In un luogo dalla storia affascinante si racconta la “Grande montagna” attraverso lo sguardo profondo dell’arte contemporanea.
Somma Vesuviana, cittadina dalle antichissime origini, è adagiata sulle pendici del Vesuvio e, più precisamente, del monte Somma, da cui prende il nome, formatosi, con la separazione del massiccio in due moli, a seguito dell’eruzione del 79 d.C.
È uno dei comuni più interessanti dell’area vesuviana proprio perché ha avuto e ha conservato una grande quantità di testimonianze archeologiche, storiche, artistiche ed architettoniche delle varie epoche.
Oltre al ritrovamento di numerosi resti di villae rusticae di epoca romana, gli scavi archeologici effettuati tra il 1933 e il 1936 portarono alla luce parte di una lussuosa villa di III-IV sec d.C., inizialmente datata in epoca augustea ed individuata, in base ad un passo dello storico Tacito, come la probabile residenza in cui morì Ottaviano Augusto
Il borgo di Casamale, la parte più strettamente medioevale del paese, che prende il nome da un’aristocratica famiglia del luogo, è ancora circondato dalle antiche mura aragonesi e vicino ad una delle sue porte d’ingresso si erge il Castello d’Alagno. Imponente e maestoso, il maniero fu eretto dagli aragonesi e divenne la residenza di Donna Lucrezia d’Alagno che vi si stabilì dopo la morte del suo amante re Alfonso d’Aragona, avvenuta il 27 giugno 1458, che le aveva donato l’intero territorio.
Sul finire del 1600 e successivamente, la roccaforte appartenne a varie famiglie nobiliari subendo alcune modifiche e ristrutturazioni che, fortunatamente, non ne hanno mai modificato l’originaria natura.
Nel 1691 don Felice Fernandez de Cordova, duca di Sessa e Somma, affittò il castello, a tempo indeterminato, al barone napoletano Luca Antonio de Curtis e ai suoi eredi.
Nel 1936 il destino del castello si intrecciò anche con quello di Antonio De Curtis, meglio conosciuto come Totò, il quale visitò il maniero e cercò di acquistarlo ma non vi riuscì. Tuttavia la storica visita dell’attore e le sue relazioni con la restante nobiltà locale alimentarono la leggenda secondo cui il castello potesse aver avuto legami con la sua famiglia.
Ma oltre ogni credenza questa rocca rappresenta un simbolo importante dell’identità locale. La sua storia, intrecciata con quella di nobili famiglie e di un grande artista come Totò, ne fa un luogo di grande fascino e valore culturale, nel quale è possibile immergersi nella bellezza del passato e conoscere le radici di un territorio ricco di storia e tradizioni.
Situato in posizione dominante su tutta la zona, dalle sue torri si gode di un panorama bellissimo verso i paesi dell’agro nolano fino a Napoli mentre, alle spalle, domina maestoso il Monte Somma.
Il castello oggi è di proprietà del comune che lo utilizza come centro museale e come location per eventi culturali.
Attualmente ospita una mostra collettiva dal titolo Vesuvius, le cui opere sono state realizzate dagli artisti Generoso Borriello, Vincenzo Gargiulo e Ludovico Della Rocca.
Tre sguardi diversi per raccontare della Grande Montagna così come amavano definire il Vesuvio i grandi poeti di fine ’800 per il suo aspetto dominante sul golfo di Napoli e perciò protagonista incontrastato di tante rappresentazioni artistiche, da quelle più antiche, come l’affresco ritrovato nella Casa del Centenario a Pompei, alle bellissime gouaches del periodo del Grand Tour e agli oli del ‘700 e ‘800, sino alle più recenti opere di Andy Warhol.
In questa esposizione al Castello d’Alagno, gli artisti hanno voluto regalarci le loro originalissime interpretazioni legate a personali visioni e sensibilità attraverso espressioni e linguaggi contemporanei.
