Una delle sale espositive – Foto: Angelo Zito

La regina di Itaca, tra i più noti personaggi dell’epos omerico, è protagonista di una mostra visitabile nelle sale del MArTA sino al 6 luglio.

Una vera e propria icona femminile, simbolo di fedeltà e sobrietà, capace di esercitare un enorme fascino sia nel mondo antico che in quello contemporaneo. A Penelope, moglie del celeberrimo Odisseo, è dedicata un’interessante mostra itinerante che, dopo essere stata esposta al Parco archeologico del Colosseo tra settembre 2024 e gennaio 2025, è allestita ora nelle sale del Museo Archeologico Nazionale di Taranto sino al prossimo 6 luglio.

Alcuni cenni biografici tratti dalle fonti letterarie

La regina di Itaca, secondo quanto riportano le fonti omeriche e il poeta latino Ovidio, era originaria di Sparta, essendo figlia di Icario e di una delle ninfe Naiadi di nome Peribea. La donna visse per vent’anni senza il marito Odisseo, in virtù, prima, del decennio di guerra da lui trascorso a Troia e, successivamente, delle sue peregrinazioni e disavventure tra varie isole e località del Mediterraneo. Durante la prolungata assenza del suo sposo, Penelope rivelò una grande abilità nel tenere a freno le ambizioni dei Proci, 108 giovani aristocratici che si contesero tanto la sua mano – presumendo oramai la morte di Odisseo – quanto il potere nella stessa Itaca. In maniera astuta, con l’intento di temporeggiare, sperando in un imminente ritorno del marito, la regina affermò che avrebbe scelto uno di questi pretendenti solo dopo aver terminato un sudario per suo suocero Laerte. Tale lavoro di tessitura, in realtà, non progrediva mai in quanto segretamente, di notte, Penelope disfaceva quanto aveva prodotto durante la giornata precedente. A caratterizzare, inoltre, questo famoso personaggio dell’epica greca non è solo la sua grande furbizia ma anche il suo immenso amore per il marito Odisseo, tanto grande da indurla a rinunciare, all’atto delle nozze, a vivere con suo padre Icario e ad aspirare al trono della sua città natale Sparta. 

Una delle sale espositive – Foto: Angelo Zito

La fama di Penelope attraverso alcuni reperti di età greco-romana

L’itinerario del Museo Archeologico Nazionale di Taranto si sviluppa in specifiche sezioni che documentano adeguatamente l’ampia risonanza delle vicende legate a questa celebre figura. Punto di partenza del percorso storico-artistico ed archeologico è un vaso da simposio, uno skyphos a figure rosse, proveniente dal Museo Nazionale Etrusco di Chiusi. Dipinto da un anonimo artigiano, ribattezzato dagli archeologi come Pittore di Penelope e databile intorno al 440 a.C., il manufatto ripropone l’immagine classica di Penelope, seduta, meditabonda e malinconica per la prolungata assenza del marito e relegata al quotidiano lavoro domestico al telaio.

Skyphos a figure rosse del ‘Pittore di Penelope’, databile al 440 a.C. – Museo Nazionale di Chiusi – Foto: Angelo Zito

Proprio di quest’ultimo strumento, nella sala al pian terreno del MArTA, è possibile vedere una ricostruzione moderna in legno, lana e argilla, realizzata da un gruppo di artisti presieduto da Andreas Willmy e conservata al Museo dei calchi di opere classiche di Monaco di Baviera, alla quale si affianca una ricca carrellata di antichi pesi fittili appartenenti alle collezioni del polo museale pugliese. Tuttavia, nell’arte figurativa e nell’artigianato romano, non ci si limita solo a rappresentare la sofferenza della protagonista, che spesso può sfociare nel pianto – come in una delle Lastre Campana concesse in prestito dal Museo Nazionale Romano – ma si tende ad illustrare episodi in un certo senso più dinamici, che non sempre la pongono in primo piano.

Penelope afflitta tra le serve – Lastra Campana di coronamento in terracotta databile al I sec. d.C. – Museo Nazionale Romano – Foto: Angelo Zito

Ne è una prova un affresco del I secolo d.C., scoperto a Pompei e custodito al Mann, in cui il vero protagonista è un irriconoscibile Ulisse, travestito da mendicante e deciso a riappropriarsi del suo trono e della sua sposa. Talvolta, la compresenza di ulteriori protagonisti della saga epica, come la serva Euriclea, il figlio Telemaco e il cane Argo, contribuisce ad alleggerire l’eccessiva austerità in cui la regina di Itaca appare imprigionata.

Ulisse travestito da mendicante, Penelope e alcune ancelle – Affresco scoperto a Pompei databile al I sec. d.C. – Museo Archeologico Nazionale di Napoli (Mann) – Foto: Angelo Zito

Dunque, l’immagine di Penelope, descritta da Omero e confermata dalle testimonianze archeologiche, è quella di una sposa fedele, che soffre per la lontananza del suo sposo ma che, ideando lo stratagemma del sudario, non perde del tutto la speranza di riabbracciarlo. La sua regalità, dunque, non è solo politica – in assenza di Odisseo è lei a prendere le decisioni riguardanti la comunità di Itaca – ma anche e soprattutto umana, immateriale, quasi sacrale. La pudicizia, da questo punto di vista, è un ulteriore valore che la donna rivela anche attraverso il suo abbigliamento. Oltre al mantello e a pesanti panneggi, la protagonista omerica, così come ben documentato da una protome in marmo pario del I secolo d.C. scoperta nel Tevere a Roma, presenta spesso il velo sul capo.

