Un momento del dibattito – Foto: Stefania Rega
All’anteprima romana di La testimone – Shahed, l’ultimo lavoro del regista iraniano, il dibattito sulla condizione femminile in Iran.
Vedere un film come La Testimone – Shahed può riportare alla memoria di uno spettatore, soprattutto se si tratta di uno spettatore italiano, un certo cinema neorealista nostrano. Donne vestite di nero, con il capo coperto, uomini totalmente calati in una identità autoritaria e misogina, fino a toccare gli estremi della violenza fisica, e una società costruita in ogni minima diramazione sulla negazione dei diritti anche più elementari delle donne in quanto donne.
Il film di Nader Saeivar, regista e sceneggiatore iraniano, ci racconta una storia semplice ed emblematica. La protagonista è una donna minuta dai capelli bianchi, si chiama Tarlan e vive in Iran. È un’insegnante in pensione che da sempre si occupa di politica e di diritti. Nonostante l’età, è la colonna portante di un sindacato che assiste donne in difficoltà, organizza proteste contro il regime islamico che detiene in potere nel paese, diffonde idee di libertà e uguaglianza tra uomini e donne. Ha un figlio e una figlia adottiva, Zara, una donna giovane ed emancipata che ha aperto e dirige una scuola di danza e che si rifiuta di portare il velo. Il marito di Zara è la controparte del mondo di Tarlan. È un uomo, e già questo basterebbe, ma è anche un uomo di potere, legato al regime da vincoli di reciproca convenienza e di condivisione ideologica. Sua moglie, con la danza e i video che posta in rete, è la sua spina nel fianco. Il comportamento di Zara è disdicevole per una moglie. Quando Zara sparisce Tarlan va a cercarla a casa, per qualche secondo intravede in camera da letto un corpo che giace inerme, ma non lo riconosce. Così quando Zara viene trovata morta, Tarlan sa che quel corpo inerme era di Zara e che è stato suo marito ad ucciderla.
Il cuore del film è qui, nella testimonianza di Tarlan. Con molta scaltrezza, il regista ha scelto di non mostrare ciò che lei vede in camera da letto e lascia la telecamera fuori dalla porta, ad una certa distanza. Esattamente come Tarlan, il pubblico ignora cosa ci sia in quella camera. Eppure, mentre seguiamo il viso ossuto e il corpo gracile di quella donna scontrarsi con il marito di Zara e con le forze di polizia – che ovviamente si schierano immediatamente dalla parte dell’uomo, negando finanche la possibilità di portare avanti un’indagine – nessuno ha dubbi circa il fatto che Zara sia stata uccisa dal marito. Le scene iniziali del film sono state fin troppo lucide e chiare nel delineare il contesto in cui una donna come lei non può che essere uccisa dal marito. Si tratta di una convergenza di piani che non lascia scampo. La repressione femminile non è solo un fatto pubblico né solo un fatto privato. È un atteggiamento politico e culturale insieme, che quindi si coniuga tanto tra le mura domestiche, tra le strade della città, nei suoi locali pubblici, quanto nelle sedi istituzionali. Una donna emancipata come Zara non poteva avere scampo. Di conseguenza, la lotta di Tarlan è contro un sistema politico e un sistema di valori insieme. E la sua testimonianza assume un duplice risvolto. Da un lato è la partecipazione in quanto testimone ad un fatto di sangue ma dall’altro è un atteggiamento mentale ed etico che diventa vita vissuta. Tarlan è testimone non tanto o non solo di ciò che ha visto con gli occhi, ma anche e soprattutto di ciò che sa con la certezza delle sue convinzioni. Radicandosi nelle sue convinzioni Tarlan trova la forza di accusare apertamente un uomo di omicidio, di affrontare minacce di morte dalla polizia che dovrebbe difendere i cittadini, persino di assistere al commovente sfogo del figlio maschio che la accusa di averlo trascurato per inseguire i suoi ideali.
Nader Saeivar nella sua breve carriera di regista e sceneggiatore ha vinto il prix du scénario al festival di Cannes per la sceneggiatura di Tre volti, film diretto dall’amico Jafar Panahi. Con La testimone – Shahed ha vinto il premio del pubblico della sezione Orizzonti Extra all’ultima edizione della Mostra del cinema di Venezia. Né lui né gli attori e le attrici che hanno preso parte a questo film possono partecipare agli eventi pubblici di promozione. Il regime non lo consente. Nel dibattito seguito all’anteprima romana del film, alla Casa Internazionale delle Donne, è stata sottolineata la necessità di portarlo fuori dal Paese, di farlo portavoce della condizione femminile. Ilaria Masinara, di Amnesty International, e Parisa Nazari, attivista di Donna Vita Libertà, hanno dato testimonianza di quanto sia accanita la lotta delle donne in Iran. Proprio come viene mostrato nel film, è in corso una battaglia aspra e spesso violenta in cui è fatale talvolta prendere un colpo particolarmente duro, come è capitato a Mahsa Amini, morta nel 2022 durante l’arresto da parte della polizia religiosa perché non indossava il velo in modo corretto. Ma è una battaglia che non può fermarsi.
Il livello di violenza e di violazione dei diritti delle donne in Iran oggi può essere sconcertante. Eppure mai la determinazione ad uscire dalla condizione di soggezione è stata così ferma non solo per donne iraniane ma anche per certi uomini. Come ricordava Parisa Nazari, alle tante proteste scoppiate in Iran in questi ultimi anni hanno partecipato anche gli uomini e alcuni sono stati condannati a morte e giustiziati. La storia è stracolma di regimi autoritari e violenti, e nessuno ha mai superato la soglia del rinnovamento culturale del suo popolo. Il film La testimone – Shahed è nelle sale italiane dal 31 ottobre. È una finestra aperta su un Paese che è nell’occhio del ciclone per tanti motivi ma che è anche un paese in fermento. E se nulla è deleterio come la stagnazione, questo film è la testimonianza, tanto per restare in tema, della possibilità e della necessità della speranza.