Generoso Borriello, fotografo e scenografo accademico d’eccezione che vanta collaborazioni artistiche importanti come quella con Mimmo Iodice, mostra grande interesse per la fotografia di paesaggio e, in particolare, ama documentare le aree industriali napoletane. La sua ‘visione’ è restituita attraverso fotografie in bianco e nero in cui, tra luci e ombre, il Vesuvio sembra essere testimone delle tante realtà delle periferie talvolta degradate. Tra asfalto e cemento, tra linee ferroviarie e rifiuti abbandonati, tra alte ciminiere e tralicci dell’alta tensione che prendono il posto di quelle che un tempo furono rigogliose vegetazioni, il Vesuvio è sempre lì che sembra assistere inerme ad un paesaggio che, col tempo, si è trasformato suo malgrado. Le sue opere sono piuttosto ‘documenti’ e personali testimonianze restituite dall’occhio attento, pietoso e sensibile di chi indaga la propria terra e ce la racconta nelle sue pieghe più sofferte e talvolta più autentiche.
Generoso Borriello, ‘Area Orientale’ – Foto: Matilde Di Muro
Vincenzo Gargiulo, invece, studioso ed appassionato di cinema, ha da sempre indirizzato i suoi interessi verso la fotografia cinematografica relazionando il suo fare artistico con poesia, letteratura e teatro. Pertanto, le sue opere, ottenute attraverso l’elaborazione digitale di immagini, sono piuttosto ‘pensieri’ che si sviluppano in articolate composizioni che sembrano ottenute da processi pittorici. Le immagini si sovrappongono senza il prevalere dell’una sull’altra ma donandoci atmosfere sognanti e realistiche allo stesso tempo. Tra scorci di paesaggio, presenze umane e svariati oggetti, simbolo di un progresso inarrestabile e ricco di contraddizioni, il Vesuvio è, ancora una volta, presenza dialogante e costante.
Vincenzo Gargiulo, ‘Serie Vesuvius nr.23’ – Foto: Matilde Di Muro
Il terzo artista ad esporre è Ludovico Della Rocca, un pittore figurativo napoletano di formazione accademica e con più di 40 anni di attività artistica che gli hanno permesso di sviluppare una straordinaria abilità pittorica palesemente espressa nelle sue raffinate opere capaci di catturare l’attenzione e indurre lo spettatore ad immergersi in un mondo reale e, allo stesso tempo, immaginario. Sono opere enigmatiche e stimolanti che riescono magistralmente a coniugare, in modo iconico, antichi miti e umane inquietudini in chiave moderna e contemporanea.
In particolare ci soffermiamo su un’opera, tra quelle esposte, dal titolo Tremendum et fascinans. Il dipinto ci mostra un Vesuvio minaccioso e in piena attività eruttiva con le sue vivaci esplosioni che si impongono su un cielo in tumulto tra alte nuvole di fumo. A valle di uno spettrale paesaggio in trasformazione e al centro della scena, emerge e campeggia un personaggio piuttosto inquietante: un primate vestito con paramenti sacri che con una mano regge una maschera e con l’altra un rigoglioso ramo di limoni. Questi ci rivolge uno sguardo infuocato dalle stesse fiamme generate dal vulcano e svelato dalla misteriosa maschera che invece ha un’espressione serena e tranquilla.
Ludovico Della Rocca, ‘Tremendum et fascinans’ – Foto: Matilde Di Muro
Quell’enigmatica presenza è il Vesuvio che, con quell’aspetto apparentemente pacifico, domina incontrastato mentre nasconde una potenza imprevedibilmente devastante e allo stesso tempo rigenerante: mentre distrugge dona nuova vita rendendo la terra particolarmente fertile e capace di donare frutti rigogliosi.
Il primate, con i paramenti regali, è il sacro e il primordiale. Egli incarna quella natura primigenia intimamente connessa alle origini dell’esistenza e che appartiene a ogni forma di vita e, pertanto, si ammanta di sacralità. Per i partenopei il Vesuvio rappresenta qualcosa di sacro che attrae e respinge, inquieta e seduce: Tremendum et fascinans.
Dunque tre sensibilità diverse che dialogano tra di loro, con i visitatori e il luogo speciale in cui sono esposte.
La mostra, che si è aperta lo scorso 8 settembre alla presenza di Salvatore di Sarno, sindaco di Somma Vesuviana, e di Rosalinda Perna, assessore alla Cultura, sarà visitabile sino al prossimo 28 settembre. Distante soli 16 Km da Napoli, Somma Vesuviana è un vero scrigno di testimonianze storiche e artistiche tra cui ben si inserisce la mostra Vesuvius presso il Castello d’Alagno.