Certosa di San Martino, Sezione Navale – Lancia Reale a 24 remi – XVIII sec. – Foto: Giorgio Manusakis

Viaggio tra i tesori esposti nel complesso museale della Certosa di San Martino.

Nel precedente articolo (link) vi abbiamo narrato la storia dello splendido complesso museale della Certosa di San Martino, ora vi porteremo alla scoperta dei tesori in essa contenuti e vi descriveremo gli ambienti interni.

Una volta entrati nel cortile d’ingresso alla Certosa, in direzione ovest trovate la facciata della chiesa dei monaci. Alcune arcate del pronao furono chiuse alla fine del ‘500 dall’architetto toscano Giovanni Antonio Dosio (della sua opera di ampliamento abbiamo scritto nel precedente articolo) per lasciare posto alle due cappelle del Rosario e di San Giuseppe. Da sud-est, invece, incombe uno degli imponenti speroni dell’adiacente Castel Sant’Elmo, di epoca trecentesca. Proseguendo troviamo il Chiostro dei Procuratori, anch’esso frutto dell’ampliamento progettato dell’architetto toscano Dosio; i suoi portici e la loggia costruiti in piperno e marmo, rappresentano un inevitabile snodo per l’accesso ad importanti ambienti della Certosa, come il refettorio, il Chiostro Grande, la Spezieria (o farmacia dei monaci) e la cosiddetta Sala delle Carrozze. Al centro del cortile è posto un puteale seicentesco di Felice De Felice; alle pareti del portico, invece, si trovano stemmi, iscrizioni e rilievi provenienti dagli antichi rioni di Napoli, inglobati nel patrimonio museale dagli inizi del ‘900.

Il Chiostro Grande, già concepito nell’originario impianto trecentesco della Certosa, fu ricostruito, senza grosse modifiche, nel Seicento, forse da Cosimo Fanzago, al quale vengono attribuite anche la balaustra del cimiterino dei monaci e cinque dei sette busti sulle porte angolari del porticato. Sopra la balaustra, agli angoli e al centro del loggiato, otto statue marmoree raffiguranti Cristo, la Vergine e Santi.

Ricco di opere d’arte, sebbene quelle rimaste rappresentino la minima parte della raccolta preesistente e in gran parte rubata dai francesi nel 1806, è il cosiddetto Quarto del Priore, che rappresentava l’appartamento privato del capo della comunità monastica certosina. L’arredo liturgico superstite è ricordato soprattutto per alcune anfore e fanali di gusto barocco, nonché per un finissimo paliotto ricamato di fine Seicento. Il priore usufruiva anche di un oratorio privato, luogo destinato alla preghiera personale del capo della comunità. Al suo interno e in buono stato di conservazione, si possono vedere i riquadri dipinti del soffitto: al centro, Cristo morto sorretto dall’angelo, fiancheggiato da temi desunti dalla Creazione biblica, tutti dipinti probabilmente dal Cavalier d’Arpino e dai suoi collaboratori sul finire del ‘500. La cappella del Quarto del Priore presenta sul soffitto alcuni affreschi di Micco Spadaro: nelle lunette Paesaggi, al centro, invece, un’Immacolata con angeli. Ben conservato nella sua policromia originaria, troviamo anche un S. Michele che scaccia il demonio dello scultore settecentesco Domenico Antonio Vaccaro. Nelle gallerie del Quarto del Priore sono esposte numerose opere di pittori attivi a Napoli nel Seicento tra cui ricordiamo Massimo Stanzione, autore di un Battesimo di Cristo, Giovanni Lanfranco presente con una Madonna con bambino e SS. Domenico e Gennaro, Jusepe Ribera autore di un S. Sebastiano, Battistello Caracciolo, che dipinge quattro bozzetti per la cappella di San Gennaro nella chiesa della Certosa, e Pacecco De Rosa, al quale è attribuita una Deposizione di Cristo. Dallo studiolo del priore, mediante la Scala dello Gnomone con l’orologio solare seicentesco che l’adorna, si accede al Giardino Grande del Priore e ad un’annessa loggetta, da non confondere con la più nota Loggia del Belvedere descritta dai viaggiatori dei secoli XVII e XVIII. Sempre tra gli ambienti del Quarto del Priore, possiamo ammirare un busto di San Bruno in bronzo argentato e dorato, del 1638, proveniente dalla chiesa della Certosa, pregevole opera di Cosimo Fanzago, mentre sono firmate da Belisario Corenzio (di cui abbiamo descritto storia e opere in un precedente articolo link) quattro tele contenenti ognuna un putto recante simboli della Passione di Cristo. Inoltre è da notare un indiscusso capolavoro tra Manierismo e Barocco: il gruppo statuario di Pietro Bernini della Madonna con Bambino e San Giovannino, originariamente collocato in una nicchia del cortile interno del Quarto del Priore e, dal 1947, nell’attuale collocazione che permette di apprezzarne al meglio le qualità estetiche. Allo stesso Bernini è attribuito un bassorilievo raffigurante S. Martino che divide il mantello con il povero, un tempo situato all’ingresso del monastero, mentre di Girolamo Santacroce è il sepolcro cinquecentesco del cavaliere Carlo Gesualdo, un tempo posto nella chiesetta delle Donne, adiacente alla Certosa stessa.  Molto bello anche il S. Martino di fine ‘400 di Protasio Crivelli, un coevo trittico di manifattura napoletana mancante, purtroppo, del tema centrale, con ai lati Roberto e Carlo d’Angiò in veste di Re Magi, ed uno dei pilastrini trecenteschi, dalla chiesa della Certosa, di bottega dei fratelli Bertini.  

La chiesa, come abbiamo scritto nel precedente articolo, fu oggetto di una trasformazione e un ampliamento alla fine del Cinquecento, con l’aggiunta delle bellissime cappelle laterali che, con la chiesa stessa, rappresentano un tesoro unico del barocco napoletano. Ornata da tele di pittori secenteschi operanti a Napoli, l’abside presenta un pregevole soffitto dipinto dal Cavalier d’Arpino, maestro di Caravaggio nel suo primo soggiorno romano. Sulla parete di fondo, una Natività di Guido Reni accompagnata dalle statue della Vita Attiva e Contemplativa, rispettivamente di Pietro Bernini e Giovanni Battista Caccini. Poggianti su un pavimento decorato da Cosimo Fanzago, gli stalli lignei che formano il coro sono opera di Orazio De Orio del 1629; al centro troviamo un leggio in noce di ignoto artigiano manierista.

Luca Giordano – Convitto di Erode (1659-1664) – Foto: Giorgio Manusakis

Nelle adiacenze della chiesa, tra i lavori di ampliamento del Dosio, troviamo La Cappella del Tesoro. Preceduta dalla Sagrestia, questa sala rappresenta l’ultima fatica del pittore napoletano Luca Giordano: sua la volta con il Trionfo di Giuditta e Storie dell’Antico Testamento, databili al 1603. Al centro, l’altarino realizzato da Giovanni Selino a inizio Seicento, con la pala di Ribera raffigurante una Pietà; di fine secolo, invece, i circostanti mobili lignei intagliati da Gennaro Monte. Dal lato opposto, invece, si accede alla Sala Capitolare e, attraverso un passetto, al Parlatorio, l’ambiente dove solitamente i certosini vivevano i loro momenti comunitari. Nella volta, affreschi tardo-cinquecenteschi di Avanzino Nucci, con al centro la Discesa dello Spirito Santo. Sulle pareti, invece, Storie della vita di San Brunone e, agli angoli, Santi Priori dell’Ordine Certosino. Il passetto che funge da elemento di congiunzione tra il Parlatorio e la Sala Capitolare, presenta nella volta affreschi di Bernardino Cesari del 1593 con Scene dell’infanzia di Cristo intermezzate da Virtù. Tra le opere pittoriche seicentesche di maggiore pregio nella Sala del Capitolo, si ricordano alcuni temi biblici rappresentati da Belisario Corenzio nel soffitto, nonché l’Apparizione della Vergine che dà la regola a San Bruno di Simon Vouet e un’Adorazione dei Magi di Battistello Caracciolo sulle pareti. Provenendo, invece, dai giardini della Certosa, ci si imbatte nella Sala o Androne delle Carrozze, allestita nel 1886 da Alberto Avena, direttore dell’epoca del Museo. Al suo interno sono due i pezzi custoditi, fiancheggiati sulle pareti da stemmi vicereali e reali: il primo è una berlina di corte, costruita nel 1804 per i Borbone e usata spesso da re Ferdinando II e sua moglie, Maria Cristina di Savoia, per alcune speciali uscite, come le gite al Duomo ed alla settembrina festa della Piedigrotta. Il secondo è, invece, la più antica carrozza di gala, in legno dorato, ornata da placche dipinte, sete e velluti. Commissionata dal tribunale di San Lorenzo tra fine Seicento ed inizio Settecento, essa venne utilizzata sia dai membri del Consiglio Cittadino degli Eletti, ovvero i governanti della città, sia dal clero per particolari cerimonie religiose.

Di particolare rilevanza anche la Sezione Presepiale, il cui elemento centrale è la grandissima opera donata al Museo di S. Martino nel 1879 dall’architetto e commediografo, Michele Cuciniello. Custodito in una sorta di grotta, il presepe, i cui pastori sono di manifattura settecentesca, presenta le tre canoniche scene della Natività, dell’Annuncio ai pastori e della Taverna. Le altre sale della sezione contengono le cosiddette ‘scarabattole’, teche in legno e vetro di medio-grandi dimensioni, dove si trovano in genere la Madonna con il Bambino, San Giuseppe e pochi altri personaggi. Apposite vetrine sono dedicate agli accessori e alle figure presepiali minori, ossia i Re Magi, la banda dei musicanti, i venditori di frutta, verdura, carne, pesce, salumi e formaggi, i mendicanti ed infine gli animali come le capre, guidate spesso dal loro guardiano, i buoi, i cani e le galline. Altra opera che si evidenzia tra le altre, è il presepe di San Giovanni a Carbonara, proveniente dalla Chiesa di San Giovanni a Carbonara e commissionato nel 1478 da Jaconello Pipe, aromatario del duca di Calabria, il presepe presenta oggi solo quattordici delle originarie quarantuno statue lignee. Al centro, la Madonna e San Giuseppe prostrati ad adorare il Bambin Gesù.

Presepe Cuciniello (1879) – Foto: Giorgio Manusakis

Oltre a quanto descritto finora, il complesso museale comprende anche le più recenti e interessanti sezioni navale e teatrale. La Sezione navale, rimasta chiusa per diversi anni a causa di lavori di adeguamento e manutenzione, presenta oggi un ricchissimo e interessante allestimento. Sistemato sul livello superiore, un Caicco Reale, in legno di salice intagliato, dipinto e dorato, donato dal sultano Selim III a re Ferdinando IV di Borbone verso la fine del Settecento. Su una delle pareti circostanti, alcuni pannelli con modelli di nodi in uso nella Regia Marina Borbonica. Nelle vetrine, riproduzioni di imbarcazioni della flotta del Regno delle Due Sicilie a cura di maestranze napoletane di primo Ottocento, come modelli di fregate da 44 o 48 cannoni e del brigantino Principe Carlo.  Al livello inferiore, attorniata dalle riproduzioni delle corazzate Re Umberto e Regina Margherita, una Lancia a 14 remi per gli stessi reali di casa Savoia, costruita nel Regio Arsenale di Napoli nel 1889. Dalla stessa officina proviene anche una Lancia a 24 remi di re Carlo di Borbone, databile intorno al 1750 e munita di un baldacchino recante all’interno un’Allegoria dell’Agricoltura con i Quattro Venti di Fedele Fischetti.

La Sezione teatrale è composta dalla collezione Archivio San Carlo, e da numerosi cimeli acquisiti e databili per lo più intorno alla prima metà dell’Ottocento. Si tratta non solo di stampe, fotografie, disegni, dipinti e sculture, ma anche di articoli, ricostruzioni teatrali, maschere e costumi. Tra essi troviamo il plastico del teatro San Carlino, la maschera in cuoio e il ritratto di Giancola, il più celebre Pulcinella del Settecento, il ritratto di Eduardo Scarpetta nelle vesti di Felice Sciosciammocca e tanti altri ritratti di artisti quali Salvatore Di Giacomo, Vincenzo Bellini, Domenico Cimarosa, Saverio Mercadante e Giuseppe Cammarano.

Durante la vostra visita alla Certosa di San Martino potrete da più punti ammirare un panorama davvero stupendo di tutto il Golfo di Napoli, dall’isola di Capri, prospiciente la Punta Campanella della Penisola Sorrentina, al Vesuvio passando, nella direzione opposta, a Mergellina ed alla collina di Posillipo. Lo potrete fare sia stando sul terrazzo, affacciandovi sui giardini, che dalle finestre delle varie sale, oltre che da tanti altri punti di questo museo dove, come in pochi altri al mondo, l’arte esposta all’interno viene avvolta dallo splendore di un panorama che è anch’esso un’opera d’arte, ma della natura.

Battistello Caracciolo, Madonna con Bambino e San Giovannino – 1620 ca. Foto: Giorgio Manusakis

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