Mare in tempesta – Foto: Giorgio Manusakis
L’impatto del cambiamento climatico sulle migrazioni è sempre più in crescita: nel 2022 è stato la prima causa di sfollamento nel mondo.
Quando si parla di cambiamento climatico si parla sempre degli effetti devastanti che questo ha sugli ecosistemi marini e terrestri e su quanto l’innalzamento delle temperature abbia un forte impatto sulla biodiversità.
Se è vero che questi aspetti sono primari, è anche vero che esso, con il conseguente innalzamento delle temperature, ha un effetto diretto sulla vita delle popolazioni locali. Sempre più persone, negli ultimi anni, sono state costrette ad abbandonare le proprie case a causa di eventi metereologici estremi che hanno completamente distrutto i loro mezzi di sussistenza. Si parla quindi di migranti o rifugiati climatici, ovvero soggetti che abbandonano la loro terra d’origine a causa delle condizioni metereologiche estreme causate dall’inquinamento antropico.
Da un punto di vista strettamente formale e giuridico l’espressione “rifugiato climatico” è del tutto impropria, poiché non esiste nessuna norma di diritto internazionale che disciplini la condizione di questi soggetti. Tale termine non è nemmeno riconducibile alla definizione data dalla Convenzione sui rifugiati di Ginevra del 1951, la quale classifica questi ultimi come “coloro che hanno attraversato una frontiera internazionale a causa del fondato timore di essere perseguitati per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per un’opinione politica”.
Nonostante non esista una definizione, tantomeno una disciplina, si parla di un concetto tutt’altro che astratto: secondo il rapporto dell’IDMC (Internal Displacement Monitoring Centre), solo nel 2022, su circa 61 milioni di persone sfollate, sono state 32,6 milioni quelle costrette a lasciare le proprie abitazioni a causa dei cambiamenti climatici, con un aumento del 60% rispetto all’anno precedente e andando a rappresentare, quindi, la prima causa di sfollamento.

On the Run – Foto: Menandros Manousakis
Oltre il 40% della popolazione mondiale vive in zone particolarmente vulnerabili al cambiamento climatico. Gli eventi atmosferici avversi riguardano in particolar modo le inondazioni, la siccità, l’erosione del suolo e l’innalzamento del livello del mare che vanno ad aggravare le condizioni di vita di popolazioni che spesso sono già state colpite da precedenti crisi umanitarie. In altre parole i territori più suscettibili al cambiamento climatico sono anche quelli dove più spesso scoppiano guerre e dove la discriminazione raziale, culturale e politica è in media più frequente.
In questo scenario, come ha anche riconosciuto il Global Compact sui rifugiati nel 2018, i movimenti migratori hanno un’origine complessa e i disastri climatici e ambientali possono rappresentare un fattore determinante. Dato che la crisi climatica, sia direttamente che indirettamente, contribuisce a produrre migliaia di sfollati ogni anno, appare necessario tutelare questi soggetti sulla base delle linee guida internazionali. Bisogna dunque arrivare a formulare una definizione di “migrante climatico” per inquadrare, sia al livello giuridico che formale, la situazione di chi è costretto ad abbandonare le proprie case a causa di eventi atmosferici estremi. Conseguentemente risulta necessaria l’elaborazione di una disciplina ad hoc che offra piena tutela e protezione ai rifugiati climatici.
Questo fenomeno, se pur appare relegato a parti del mondo lontane, potrebbe riguardare anche noi in maniera diretta. L’Italia, infatti, è una penisola, dunque particolarmente soggetta al pericolo dell’innalzamento del livello del mare. In particolar modo nel meridione, la temperatura media annua è notevolmente aumentata; basti pensare che in Sicilia è stato registrato il record per la temperatura più elevata mai accertata in Europa. Anche in regioni come la Puglia o la Calabria, stanno notevolmente aumentando i fenomeni di crisi idrica che potrebbero portare a una massiccia migrazione verso altre regioni o Paesi terzi.

When the Man Comes – Foto: Menandros Manousakis
Molto spesso, quando si parla di cambiamento climatico, la credenza comune è che si faccia riferimento al mutamento degli ecosistemi oppure al verificarsi, in maniera più o meno intensa, di eventi atmosferici considerati eccezionali. Frequentemente ci si dimentica di tutti gli altri fattori su cui tale cambiamento incide direttamente, come il cibo e l’acqua, la cui assenza e scarsità hanno un’influenza nel lungo e medio periodo sulla vita delle persone e sui loro diritti umani. Le migrazioni e gli spostamenti hanno sempre caratterizzato la storia dell’essere umano, tuttavia essere costretti ad abbandonare le proprie case e i propri territori, perché questi sono diventati inabitabili, è qualcosa che va assolutamente al di fuori dell’ordinario. Bisogna, quindi, sia dal punto di vista legislativo che sociale, impegnarsi a riconoscere e prevenire questi fenomeni ed offrire piena tutela sostanziale a chi è colpito in maniera diretta dal cambiamento climatico.