Visione d’assieme degli ambienti 4 e 1 – Foto: Franco Mosca

Il territorio di Somma Vesuviana è impreziosito da un gioiello del mondo antico con un’identità ancora da scoprire: la cosiddetta ‘Villa Augustea’. Ne parliamo con il prof. Antonio De Simone in questa videointervista.

La storia di Somma dalle fonti letterarie ed archeologiche    

A causa della limitata disponibilità di notizie tratte dalle fonti classiche, per lungo tempo si è ritenuto che questa, nell’antichità, fosse stata semplicemente una zona agricola al servizio dei più importanti insediamenti della zona costiera. Inoltre, le straordinarie scoperte e gli scavi effettuati, dalla prima metà del XVIII secolo, nelle antiche città di Herculaneum, Pompeii e Stabiae, hanno catalizzato, in modo quasi esclusivo, i percorsi di ricerca e studio.

In realtà sono stati poco considerati alcuni scritti come quello di Cicerone, che riferisce della disputa avvenuta nel 183 a. C. tra Nolani e Neapolitani per il possesso dell’area in cui insistevano i reciproci confini, e quelli di Svetonio e Tacito che narrano, con dovizia di particolari, della morte di Ottaviano Augusto in una villa, di proprietà degli Octavii, nelle campagne di Nola, successivamente trasformata, così come racconta Dione Cassio, in luogo di culto in memoria dell’imperatore.

Ma, oltre le succitate fonti, sappiamo che, a seguito della violenta eruzione del 79 d.C., con la conseguente scomparsa di Ercolano e Pompei, vi fu un ampliamento dei territori di Neapolis e Nola oltre la cosiddetta fascia costiera e verso la zona pedemontana del Somma-Vesuvio. Questa giusta considerazione ha fatto sì che venissero avviate complesse ricerche, iniziate nel 2001 e tuttora in corso, nell’area di Somma Vesuviana e di Pollena Trocchia e che si sono avvalse delle osservazioni condotte, nel corso degli anni, da studiosi locali e dai reperti restituiti occasionalmente dal suolo. 

Alcune testimonianze della presenza dell’antico nel territorio sono leggibili anche attraverso alcuni elementi architettonici di remote origini, inglobati in edifici di epoca decisamente più recente, come nel caso delle colonne che sorreggono l’arcata centrale del prònao della cinquecentesca chiesa di S. Maria del Pozzo. Pertanto, vari elementi attestano una continuità di vita a partire dalla prima metà del I sec. d.C. anche se resta, per ora, arduo e difficile delineare una precisa carta archeologica dei luoghi.

Ambiente 1, particolare del portale con decorazioni dionisiache – Foto: Franco Mosca

Gli scavi nella ‘Villa Augustea’, dalla fine dell’Ottocento ad oggi

Il sito archeologico della cosiddetta ‘Villa Augustea’, in località Starza della Regina di Somma Vesuviana, del quale ora vogliamo raccontare, risulta essere un luogo dalla storia lunga, complessa ed estremamente affascinante. 

Le strutture del monumento affiorarono, per la prima volta, nel 1890 nel corso di alcuni lavori agricoli durante i quali emerse la presenza di massicce murature che fecero subito intuire la presenza di un imponente edificio sommerso. Tuttavia, all’epoca, i ruderi furono trascurati e se ne perse memoria.

Nel 1930 Matteo della Corte, allora direttore degli scavi di Pompei, a seguito di nuovi fortuiti rinvenimenti da parte del proprietario dei terreni, si adoperò per l’esecuzione di un primo saggio di scavo, di dimensione pari a m 5 x 5 in superficie e m10 di profondità. Vennero alla luce una parte dell’antico calpestio, dei cunicoli, un muro caratterizzato dalla presenza di 3 edicole, una colonna e la testa di una statua. Sulla base delle conoscenze allora disponibili, si ritenne fosse un edificio seppellito dall’eruzione del 79 d.C. benché si notasse, dall’eccezionalità delle poche strutture architettoniche visibili, una considerevole diversità rispetto ai complessi rinvenuti lungo la fascia costiera e risalenti alla stessa epoca. Si pensò, pertanto, di aver scoperto i resti del luogo in cui era morto Ottaviano Augusto, fondatore dell’Impero Romano, ma, anche a quell’epoca, gli scavi non ebbero alcuna prosecuzione a causa della limitatezza delle risorse disponibili e della partecipazione dell’Italia al secondo conflitto mondiale.

Sta di fatto che, da allora, questo sito archeologico prese il nome di ‘Villa Augustea’ anche se, con la ripresa sistematica dei lavori di scavo, a partire dal 2002, si è intuito che la storia di questo luogo straordinario sembra essere diversa. Dal 2002 ad oggi, le ricerche in atto rientrano nella Missione Archeologica dell’Università di Tokyo in sinergia con l’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli e grazie all’impegno del professore Antonio De Simone, archeologo di spicco in campo internazionale oltre che profondo conoscitore della storia dell’area vesuviana. Lo scavo attuale, che riguarda una superficie di circa 2.000 mq per una profondità di ben 10 m, benché appaia vastissimo, è, di fatto, verosimilmente limitato rispetto a quella che si ipotizza essere la reale estensione del monumento in base alle strutture murarie che si sviluppano in ogni direzione e ben oltre l’area finora indagata.

