Chiesa di Sant’Egidio, Trastevere – Foto: Stefania Rega
Ogni città ha un cuore, quello di Roma è Trastevere. Non è tra i quartieri più eleganti della città ma è quello più popolare, nel senso di amato dal popolo: il vero core de Roma. Nel quartiere si cammina tra strade strette, tortuose, lastricate da sanpietrini scollati, palazzi medievali e rinascimentali dall’intonaco scrostato o imbrattato con lo spray, minuscole porte aggredite da rampicanti che danno accesso a locali pubblici bui, grossi vasi con piante dislocati a caso non si capisce da chi, chiese in mattoni con bifore e frontoni murati, archi che attraversano una strada come un ponte senza fiume. Se non fosse per la presenza massiccia di turisti e di ragazzi e ragazze che affollano a frotte i locali pubblici e i tavoli all’aperto, per chi ad esempio si facesse un giro nel quartiere all’alba, si potrebbe avere la sensazione di essere stati trasportarti improvvisamente nella Roma medievale. Ed è qui che d’improvviso si apre una piazza. In realtà, si tratta di un’ampia area rettangolare su cui si affacciano un paio di ristoranti e, in un angolo, quasi come una visione, si erge la piccola facciata di una chiesa rinascimentale, bianca tra gli edifici scuri, con colonne corinzie piatte, l’entrata sovrastata da un minuscolo frontone semicircolare e una finestra sotto al frontone superiore triangolare. È la chiesa di Sant’Egidio. La storia di questo edificio è piuttosto complessa. Una prima chiesa dedicata a sant’Egidio fu costruita nei primi anni del Seicento sopra la chiesa di San Lorenzo de Curtibus allorché questa fu dichiarata pericolante. Strano a dirsi, fu un macellaio a curare, e in parte a pagare, la ristrutturazione. Si chiamava Agostino Lancellotti ed era ovviamente un devoto cattolico. La nuova chiesa fu così intitolata a sant’Egidio, patrono degli storpi e dei mendicanti, e fu affidata alle suore Carmelitane Scalze unitamente al convento annesso. Qualche anno dopo, alle suore fu affidata un’altra chiesa, quella di S. Crispino e Crispiniano. Fu convenuto che due chiese per le Carmelitane Scalze fossero troppe. Quindi si decise di demolire la Chiesa di Sant’Egidio e sulle sue rovine costruire un convento e edificare una nuova chiesa sopra quella di San Crispino e Crispiniano: l’attuale chiesa di Sant’Egidio. Era il 1630 e la situazione si assestò su una chiesa e un convento di suore. Nel 1870 il monastero venne espropriato dal neonato Stato Italiano e cinque anni dopo affidato al comune di Roma. Dal 1918 l’edificio fu sede del sanatorio antimalarico per l’infanzia, poi fu restaurato tra il 1969 ed il 1973 perdendo il suo aspetto medievale, ulteriormente deturpato dallo sgradevole e inappropriato color albicocca che hanno oggi le mura. Infine, divenne la sede del Museo del Folklore e dei Poeti Romaneschi che aprì al pubblico nel 1977.
Oggi quel grande edificio che era stato il monastero è diviso in 3 parti: una ospita l’Istituto Professionale per i Servizi Commerciali e Turistici, un’altra la sede della Comunità di S. Egidio e una terza la sede del Museo di Roma in Trastevere. Il museo è stato aperto al pubblico nel 2000, nei locali del precedente Museo del Folklore ristrutturati e riadattati, e nonostante sia di dimensioni non estese ha un’identità molto marcata.

Museo di Trastevere – Foto dei reali di Windosor – Foto: Stefania Rega
È stata conservata la forte vocazione territoriale del Museo del Folklore. La parte permanente delle sue esposizioni, infatti, ospita una serie di opere che mirano a ricostruire sotto gli occhi del visitatore le trasformazioni della città di Roma negli ultimi tre secoli e, in particolare, della zona su cui insiste il Museo stesso. Qui, infatti, sono esposti gli incantevoli acquerelli di Ettore Roesler Franz (Roma 1845 – 1907) ad esempio. È molto intrigante osservare quei luoghi così come il pittore li dipinse alla fine del XIX secolo e poi uscire dal museo e andarli a vedere come sono oggi. Si scopre talvolta, con una piacevolissima sorpresa, che certi angoli sono rimasti pressoché intatti, con solo qualche aliena automobile intrufolata nel paesaggio dell’artista ottocentesco.
Le cosiddette Scene romane sono invece sei ampie stanze in cui sono state riprodotte scene di vita quotidiana della Roma ottocentesca, con figure umane a grandezza naturale, carretti, osterie, lampade, animali. Non poteva mancare un omaggio al poeta Trilussa: una stanza raccoglie un gran numero di oggetti che gli sono appartenuti e che caratterizzano la sua vita pubblica e privata.

