopo che la produzione avveniva nei forni e prima della distribuzione. La zona prescelta fu l’Ostiense – dove già alla fine dell’Ottocento erano sorti i primi siti industriali urbani. Il gasometro più grande d’Italia, con circa 3000 tonnellate di ferro, 2 milioni di chiodi e 1.551 pali – che se fossero disposti in fila raggiungerebbero una lunghezza totale di 36 chilometri – fu definito “a telescopio”, dal momento che internamente c’era un enorme cilindro che si gonfiava e sgonfiava per segnalare la quantità di gas contenuta. Entrò poi effettivamente in funzione il 13 luglio 1937.

Da sotto in su, il cielo è blu – Foto: Luciana Pennino

Con un ulteriore breve passo indietro temporale, scopriamo che il considerevole cambiamento del quartiere in questione avvenne già ai primi del ‘900, con la giunta dell’illuminato sindaco Ernesto Nathan: appartengono a questi anni, infatti, il Porto Fluviale con i Magazzini Generali, la Centrale Termoelettrica Montemartini, gli impianti Mira Lanza, i Molini Biondi e lo stabilimento del gas, futura sede dell’Italgas, con tre gasometri “minori” costruiti tra il 1910 e il 1912 che precedettero l’altro più grande.

Quando nel 1981 iniziò il processo completo di metanizzazione della città, l’officina del gas, fino ad allora punto nevralgico di innumerevoli attività, testimoniò una fase industriale ormai superata. Un’altra data chiave per comprendere l’evoluzione della zona è il 1995, quando un ragguardevole numero di sculture antiche dei Musei capitolini venne allocato nell’ex Centrale Montemartini, dando così il via a una nuova vita dell’area che iniziò a respirare cultura. Su quest’onda, nel 2006 il Comune di Roma, in collaborazione con Eni, varò uno dei primi progetti di rivalutazione dell’area grazie all’opera “Luxometro”: il Gazometro brillò di luce, trasformandosi in un’opera d’arte contemporanea e lanciando una nuova immagine di sé, da emblema industriale a marchio di cultura e d’arte. Da allora Eni cura con costanza la bonifica e la riqualificazione edilizia degli oltre 12 ettari, rispettandone la vocazione originaria e aprendoli all’innovazione.

Nel 2020 il Guardian inserì l’area del Gazometro nella classifica dei quartieri più promettenti d’Europa. Oggi, nella rappresentazione della Capitale, è al pari dei suoi svariati e simbolici monumenti antichi, quasi una versione novecentesca del famoso Colosseo; non a caso è chiamato anche “Colosseo di ferro” o “Colosseo moderno”.

Una torre di ferro traforata – Foto: Luciana Pennino

Arrivando alla storia recentissima, a maggio 2023 nell’area del Gazometro si inaugura ROAD – Rome Advanced District, grazie al quale una rete di imprese (Eni, Acea, Autostrade per l’Italia, Bridgestone, Cisco, Gruppo FS e NextChem) si è posta l’obiettivo di creare un centro cittadino dell’innovazione sostenibile.

Un elemento urbano così appariscente e affascinante non poteva passare inosservato al cinema, che ha contributo a potenziarne la fama: per citare qualcuno, Pier Paolo Pasolini lo scelse per Accattone, film del 1961, e Ferzan Özpetek per Le fate ignoranti del 2001. Ma prima di loro, Camillo Mastrocinque lo adottò per La banda degli onesti (1956): fa da sfondo a Totò che, dal Ponte dell’Industria, sta per buttare nel Tevere la valigia con la carta filigranata e il cliché per fabbricare i falsi biglietti da diecimila lire… Che poi “tutt’al più può essere definito un reato a responsabilità limitata… E che ci fanno a noi? Che ci fanno?” (Cardone interpretato da Giacomo Furia)

Nota: al momento della pubblicazione del presente articolo, le visite Eni-FAI sono sospese per l’enorme afflusso. Si consiglia di verificare periodicamente il sito dell’Eni

Di Luciana Pennino

Sono giornalista pubblicista e autrice di “Primule fuori stagioni” (Iuppiter Edizioni) e “Amo le mie manie” (Homo Scrivens). Vivo la scrittura come sfida e come diletto. Libri, cinema, teatro, viaggi, mare e cioccolata fondente: mai senza!

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