Ambiente 7, decorazione dell’abside, corteggio di Nereidi – Foto: Franco Mosca

La singolarità della villa, seppellita da varie eruzioni vesuviane

Il complesso si articola su più livelli e gli ambienti, fino ad oggi venuti alla luce, individuano spazi architettonici difficilmente riscontrabili nelle ville edificate nella regione. Notevole è la qualità dei materiali impiegati, così come la ricchezza e raffinatezza dei particolari e delle decorazioni rinvenute. Si tratta, evidentemente, di una struttura residenziale dalle caratteristiche riconducibili ad un’epoca diversa da quella augustea e, poi, seppellita dall’eruzione sub-pliniana del 472. All’epoca di quest’ultimo evento, alcune parti erano già andate in disuso e fatte oggetto di spoliazione mentre altre hanno evidenziato la presenza di un impianto produttivo con vasche, delimitate da bassi muretti, e alcuni forni addossati a strutture che ancora conservano tracce della decorazione originaria. Oltre alla distruzione dovuta all’eruzione del 472, il sito fu interessato da un’eruzione successiva, avvenuta nei primi anni del VI secolo d.C., e poi da almeno altre tre susseguenti che completarono il sotterramento dell’area. Ogni strato eruttivo è risultato intervallato da tracce di suoli coltivati che testimoniano un’ininterrotta frequentazione dei luoghi.

Particolare del Dioniso giovane con cucciolo di pantera rinvenuto nell’ambiente 4 – Foto: Franco Mosca

Decorazioni e reperti di pregio scoperti all’interno della villa

L’edificio conserva una parte dell’ampia decorazione dipinta che rivestiva le pareti, alcune colonne monolitiche di marmo proveniente dall’Asia Minore, parti di pavimento mosaicato composto da tessere di colore bianco e alcune delle sculture di arredo come quella di Dioniso, il dio Bacco dei Romani, con, in braccio, un cucciolo di pantera, animale simbolo di questa divinità. Questa pregevole statua è realizzata in marmo bianco di Paros con l’assemblaggio di diverse parti lavorate separatamente e, dallo schema compositivo e dall’atteggiamento del volto, rivela uno stile ecclettico proprio di una corrente artistica prassitelica che si sviluppò nel mondo romano nel corso del I secolo a.C.

Oltre a quest’opera, ne è stata rinvenuta un’altra alta 1,16 m, realizzata anch’essa in un unico blocco di marmo bianco di Paros, completato da un rivestimento dipinto e poggiante su una base in marmo bardiglio. La statua, detta Peplophòros, raffigura una donna vestita di peplo, priva delle parti terminali degli arti inferiori e superiori e di attributi che la identificano. La testa ricorda i modelli classici della seconda metà del V secolo a.C. e, vista la presenza di fori probabilmente fatti per l’inserimento di una corona, si ipotizza, anche sulla base di numerosi confronti, che possa trattarsi di una divinità, di una personificazione o di un’offerente, collegata alla figura di Dionisio.

Nella villa sono presenti ampie absidi che contengono ancora le decorazioni originarie. La più grande presenta un corteo di tritoni, figure mitologiche metà uomini e metà pesci, e nereidi, ovvero donne che cavalcano delfini. Accanto a una di queste è raffigurato un bambino, che si può sempre identificare con Dioniso in età infantile.

La figura ricorrente di questa divinità è, inoltre, legata al secondo utilizzo della villa, ovvero quello di luogo dedito alla produzione del vino, deducibile dal fatto che, vicino alle absidi, è stata rinvenuta la cella vinaria con, interrati, più di trenta “dolia” di terracotta dalla capienza di circa 1000-2000 litri, utilizzati per conservare olio o appunto vino. Ciò lascia ipotizzare che vi fosse una produzione vinicola massiccia non giustificabile da un uso domestico ma piuttosto riconducibile ad una vera e propria attività produttivo-commerciale. L’elemento più suggestivo della villa è un portale monumentale che presenta, da un solo lato, una decorazione perfettamente conservata in cui è possibile distinguere pigne d’uva, il flauto di Pan, un cesto di serpenti e tutta una simbologia appartenente sempre a Dioniso.

Ambiente 7, decorazione dell’abside, corteggio di Nereidi, Particolare – Foto: Franco Mosca

Ulteriori prospettive di indagine

Resta il mistero sul proprietario della villa, vista l’assenza di iscrizioni o documenti che possano rivelarcelo, ma doveva essere indubbiamente un personaggio facoltoso. Inoltre, allo stato attuale dei lavori, questo sito archeologico fornisce elementi importantissimi circa la successione degli eventi eruttivi riguardanti l’attività del Vesuvio tra gli ultimi decenni del V e i primi del VI secolo d.C. Bisognerà approfondire, poi, l’indagine sulle fasi costruttive più antiche del complesso che in alcune parti sono emerse in zone sottostanti alla monumentale villa e che sono testimoniate anche dagli elementi mobili, come le statue e i dolia della cella vinaria, evidentemente precedenti al 79.

Di fatto vi sono, in tutta la regione a nord del Vesuvio, numerose presenze archeologiche precedenti l’eruzione del 79 d.C. ma anche numerose ville di pregio databili ai periodi successivi, come per la struttura residenziale appena descritta e quella situata a Pollena Trocchia in località Masseria De Carolis, che prospereranno a lungo, fino agli albori del Medioevo.

Ciò testimonia che si è in un territorio ricco di insediamenti dalle origini molto antiche e con una realtà storica autonoma e forte benché fosse stata per lungo tempo considerata quasi irrilevante rispetto alla zona costiera e di tutto ciò è importante dare testimonianza per la valorizzazione e la custodia di elementi storici di qualità inestimabile.  Ringraziamo il professore archeologo Antonio De Simone che ci ha gentilmente parlato della storia di questo importantissimo sito archeologico e ha voluto rilasciarci testimonianza in questa videointervista, oltre al professore Franco Mosca, presidente della Pro Loco di Somma Vesuviana, che ci ha fornito le immagini fotografiche del sito archeologico ed una serie di informazioni sulle vicende dei luoghi.

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