Museo di Trastevere – Scatti surrealisti di Halsman – Foto: Stefania Rega
A integrazione di questa parte locale, il Museo di Roma in Trastevere propone mostre temporanee di arti visive che possano in qualche modo dialogare con la collezione permanente. Negli anni ha ospitato raccolte fotografiche sul paesaggio, o grandi personali come quelle dedicate a Mario Giacomelli, Gianni Berengo Gardin, Margareth Bourke-White, Inge Morath.
Da maggio a ottobre 2023 si possono ammirare le istantanee di Peggy Kleiber, fotografa svizzera non professionista. I suoi scatti sono stati resi pubblici solo dopo la sua morte, avvenuta nel 2015, quando i suoi familiari ritrovarono una valigia contenente ben 15.000 foto. La Kleiber era cresciuta all’interno di un nucleo familiare numeroso e coeso, sul quale esercitò il suo amore per le immagini. Spesso, ciò che tocca la sensibilità del visitatore è proprio la grande familiarità dello scatto, il fortissimo senso di intimità che si coglie. Si tratta di immagini di interni, di comuni stanze di appartamenti borghesi, di momenti di vita familiare e festeggiamenti di eventi privati. E poi le foto dei viaggi. L’Italia è il paese più visitato e fotografato, Roma in particolare, ma anche la Sicilia, dove arrivò anche grazie all’amico poeta Danilo Dolci.
Dal 6 luglio al 7 gennaio 2024 sono esposti anche gli scatti di Philippe Halsman, di tutt’altro segno rispetto a Peggy Klieber. L’intimità qui è totalmente assente, mentre domina la tecnica.
Halsman era di origine lettone, ma trascorse gli anni della sua formazione a Parigi nel periodo più fecondo che la capitale francese abbia mai sperimentato, gli anni Venti e Trenta, quando la città brulicava di artisti geniali, da Picasso a Mallarmè, da Modigliani a Henry Miller. Halsman si inserì rapidamente nel giro artistico grazie alle foto che pubblicava sulle riviste di moda. Conobbe Dalì e con lui iniziò un sodalizio molto proficuo. L’influenza del pittore sulle foto di Halsman è evidente nei tanti ritratti che ne fece e in altri scatti di chiara matrice surrealista.

Museo di Trastevere – Halsman, Ritratto di Liz Taylor – Foto: Stefania Rega
Nel 1940 si trasferì a New York per sfuggire alle persecuzioni naziste – era infatti di famiglia ebraica – e nella Grande Mela la sua fama crebbe e si consolidò soprattutto grazie ai ritratti. Il fotografo immortalò con la sua macchina i più famosi attori e scrittori statunitensi. Sono volti dallo sguardo intenso, che si stagliano su un fondo bianco o nerissimo, come se provenissero dallo spazio disabitato, e che non hanno più nulla di surreale. Il lavoro nella metropoli americana ha perso la spinta della sperimentazione e ha acquistato consapevolezza di uno stile personale. Il “Lampo di genio” del titolo della mostra si riferisce all’invenzione delle foto con il salto. Halsman chiedeva ai suoi soggetti di saltare, come fossero di nuovo bambini. Lui stesso ha più volte raccontato della iniziale reticenza di alcuni attori. Quel gesto apparentemente semplice implicava la volontà di liberarsi di ogni maschera, ogni ruolo e mostrarsi davanti all’obiettivo nella più semplice spensieratezza. La collezione delle foto con il salto annovera non solo la famosissima immagine di Marilyn Monroe in abito da sera nero e piante dei piedi in primo piano, ma anche i reali di Windsor, Edoardo e la moglie Wallis Simpson, immortalati incredibilmente in aria e senza scarpe, ma mano nella mano.

Museo di Trastevere – Una sala della mostra di Halsman – Foto: Stefania Rega