Marcello Mascherini, ‘Il seminatore’ (1928) – Museo Pasquale Revoltella, Trieste – Foto: Stefania Rega
Un uomo scalzo, con un sacchetto annodato sul ventre contenente i semi, è colto nell’atto di camminare con i piedi assai distanziati, torce il suo busto per dare maggior slancio alla mano chiusa che contiene i semi. Un braccio si avvicina al corpo, mentre quello destro è teso verso dietro.
La scheda redatta da Massimo De Sabbata, per il catalogo “Scultura in Friuli Venezia Giulia. Figure del Novecento” (2005), mette in luce l’avanzare della ricerca formale di Mascherini verso le proposte del Novecento sarfattiano presentate nella mostra tenutasi a Milano nel 1926. Mascherini infatti sembra guardare con particolare attenzione al bozzetto in gesso del “Seminatore” di Domenico Rambelli esposto a Milano. Esso è parte del “Monumento ai caduti di Viareggio” inaugurato nel 1927 e di cui venne pubblicata una fotografia sulla rivista “L’Illustrazione Italiana” del 10 luglio dello stesso anno. Mascherini ripropone il gesto dell’uomo con gambe aperte nell’azione del cammino e braccia tese verso dietro per imprimere forza allo slancio. Medesimo è poi il copricapo comune nella vita contadina che Mascherini conosceva bene avendo passato parte dell’infanzia presso la famiglia materna ad Azzano Decimo. Lo scultore spesso prenderà a soggetto figure di lavoratori: forse tale interesse gli deriva dal maestro Alfonso Canciani che nella sua produzione aveva affrontato il tema del lavoro, si pensi soltanto al gruppo dei “Quattro lavoratori del ferro e del fuoco” realizzati all’inizio del Novecento, che Mascherini sicuramente conosceva. Inoltre per l’azione energica impressa agli arti inferiori non si può dimenticare di Canciani il “Lanciassassi” del 1894. Il critico Silvio Benco nel recensire l’opera esposta al Circolo Artistico di Trieste nel 1928 parlava di “qualche ingrandimento espressionistico nell’anatomia”, ma ne lodava il senso vitale che traspariva dall’uomo, e la sintesi volumetrica che non celava “il senso della massa, come linea, come movimento, come studio dell’espressione, e spesso anche nel particolare” (S. Benco, in “Il Piccolo di Trieste”, 23 dicembre 1928). Dell’opera esiste un’altra versione in pietra di uguale dimensione in collezione privata. (fonte: Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia – Catalogo Patrimonio Culturale)