Napoli, Villa Pignatelli, il peristilio – Foto: Giorgio Manusakis

Una splendida villa neoclassica trasformata in museo. Ma ci sono anche le carrozze.

Se vi incamminate sulla Riviera di Chiaia, magari passeggiando all’interno della Villa Comunale, ad un certo punto, sul lato opposto al mare, vi apparirà un cancello metallico dietro il quale scorgerete un giardino inglese con in fondo una bella villa monumentale in stile neoclassico. Quella residenza Ottocentesca è Villa Pignatelli, trasformata in museo nel 1960, e noi in questo articolo ve ne raccontiamo la storia e le opere che potete ammirare visitandola.

Fu l’allora console inglese a Napoli, Sir Ferdinand Richard Acton, a commissionare tra il 1826 e il 1827 all’architetto Pietro Valente una residenza in cui fosse prevista la presenza di un’elegante giardino inglese. Tuttavia, tra l’architetto italiano e il baronetto inglese ci furono molte discussioni su come sarebbe dovuta essere la villa, pertanto gli interni e il giardino furono poi affidati a Guglielmo Bachi. Nel 1841 la villa fu acquistata da una famiglia di banchieri tedeschi, i Rothschild, i quali fecero eseguire lavori di ristrutturazione prima da un architetto parigino e, successivamente, dall’architetto Gaetano Genovese, inoltre fecero costruire la palazzina che prese il loro nome. Con l’unità d’Italia e la conseguente fine del regno dei Borbone, cui la famiglia tedesca era legata, la residenza passò al principe Diego Aragona Pignatelli Cortés, duca di Monteleone. Fino al 1952, data in cui la principessa Rosina donò la residenza allo Stato disponendo che nulla fosse distratto in altre collezioni, Villa Pignatelli fu uno dei più vivaci e importanti centri mondani e intellettuali di Napoli. Nel 1960 fu aperta al pubblico come museo, a cui si aggiunse il Museo delle Carrozze, inaugurato nel 1975 ma aperto al pubblico solo recentemente, nel 2014. La villa fu concepita come una domus pompeiana, in quegli anni uno stile molto in voga. Pompeiano, infatti, è il grande portico con colonne ioniche in marmo bianco che si presenta in fondo al giardino inglese, mentre all’interno troviamo la Sala Pompeiana, un piccolo gabinetto da toilette opera del citato architetto toscano Guglielmo Bechi. Sia l’impianto architettonico, sia le decorazioni parietali sono stati ripresi dalle incisioni riprodotte da Francois Mazois nel volume Les Ruines de Pompei, pubblicato a Parigi nel 1824. I due affreschi principali, presenti in questo piccolo spazio, sono Ila rapito dalle Naiadi e Venere e Marte, attribuiti a Nicola La Volpe e Gennaro Maldarelli, i quali ridipinsero le stesse scene mitologiche in due tavole presenti nel ‘Reale Museo Borbonico’.

Nella Sala azzurra si può ammirare ancora l’arredamento originale di fine Ottocento e inizio Novecento. Alle pareti sono presenti le fotografie degli ospiti che visitarono Villa Pignatelli negli anni ‘30 del secolo scorso, tra i quali possiamo ricordare la moglie del duca Amedeo d’Aosta, Anna di Francia, i coniugi Umberto e Maria Josè all’epoca in cui erano principi del Piemonte ed eredi al trono d’Italia, e il re Vittorio Emanuele III. Tra di esse spicca, per dimensioni e per la cornice in legno finemente intagliato, la foto della principessa Rosina Pignatelli. Gli angoli del soffitto e le sovrapporte sono decorati da dipinti di imitazione settecentesca raffiguranti feste galanti e risalenti alla seconda metà dell’Ottocento. Sulla consolle di legno intagliato e dorato sono presenti un orologio settecentesco, con figure allegoriche rappresentanti Il Tempo e L’Astronomia, e due candelabri in bronzo dorati di produzione francese. 

