Tonino Guerra nella sua Casa dei mandorli a Pennabilli – Foto: Vera Klokova

Ripercorriamo brevemente la vita di un uomo che, con la sua arte, ha lasciato un segno indelebile nel mondo del cinema e della letteratura.

a cura di Anna Maria Geraci

Tonino Guerra (1920 – 2012 Santarcangelo di Romagna) è stato un artista istrionico, interdisciplinare e multidisciplinare, che si è dedicato, negli anni, non solo alla scrittura di poesie, romanzi e sceneggiature per il cinema, ma anche al teatro, alla pubblicità televisiva, alla pittura e alla progettazione di installazioni, sculture e fontane.

Attraverso il suo sguardo sulla terra d’origine, la Valmarecchia (entroterra riminese), si è fatto portavoce di un mondo antico, primitivo e idilliaco, nel quale l’uomo viveva in armonia con la natura: una visione che caratterizzerà la maggior parte delle opere della maturità, incluso il museo diffuso “I luoghi dell’anima” nella Valle del Marecchia, nei pressi di San Marino, che include una serie di opere artistiche che richiamano i simboli della tradizione contadina e religiosa, e le filosofie orientali, soprattutto zen.

Guerra ha collaborato con i più grandi registi del cinema nazionale e internazionale: Antonioni, Fellini, De Sica, Rosi, Monicelli, i fratelli Taviani, Angelopoulos, Tarkovskij e Wenders, solo per citarne alcuni. Colleziona, nella sua lunga carriera di sceneggiatore (con più di centoventi lungometraggi), tre nomination all’Oscar e l’Oscar Europeo come miglior sceneggiatore, oltre a una Palma d’oro a Cannes e una nutrita serie di altri riconoscimenti nazionali e internazionali. Il maestro santarcangiolese ha così consegnato, alla storia cinematografica e letteraria, un autore e sceneggiatore visionario. Molto attivo anche in campo sociale, negli anni della vecchiaia Guerra si è battuto per la protezione del bello naturale e artistico, salvando monasteri e tutelando la memoria delle tradizioni contadine della Romagna.

Ma Tonino è soprattutto, sopra ogni cosa, un poeta. Un poeta con uno stile di ampio respiro, influenzato dalla lirica dell’Oriente, della Grecia, della Russia e delle avanguardie europee. Fra suoi i poemi e prosimetri più celebri, scritti in dialetto santarcangiolese, possiamo ricordare I bu (Rizzoli, 1972), Il Miele (Maggioli, 1981) e Piove sul diluvio (Capitani, 1997). Moltissime anche le sue raccolte di racconti, pensieri e storie per il teatro come, ad esempio, la saga di Millemosche, scritto con Luigi Malerba (Bompiani). Della sua poesia Marialisa Leone ha scritto: «La poesia di Tonino è fatta di bagliori, di luccicori, di schegge di firmamenti lontani, di nebbie e polverosità e di accensioni improvvise, e tutto si esprime dentro una misura perfetta che fa vivere e nutre il mistero e la magia». Guerra, a sua volta, così spiegava il suo desiderio di poesia: «La mia voglia è per i lunghi fili di seta poetica, carica di quei contenuti grandiosi che abbiamo dimenticato, che servono per accarezzare la gente che si sta appassendo in questo immane autunno dell’umanità. Penso a quei mondi ancora immacolati che sono grandi ospedali dell’anima, così da riempire di vergogna i nostri gesti legati al denaro e agli affari personali».

La scintilla poetica in lui si accese in un luogo buio: un lager. Il simbolo della farfalla, richiamo alla bellezza e alla libertà e figura onnipresente nella produzione dello scrittore, prende spunto dal suo componimento più noto: «Contento, proprio contento/ sono stato molte volte nella vita/ ma più di tutte quando/ mi hanno liberato in Germania/ che mi sono messo a guardare una farfalla/ senza la voglia di mangiarla». Fu, infatti, nel 1945, durante la detenzione nel campo di lavoro di Troisdorf, che Guerra scoprì la sua vena poetica componendo poesie in dialetto, che poi pubblicherà nella raccolta I scarabócc (1946), con il supporto di Carlo Bo, Augusto Campana e Cesare Zavattini. Circa l’uso del dialetto, egli espresse così il suo pensiero: «Il dialetto è una lingua, il dialetto è un qualche cosa di sudato che, però, ha creato i grattacieli, ha fatto delle cose potenti. […] Ho capito che nel dialetto c’era il mio paese in bianco e nero, c’era la neve che vedevo dalla finestra, c’erano i racconti vicino al fuoco, c’era una somma di cose potenti. Il dialetto non è una parola che passa nell’aria senza aggrapparsi a niente, è una parola che ha l’umidità, che ha il calore, che, insomma, è molto vicino a quel che deve dire, ed è pronta anche a diventare poesia, quando è ora!».

