Le Muse del Prado, II sec.d.C. – Foto: Giorgio Manusakis

Al Museo del Prado di Madrid è conservato un gruppo di statue provenienti dalla maestosa residenza di Tivoli appartenuta all’imperatore Adriano ed identificabili come Muse. Come e perché tali opere sono giunte sino in Spagna? La risposta in questo articolo in cui vengono forniti anche i risultati di nuovi studi sul ciclo scultoreo

Mitologia ed importanza delle Muse tra mondo greco e romano

Nella mitologia greca le Muse sono divinità nate dall’unione tra Zeus e Mnemosyne, personificazione della memoria, figlia di Urano e Gea. Secondo uno studio di Giuseppe Pucci, il loro numero, in origine, era limitato a tre: Melete, Mneme ed Aoide rappresentavano specifiche fasi del processo di composizione poetica (la prima è metafora dell’esercizio poetico; la seconda allegoria della memoria; la terza fusione delle prime due ed espressione del canto in sé). Nella Grecia arcaica, le dee vengono ritenute custodi del sapere che si trasmetteva, di generazione in generazione, mediante la tradizione orale degli aedi, premessa fondamentale, quest’ultima, per la stesura dei poemi omerici.

Esiodo, nella sua Teogonia composta tra la fine dell’VIII e gli inizi del VII secolo a.C., fornisce un elenco nominativo di nove Muse: Clio, Euterpe, Talia, Melpomene, Urania, Tersicore, Polimnia, Erato, Calliope. Nate presumibilmente nella regione macedone della Pieria, la loro dimora, invece, si colloca in Beozia sul Monte Elicona, nelle cui vicinanze, tra l’altro, a Thespie, sorgeva un importante santuario in loro onore. Solo durante l’ellenismo, però, si comincia ad attribuire a ciascuna di esse la protezione di una o più arti. Va specificato, tuttavia, come tali sfere tutelari fossero spesso soggette a modifiche nel corso del tempo. Per fare qualche esempio, Clio, Melpomene e Talia mantengono sempre rispettivamente un legame con la storia, la tragedia e la commedia; Erato, invece, in origine dea della poesia amorosa, vede successivamente estendere la sua protezione anche alla mimica ed alla geometria.

Ciò che, inoltre, muta nel corso dei secoli tra le civiltà greca e romana, è il rapporto che i poeti e gli artisti hanno nei confronti delle Muse. Se Esiodo e gli autori del suo tempo nutrono un profondo rispetto verso le divinità abitanti del Monte Elicona, dalle quali ritengono di aver ricevuto una vera e propria “investitura mistica”, dal V secolo a.C. in avanti, invece, si assiste ad un fenomeno di progressiva “laicizzazione”. Soprattutto in età ellenistica, i compositori, facendo leva sulla virtù della phantasia, rivendicano oramai un ruolo indipendente. Tale fenomeno si accentua ulteriormente nella cultura romano-imperiale, nella quale si può parlare di un significato metaforico delle Muse, molto evidente soprattutto nella produzione artistica. In tal senso, il ciclo di sculture di Villa Adriana, a Tivoli, rappresenta un esempio di come figure di una religiosità quasi del tutto assopita possano rivivere su un piano prettamente formale per trasmettere messaggi e valori politici.

La vicenda archeologica dal Cinquecento agli studi più recenti

Le Muse di Villa Adriana furono scoperte nel Cinquecento presso l’Odeion, un teatro collocato nel cosiddetto settore dell’Accademia, situato nella parte sud-orientale della splendida residenza dell’imperatore romano, realizzata nella prima metà del II secolo d.C. L’architetto ed antiquario Pirro Ligorio, vissuto in quel periodo, riferisce, in realtà, che durante gli scavi qui eseguiti e finanziati da Papa Alessandro VI Borgia, oltre al gruppo delle nove statue raffiguranti le dee dell’Elicona, furono ritrovate anche altre sculture. Nell’elenco da lui fornito emergono i nomi di importanti divinità ed eroi, come Apollo Musagete, Mnemosyne, Minerva ed Eracle. Sempre Ligorio afferma, inoltre, che tutte queste opere furono trasferite nella cosiddetta “Vigna di Papa Clemente VII”, identificabile con Villa Madama, residenza della famiglia Medici, situata sul colle Monte Mario. Proprio qui, tra gli anni Trenta e Cinquanta del ‘500, il fiammingo Marteen van Heemskerck realizzò un disegno di quattro delle Muse da Tivoli sedute ed acefale. Acquisito insieme alla stessa dimora di Monte Mario dalla famiglia Farnese, il gruppo statuario fu donato nel 1681 dal duca Ranuccio II alla regina Cristina di Svezia per poi finire, nel 1689, in seguito alla morte della sovrana, nelle collezioni del cardinale Azzolino. Infine, dalla famiglia Odaleschi le sculture passarono nel 1724 alla corte di Spagna. Inizialmente custodite nei Giardini Reali de la Granja de San Ildefonso, solo in seguito alla morte di Filippo V di Borbone, nel 1748, trovarono sistemazione all’interno dell’annesso Palazzo Reale. Dal 1997 le Muse di Villa Adriana sono esposte al Museo del Prado di Madrid nell’ambito di un allestimento permanente dedicato alla regina Cristina di Svezia.

La statua di Tersicore – Foto: Giorgio Manusakis

La fusione di due gruppi di diversa provenienza

Il corpus delle Muse del Prado è stato interessato da diversi studi nel corso degli ultimi decenni. Tra i contributi più importanti ed autorevoli si segnalano quelli più recenti di Federico Rausa ed Adalberto Ottati. Entrambi gli studiosi sono pervenuti ad una medesima conclusione: le otte sculture del museo madrileno (una delle nove originarie, corrispondente a Melpomene, è andata perduta), per quanto molto simili tra loro in termini di stile ed abbigliamento (un chitone, fermato in vita da una cintura, ed un mantello che copre parte delle gambe e delle braccia, nonché la roccia su cui siedono), non provengono tutte dalla Villa di Adriano. Alle quattro acefale e sedute documentate nei disegni cinquecenteschi di van Heemskerck si sarebbero associate, infatti, altre quattro recuperate da un contesto diverso, identificabile forse in una villa romana situata sul colle Esquilino, lungo via Merulana. Secondo i due studiosi, l’accorpamento tra i due gruppi statuari sarebbe avvenuto per mano della regina Cristina all’interno della sua residenza di Palazzo Corsini. Alcune di queste opere, tuttavia, durante la loro permanenza presso la sovrana svedese, furono sottoposte a restauri molto invasivi a livello iconografico. Si pensi, ad esempio, all’aggiunta di un globo nelle mani di quella che è considerata, tuttora, una raffigurazione di Urania, oppure al volto di Talia che in realtà appare un ritratto piuttosto fedele della stessa regina Cristina. A questi interventi romani, effettuati da uno tra Francesco Maria Nocchieri, Massimiliano Soldani Benzi ed Ercole Ferrata, seguirono quelli realizzati in Spagna da Valeriano Salvatierra. Quest’ultimo avrebbe rimosso i puttini posti alla base delle immagini di Euterpe e di Erato e collocato sul corpo mutilato di Calliope una testa di Venere ispirata al tipo Capitolino (il riferimento è ad un’opera di Prassitele del IV secolo a.C., ritrovata nella Basilica di San Vitale a Ravenna nella seconda metà del Seicento e donata poi da Papa Benedetto XIV ai Musei Capitolini).

Nell’analizzare il gruppo del Prado, Rausa ed Ottati concordano, altresì, nel non riconoscervi tutte le Muse indicate nella Teogonia di Esiodo. Tenendo presente che una delle figure corrisponde ad una rappresentazione di Cristina di Svezia, si possono riconoscere “doppioni” di Tersicore (nelle figure catalogate con i numeri 1 ed 8) e di Calliope (in quelle catalogate con i numeri 2 e 7).  Infine, un ulteriore dato fornito da Adalberto Ottati è il riscontro di un tipo di materiale impiegato per le sculture differente da quello indicato da Pirro Ligorio. Se quest’ultimo afferma che le Muse della Villa adrianea sono eseguite in marmo pario, in realtà recenti indagini autoptiche hanno fatto emergere che, almeno per quanto concerne il gruppo delle quattro sedute disegnate dal van Heemskerck, il marmo usato sarebbe il pentelico. Tale specifica composizione caratterizzerebbe anche altre repliche del choros divino dell’Elicona, dalle figure conservate al Museo di Copenaghen e scoperte nella villa romana di Monte Calvo a quelle della collezione Cesi di Palazzo Altemps. A tal proposito, secondo Ottati, non è da escludere la tesi che tutte queste sculture potessero provenire da una stessa officina operante in Grecia, proprio alle pendici del Monte Pentelico oppure ad Atene. Quel che, invece, sembra essere al momento un dato assodato e condiviso è che le statue della villa di Tivoli sarebbero state eseguite appositamente per abbellire il proscenio dell’Odeion della maestosa residenza imperiale. D’altronde, la scelta di esaltare il tema mitologico delle Muse, insieme a quelli della celebrazione di Apollo e dell’uccisione dei Niobidi, ben si accorda con la politica del pacator orbis Adriano, volta ad emulare il suo illustre predecessore Augusto.  

Le Muse del Prado sono tutte presentate singolarmente in foto alla nostra sezione MattinArte.

4 pensiero su “Le Muse del Prado: storia e indagini sulle sculture dalla Villa di Adriano a Tivoli”
  1. […] Questa statua fa parte delle cosiddette ‘Muse del Prado o della regina di Svezia’ custodite al museo madrileno, ma che provengono dalla Villa di Adriano a Tivoli. La loro storia è narrata in questo articolo […]

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