Adiacente alla Sala Azzurra troviamo la Sala Rossa, sul cui soffitto si può ammirare il dipinto dell’Allegoria dell’architettura’, attribuito a Francesco Oliva, pittore formatosi presso il ‘Real Istituto di Belle Arti’, particolarmente attivo nel XIX secolo nei lavori decorativi dei palazzi nobiliari in città. Nella scena in questione si può notare un piccolo genio che regge un foglio su cui è visibile la pianta della villa. Le alterazioni architettoniche e le decorazioni in stucco bianco e oro risalgono all’epoca dei Rothschild, ovvero agli anni 50 dell’Ottocento, e sono opera di Gaetano Genovese, il quale modificò l’originale progetto dell’architetto parigino Claret. Il pavimento è in terracotta dipinta mentre le pareti sono rivestite da una tappezzeria in damasco rosso e arricchite da grandi specchiere. Ritroviamo poi, nell’arredamento e nel mobilio, la manifattura napoletana e francese tipica dell’Ottocento.

Proseguendo troviamo la Sala Verde, che fu realizzata come raccordo tra la Sala Rossa e la biblioteca. In questa sala risalta lo scrittoio con alzata in legno intarsiato e bronzo con inserti di porcellana e motivi floreali. Notevoli sono sia il pavimento in cotto dipinto che rimanda alla stanza precedente, sia le collezioni di porcellane, provenienti dalle maggiori fabbriche del periodo, tra cui quelle di Capodimonte, Vienna ed altre capitali europee. Per Capodimonte possiamo notare, per il periodo carolino (1741 – 1759): La Lavandaia e il Gentiluomo con marsina, mentre per l’epoca ferdinandea deve essere ricordato il Candeliere decorato a fiorellini. Il Ratto di Proserpina fu realizzato a Meissen mentre da Vienna proviene La liberazione di Andromeda.

Napoli, Villa Pignatelli, la Sala Rossa – Foto: Giorgio Manusakis

Agli interessi della principessa Rosa Fici, moglie di Diego Pignatelli, dobbiamo la biblioteca, costituita da un ricco fondo bibliotecario di 2000 volumi e da circa 4000 microsolchi di musica lirica e classica. L’ambiente è composto da librerie dall’intaglio neorinascimentale, poltrone tappezzate in cuoio con stemmi familiari e, sulle pareti, da uno splendido parato. La sala, che veniva adibita anche al gioco del biliardo, espone diverse opere pittoriche tra le quali abbiamo un Ritratto di Maria Carolina di ignoto autore del XVIII secolo, e la scultura in bronzo del Narciso di Vincenzo Gemito. Tre tavole di Giovan Filippo Criscuolo, pittore del Cinquecento, riguardanti la vita della Madonna, ovvero la Nascita, lo Sposalizio della Vergine e la Presentazione al Tempio, completano il quadro delle opere d’arte di questa sala. Tra i libri conservati vi è anche la serie completa del ‘Real Museo Borbonico’, che cataloga ed illustra con stampe tutti i ritrovamenti vesuviani conservati poi nel ‘Palazzo degli Studi’.  

In una residenza nobiliare non poteva certamente mancare la Sala da Ballo. Attualmente utilizzata per conferenze e riunioni, un tempo era stata destinata a salone delle feste le cui decorazioni a stucco, così come i dipinti e gli arredi, sono quelli originali eseguiti tra il 1870 ed il 1880 dal pittore romano Francesco Paliotti. In una nicchia specchiata è conservato un busto bronzeo di Fernando Cortes con al di sotto lo stemma di famiglia, opera dell’artista messicano Manuel Tolsà, operante tra fine Settecento e inizio Ottocento. Entrambi gli elementi sono montati su una colonna di granito e provengono dalla stele funeraria del monumento eretto al Conquistador a Città del Messico. Un’apertura a tre ingressi comunica con la successiva Sala dell’Orchestra alle spalle della quale c’è il Salottino Pompeiano. I dipinti sono invece attribuiti a Nicola La Volpe e a Gennaro Maldarelli.