Disegno di Ombretta Geraci

L’amore per il cinema

Appassionatosi al mondo del cinema negli anni Cinquanta, Guerra decide di trasferirsi a Roma, dove vive grazie all’aiuto dell’amico Fellini. Il successo, infatti, arriverà solo negli anni Sessanta e Settanta con il sodalizio artistico instaurato con Antonioni, Petri e De Sica. La sua carriera è successivamente coronata da un premio Oscar al miglior film straniero per Amarcord (1975), scritto insieme a Fellini; quattro David di Donatello, tre per la miglior sceneggiatura (1981: Tre fratelli di Francesco Rosi; 1984: E la nave va di Federico Fellini; 1985: Kaos dei fratelli Taviani) e uno, nel 2010, alla carriera; cinque Nastri d’Argento alla miglior sceneggiatura (1963: I giorni contati di Petri; 1974: Amarcord di Fellini; 1983: La notte di San Lorenzo dei fratelli Taviani; 1985: Kaos dei fratelli Taviani; 1991: Il male oscuro di Monicelli), e da una moltitudine di altri premi e riconoscimenti ricevuti in tutto il mondo, soprattutto in Russia, sua patria di adozione e terra d’origine della seconda moglie, traduttrice e sua musa, Eleonora Kreindlina (conosciuta come Lora Guerra). Un Paese, la Russia, dove tornerà ripetutamente nel corso degli anni e di cui ebbe a dire: «[…] La Russia è una terra che mi ha dato moltissimo, mi ha regalato il modo di capire e di inventare le cose. Mi ha riportato a dipingere, cosa che facevo da ragazzo. Mi ha fatto sentire la grande musica che non stava nelle mie orecchie. […] Mi ha ridato quel mondo in bianco e nero che io conservo nella memoria».

Tonino Guerra e sua moglie Lora nella loro Casa dei mandorli a Pennabilli – Foto: Vera Klokova

Il ritorno in Val Marecchia

A metà degli anni Ottanta Guerra ritorna prima nella natìa Santarcangelo e, poi, si trasferisce a Pennabilli, così in alto, dice, da poter sentire la tosse del Signore. Qui inizia la sua nuova attività artistica, costruendo tenacemente, grazie anche all’aiuto di importanti artisti locali, il già citato museo diffuso “I luoghi dell’anima”, che comprende il “Santuario dei pensieri”, il “Giardino pietrificato”, l’”Orto dei frutti dimenticati” e la “Casa dei mandorli” diventata, alla sua morte, casa-museo.

Negli anni Duemila fa nascere l’Associazione Tonino Guerra, ancora oggi attiva, organizzatrice di eventi e manifestazioni per far conoscere l’attività e il pensiero del maestro, come: Le giornate di marzo per Tonino e Gli Antichi Frutti d’Italia s’incontrano a Pennabilli.

Tonino Guerra si spegne serenamente a Santarcangelo di Romagna il 21 marzo 2012, Giornata mondiale della poesia e primo giorno di primavera. Le sue ceneri vengono incastonate al di sopra della “Casa dei mandorli”, nella cosiddetta “Roccia”, punto più alto dell’abitazione, dove il poeta amava ammirare la grande vallata del paese in cui ha abitato felicemente gli ultimi venticinque anni di vita, Pennabilli. Accanto all’Associazione Tonino Guerra ultimamente è nata anche una nuova realtà social, che giornalmente promuove la figura dello sceneggiatore romagnolo: il gruppo Facebook “Tonino Guerra Per Sempre”, gestito da Mauro Burani, Mario Rossi e Anna Maria Geraci. Recentemente, inoltre, Lora, la vedova di Guerra, ha lanciato un appello alle istituzioni per salvaguardare la memoria del maestro e preservare i posti a lui dedicati.

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