Testa di Penelope con il velo – Marmo pario, rinvenuta nel Tevere a Roma – Copia di un originale del 450 a.C. – Museo Nazionale Romano – Foto: Angelo Zito

Dalle copie degli affreschi di Fontainebleau alle illustrazioni ottocentesche

La mostra, da questo primo focus – rappresentato in una delle sale del pian terreno del MArTA – che documenta la fama di Penelope tra l’antichità greco-romana e gli inizi del Medioevo, si allarga, poi, al secondo piano del polo museale tarantino, verso orizzonti cronologici più recenti. Con il diffondersi di nuove traduzioni dei poemi omerici durante il Rinascimento, si approfondisce ulteriormente la psicologia della regina di Itaca e si esplora la tormentata dimensione del suo rapporto coniugale. In una serie di incisioni a bulino realizzate nel XVII secolo da Theodoor van Thulden – trattasi di copie dei noti affreschi della Reggia di Fontainebleau di Francesco I, eseguiti dalla bottega del Primaticcio nella prima metà del Cinquecento ma purtroppo distrutti da un incendio – ci si addentra in una sfera intima alquanto inedita. All’immagine di una Penelope inizialmente dubbiosa nell’identificazione del marito travestito da mendicante si associa, al contempo, nella raccolta del disegnatore tedesco, quella di moglie tenerissima, che nella serenità del talamo ascolta segreti ed avventure del suo amato.  

Ulisse narra a Penelope le sue avventure – Incisione a bulino su carta vergata, facente parte del volume ‘Errores Ulyssis’ di Theodor van Thulden – Gabinetto Disegni e Stampe della Pinacoteca Nazionale di Bologna – Foto: Angelo Zito

A partire dal Settecento, la regina di Itaca viene molto spesso rappresentata in due contesti. Da una parte vi è la realtà domestica del telaio, già documentata nel mondo antico ma dall’età moderna riproposta con una caratterizzazione ed una valenza differenti. L’atmosfera cupa, rischiarata a malapena dalla luce di una fiaccola – come in un’acquaforte di Bernard Picard del 1753 – nella quale la protagonista disfa di notte pezzi del sudario di Laerte, è un escamotage artistico volto a celebrare la sua incredibile astuzia. Dall’altra, invece, si assiste ad una frequente rappresentazione della realtà onirica del sogno. Qui, Penelope riscopre la profondità del suo io, traendo, al contempo, consolazione dagli incontri con sua sorella e con Atena – quest’ultima appare nelle vesti di consigliera in alcune illustrazioni di William Russell Flint e nella Mitologia illustrata di Bartolomeo Pinelli – e da premonizioni dell’atteso ritorno di Odisseo. A rafforzare l’immagine di eroina, capace di sfidare e vincere ogni forma di oppressione, è la scelta, da parte di molti artisti dell’Ottocento, tra cui Giovanni Flaxman, di raffigurarla nell’ambito della competizione dell’arco. Sapendo che solo Ulisse sarebbe riuscito a maneggiare tale strumento custodito nella reggia di Itaca e a far passare le frecce attraverso dodici anelli, Penelope non solo riesce a identificare con certezza suo marito ma rivela ai pretendenti un’intelligenza al di fuori del comune.

Penelope, seguita da due ancelle, porta l’arco di Ulisse – Stampa calcografica tratta da l”Odissea’ di Omero rappresentata in figure da Giovanni Flaxman – Collezione Nunzio Giustozzi di Monte Urano – Foto: Angelo Zito

Il mito di Penelope nel cinema e nell’arte contemporanea

Estendendosi all’epoca contemporanea, l’allestimento del MArTA documenta, in ultima analisi, il grande influsso esercitato da questa eroina sui grandi registi del XX secolo. Uno di questi fu Mario Camerini, il quale, per la sua interpretazione nel film Ulisse, scelse Silvana Mangano, una delle attrici più brave ed affascinanti di quel periodo a livello internazionale. Una sorta, invece, di moderna Penelope è identificabile in Maria Lai. L’artista sarda, scomparsa nel 2013, nei suoi telai e nei suoi libri cuciti, di cui è proposta una selezione nella mostra, esprime una complessa interiorità associando alla bellezza della tessitura la grande lezione dell’arte greco-classica.

‘Attesa’, opera di Maria Lai (2008) – Filo, stoffa e tempera – Collezione privata – Foto: Angelo Zito

Penelope, dunque, è un personaggio destinato all’immortalità. I suoi sentimenti, le sue emozioni e i suoi ideali corrispondono a quelli delle donne di ieri e soprattutto di oggi, spesso sole, deluse, minacciate da soprusi e prepotenze, ma pronte a ribellarsi alle ingiustizie e capaci, per amore, di perdonare e di accrescere il proprio ingegno.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *