Panoramica sull’altare maggiore – Foto: Stefania Rega
Francesca e la sua chiesa sulla via Sacra.
Roma è Caput Mundi, è l’Urbe per antonomasia, è la città dei Papi ma è soprattutto la Città Eterna. Non perché possa un giorno sfuggire al triste destino della dissoluzione che tocca tutte le cose, animate e non. Ma perché essa, la città di Roma, è l’unica al mondo a risorgere, sempre uguale e sempre diversa, dopo ogni declino. Nell’economia dell’odierno furore turistico, come nella ricerca e nella ricostruzione certosine del nostro passato artistico, la sua eternità si traduce nella possibilità di esplorare epoche storiche distanti o distantissime nel raggio di pochi chilometri.
La splendida Basilica di San Giovanni in Laterano, ad esempio, eccellente testimonianza, nella versione che oggi possiamo ammirare, dell’estro barocco di Giovanni Borromini e di una schiera di artisti coevi, sorge accanto alle Mura Aureliane, volute dall’omonimo imperatore intorno al 270 d.C. A circa 2 chilometri si erge il famigerato Colosseo, inaugurato con 100 giorni di festa nell’anno 80 d.C. A poche centinaia di metri dall’Anfiteatro Flavio sorge la poco conosciuta Basilica di Santa Francesca Romana. Basta lasciarsi l’Arco di Costantino sulla sinistra e percorrere il Clivio di Venere Felice, una parallela leggermente in salita di Via dei Fori Imperiali, per giungere al minuscolo oliveto che ospita la scenografica scalinata. Dopo il portico, con la facciata di chiaro gusto seicentesco, si accede alla chiesa.

La facciata – Foto: Stefania Rega
La sua origine è antichissima e legata ad una delle tante leggende che circolano a Roma. La chiesa fu eretta, infatti, nel luogo in cui si trovava un piccolo oratorio dedicato ai santi Pietro e Paolo, costruito nel secolo VIII da papa Paolo I come testimonianza imperitura di un miracolo. Sembra che tale Simon Mago, un samaritano convertitosi al cristianesimo che numerosi testi descrivono come un sedicente mago, abbia sfidato addirittura gli apostoli Pietro e Paolo. Per dare prova delle sue arti magiche e dimostrare che non erano da meno degli atti miracolosi degli apostoli, durante il suo soggiorno romano Simone si lanciò dall’altura della Velia sostenendo di poter volare. Per vanificare il suo tentativo truffaldino e arrogante, San Pietro si inginocchiò e pregò, e il povero Simon Mago precipitò al suolo e morì. In corrispondenza delle pietre della Via Sacra sui cui poggiarono le sante ginocchia di Pietro, Papa Paolo I volle costruire l’oratorio di cui si diceva sopra. E, per una sorta di miracolo laico, quelle due pietre con le impronte del Santo, chiamate “silices apostolici”, sono sopravvissute agli incendi, ai terremoti, ai saccheggi, ai rimaneggiamenti che quell’area ha attraverso in due millenni di storia tumultuosa. Tanto che oggi le possiamo ammirare incastonate in una parete della Basilica di Santa Francesca, protette dai grossi raggi di una grata.

Le pietre con le impronte delle ginocchia di san Pietro – Foto: Stefania Rega
Le vicissitudini, che hanno portato quel piccolo oratorio a diventare la chiesa che vediamo oggi, sono complicate e, tutto sommato, simili a quelle che hanno attraversato tutti gli edifici e i monumenti di aree su cui la storia non si è mai fermata. Sorvoliamo quindi sui secoli dei disastri naturali e dei rimaneggiamenti e guardiamo il piccolo gioiello che questa chiesa è diventata.
Una volta superato l’ingresso in travertino bianco, si entra in un ambiente buio e affatto grande. Eppure, via via che l’occhio si abitua alla nuova condizione di luce, la bellezza e la grazia del luogo si palesano al visitatore. L’unica navata della chiesa presenta su entrambi i lati una successione serrata di cappelle e un pavimento con motivi cosmateschi che risale al 1216. Il soffitto, invece, è composto da una serie di cassettoni che raccontano episodi della vita di Santa Francesca Romana, accompagnati da eleganti motivi floreali dorati eseguiti su sfondi colorati. Il restauro dell’intero soffitto, completato nel 2021, rende particolarmente evidente la sua incredibile bellezza cromatica e formale.
Ma l’altare non è da meno. Vi si accede attraverso due gradinate parallele e identiche, un segno incontrovertibile del gusto barocco. La loro forma sinuosa ed elegante ricorda, per chi le avesse viste, alcune chiese di Napoli, come quella di Santa Maria di Piedigrotta e quella di Santa Maria alla Sanità. Nell’abbraccio delle due gradinate si trova l’altare disegnato da Gian Lorenzo Bernini, costituito da una balaustra marmorea con cancello di bronzo, al cui interno è situata la mensa d’altare con il gruppo marmoreo di Santa Francesca e l’Angelo, protetti da quattro colonne di diaspro. In origine la statua era in bronzo ed era opera di Bernini, ma durante l’occupazione napoleonica fu trafugata, fusa e sostituita dalla copia in marmo che vediamo oggi.

Le due scalinate e l’altare – Foto: Stefania Rega
Nell’abside si può ammirare un magnifico mosaico che risale al secolo XII. È composto da cinque figure collocate contro un muro di mattoni d’oro, ciascuna all’interno di un arco. Al centro c’è la Vergine con il Bambino, alla loro sinistra San Pietro e Sant’Andrea e alla destra San Giacomo e San Giovanni. Del mosaico colpisce la ricchezza della scena e dei dettagli, come il trono e la veste della Madonna dalle ampie maniche, la tunica blu tempestata di stelle d’oro, le bordure delle maniche e del collo.

Il mosaico e il ritratto della Vergine con Bambino – Foto: Stefania Rega
Immediatamente sotto è collocata una delle immagini più iconiche della Madonna con il bambino. Si tratta, infatti, di un’opera dipinta fra il 565 e il 578. È una delle più antiche icone di Maria esistenti al mondo e sicuramente è la più antica di tutta Roma. In questa immagine la Vergine tiene teneramente in braccio il Bambino e lo indica con la mano sinistra. Questo particolare tipo di icona in greco prende il nome di Odighítria, che vuol dire “colei che conduce, mostrando la direzione”, dove naturalmente la “direzione” è il Figlio Gesù.
Un’altra piccola scalinata porta nella cripta dove si trova la tomba di S. Francesca, il cui corpo è visibile dentro un’urna di bronzo dorato.

La tomba di santa Francesca Romana – Foto: Stefania Rega
Ma chi era Santa Francesca Romana e perché questa antichissima chiesa è stata dedicata proprio a lei?
Francesca nacque nel 1348 in una famiglia benestante che abitava nei pressi di Piazza Navona. Fin da bambina, frequentava la chiesa di Santa Maria la Nova, sulla via Sacra, dove erano conservati i “silices apostolici” e un ritratto della Vergine con il Bambino: certamente la giovane devota non avrebbe mai immaginato che un giorno quella chiesa avrebbe preso il suo nome diventando appunto la chiesa di Santa Francesca Romana.
Nonostante mostrasse una forte vocazione monastica fin da piccola, quando raggiunse i sedici anni il padre la spinse ad andare in sposa al nobile Lorenzo de’ Ponziani per motivi eminentemente economici. Francesca fu moglie e madre di tre figli, ma dedicava tutto il tempo che poteva alla cura dei poveri. Roma viveva un momento molto difficile. Erano gli anni dello Scisma d’Occidente e della cattività avignonese – il Papa tornerà a Roma nel 1377- dell’invasione e occupazione della città da parte del Re di Napoli Ladislao I e dell’epidemia di peste. Francesca, pur appartenendo ad una famiglia agiata, faceva di tutto per soccorrere la popolazione in difficoltà assistendo sia i malati sia i poveri. Si narra che abbia svuotato i granai del suocero regalando tutto il cibo agli affamati, che abbia venduto tutti i suoi vestiti e gioielli per dare il ricavato ai poveri e che chiedesse la carità davanti alle chiese per darla a chi si vergognava di farlo nonostante ne avesse bisogno. Di fatto, grazie alle sue opere di carità e la vita dedicata ai poveri e a Dio, Francesca diventò il punto di riferimento per la città e la guida carismatica di un gruppo di donne tanto che il 15 agosto 1425, accompagnata da nove di queste compagne, pronunziò, sempre nella basilica di S. Maria la Nova, la solenne formula di oblazione, cioè la consacrazione delle loro vite al Signore. Ben presto questa comunità divenne una congregazione religiosa ispirata ai valori della spiritualità benedettina e prese il nome di “Oblate Benedettine di Maria”, note anche con il nome di “Oblate di Tor de’ Specchi” poiché scelsero di vivere in una povera casa ai piedi del Campidoglio, chiamata appunto Torre degli Specchi. Francesca però, ligia al suo dovere di moglie, continuò a vivere insieme al marito nella loro casa di Trastevere. Fu solo dopo la morte di Lorenzo che si trasferì nella Torre degli Specchi, dove morì il 9 marzo 1440.
La data della sua morte fu subito considerata giorno festivo e fu stabilito che da allora in poi Francesca sarebbe stata denominata non col cognome da vedova ma “Romana” per l’amore e la carità che aveva mostrato per la sua città. Il corpo fu accolto nella Chiesa di Santa Maria Nova che divenne meta di pellegrinaggio fino al punto da spingere i papi a cambiarne il nome e a intraprendere diversi lavori di restauro e abbellimento, tra cui la sua statua in bronzo sotto l’altare e il soffitto in legno di cui si è detto. Tuttavia, i suoi tanti fedeli dovettero aspettare ben due secoli per la sua canonizzazione, pronunciata da papa Paolo V nel 1608.
Santa Francesca Romana, oltre a essere compatrona di Roma insieme ai santi apostoli Pietro e Paolo, viene anche invocata come protettrice dalle pestilenze e per la liberazione delle anime dal purgatorio.
Nel 1950 papa Pio XII l’ha dichiarata patrona degli automobilisti perché il suo angelo custode l’accompagnava sempre durante gli spostamenti, sprigionando una luce che le permetteva di vedere anche di notte per portare a termine le sue opere di carità. Per questo motivo ancora oggi, il 9 marzo di ogni anno, gli automobilisti di Roma si radunano nei pressi della chiesa di Santa Francesca Romana per ricevere una speciale benedizione per sé e per i propri mezzi.