Prestigiosa, come si conviene ad una residenza nobiliare, è anche la Sala da Pranzo, al centro della quale vi è un tavolo apparecchiato con il prezioso servizio di rappresentanza, realizzato tra il 1830 e il 1840 dalla manifattura Bonneval di Limoges: ogni piatto è decorato con figure di uccelli, uno diverso dall’altro, con i loro nomi scritti sul retro in francese. I bicchieri di cristallo sono di fabbricazione inglese e recano lo stemma della famiglia Pignatelli. Nella stessa sala è presente anche un tavolino da gioco del diciannovesimo secolo in legno intarsiato. Ai lati, sugli stipi, sono conservati alcuni vasi ottocenteschi a motivi floreali, tra cui uno, di Francesco Securo, di particolare importanza per la storia napoletana in quanto contiene una riproduzione del ‘Palazzo di Capodimonte’ non ancora ultimato. Oltre a vasi e coppe giapponesi del Settecento e dell’Ottocento, vi sono piatti della manifattura di Raffaele Giovine raffiguranti costumi del Regno e soggetti ricavati dalle antichità di Pompei ed Ercolano.

Il primo piano, accessibile dal vestibolo circolare d’ingresso, fu concepito e utilizzato come residenza padronale. È composto da un bagno e da tre stanze. Nella toilette, dalle forme semplici e lineari, è da notare lo stemma della famiglia Pignatelli in mezzo ai rubinetti dell’acqua calda e fredda della vasca da bagno. Quest’ultima, insieme all’uso dell’acqua calda, rappresentava un vero lusso per l’epoca. Nella prima stanza possiamo ammirare una parte della vasta biblioteca ancora oggi conservata nella villa. La seconda stanza, un salottino, presenta una serie di mobili e quadri raccolti dai padroni di casa nel corso del tempo. La terza stanza attualmente ospita, generalmente, mostre temporanee fotografiche o pittoriche. Il ‘Museo delle carrozze’, allestito nelle antiche scuderie, è costituito da diversi nuclei derivanti da donazioni, la più importante delle quali, per numero e importanza, è senz’altro quella del marchese Mario d’Alessandro di Civitanova, a cui è stato intitolato il museo stesso. Tra le altre raccolte ricordiamo quelle del marchese Spennati, del conte Dusmet e del conte Leonetti di Santo Janni. Il museo fu inaugurato nel 1975 e aperto al pubblico solo nel 2014. Mario d’Alessandro, figlio di Nicola Maria d’Alessandro e di Carolina Gaetani dell’Aquila d’Aragona, fu cresciuto dal nonno materno, il senatore Onorato Gaetani, il quale era proprietario di una tra le principali scuderie di cavalli del Sud Italia e dunque uno dei pionieri dell’ippica napoletana. Tale passione fu trasmessa a Mario D’Alessandro che, però, a seguito di una rovinosa caduta da cavallo, smise di praticarla durante il 1920. A causa di questo infortunio si dedicò a collezionare carrozze e, con la moglie Anna Valentini, sostituì i cavalli da corsa con i cavalli da tiro, più adatti per trainare le sue carrozze. Tra le vetture esposte vi sono omnibus a quattro cavalli, fiacre e postali. A Napoli vi erano due vetturini: di piazza, in napoletano cucchiere ‘affitto, e privato ovvero cucchiere appatronato. Il primo vestiva in maniera informale mentre il secondo appariva sempre più elegante, dovendo servire presso le grandi famiglie partenopee. I Baedeker (guide tascabili per turisti) mettevano in guardia il turista dell’epoca dagli imbrogli che potevano subire dal cucchiere ‘affitto dal cui modo di agire deriva il detto napoletano Mo’ te tratto è cucchiere ‘affitto.

Napoli, Villa Pignatelli, la biblioteca – Foto: Giorgio Manusakis

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *