Pompei e il Vesuvio – Foto: Giorgio Manusakis
Nel pomeriggio del 20 settembre, i Ministri del G7 della Cultura si sono recati in visita privata all’interno degli scavi di Pompei, restando affascinati da alcune case del quartiere della Regio II, considerabili, per il loro sfarzo, come vere e proprie ville urbane.
Dal 19 al 21 settembre scorso Napoli ha ospitato il G7 dei Ministri della Cultura. L’evento ha visto la partecipazione di rappresentanti istituzionali provenienti dai sette paesi facenti parte del forum intergovernativo (oltre all’Italia, con il ministro Alessandro Giuli, vi erano i rispettivi capo dicasteri di Stati Uniti, Canada, Regno Unito, Francia, Germania e Giappone), i quali hanno discusso su attuali e delicate tematiche: dall’applicazione dell’Intelligenza Artificiale nella tutela del patrimonio monumentale agli effetti nocivi su di esso causati dai cambiamenti climatici, sino alla possibilità di instaurare nuove partnership con stati ed economie in via di sviluppo. Il programma del meeting, oltre ai consueti lavori istituzionali, svolti all’interno delle stupende sale del Palazzo Reale di Napoli nelle mattinate del 20 e 21 settembre, si è articolato in due momenti esterni costituiti dalle visite private alle collezioni del Mann, nel pomeriggio del 19, e al Parco archeologico di Pompei, in quello del 20. Proprio qui, sotto la guida del Direttore Gabriel Zuchtriegel e del Direttore Generale dei Musei, Massimo Osanna, secondo quanto fatto trapelare dagli organi di stampa, i ministri si sono soffermati nel quartiere orientale della Regio II, apprezzando particolarmente la bellezza e la suggestività di alcune famose domus qui presenti. Vediamo, dunque, in questo articolo le caratteristiche principali di queste strutture, appartenute a personaggi abbienti dell’antica Pompei, concentrandoci poi su una descrizione dell’Anfiteatro, all’interno del quale la delegazione internazionale ha poi assistito ad un concerto della Nuova Orchestra Scarlatti, diretta da Beatrice Venezi, al quale, tra gli altri, ha preso parte anche il tenore Andrea Bocelli.
Casa di Octavius Quartio
Si tratta di uno dei più interessanti modelli di “villa urbana”, emulante il fasto delle grandi dimore aristocratiche della classe dirigente imperiale, molte delle quali collocate proprio nella cosiddetta Campania felix. Scoperta nel 1916 e disseppellita attraverso varie campagne di scavo, di cui l’ultima effettuata nel 1973, la domus fu erroneamente attribuita a un tale Loreius Tiburtinus per via di due iscrizioni elettorali rinvenute sulla facciata esterna. Il reale proprietario sarebbe invece un certo Octavius Quartio, il cui nome è stato letto su un sigillo rinvenuto in uno dei cubicula (camere da letto) della dimora e che si ipotizza fosse un membro del collegio degli Augustali, preposto al culto dell’imperatore. Caratterizzata inizialmente da un’ampiezza ancora maggiore – da essa, infatti, si distaccò ad un certo punto la casa II, 2, 4 – l’abitazione, al di là del settore dell’atrio, presenta un viridarium, ossia un tipico piccolo giardino munito di colonne su tre lati, sul quale prospettano due ambienti di grande rilievo. Il primo di questi è un oecus, ossia una sala da pranzo ornata con scene afferenti alla guerra di Troia, come ad esempio i giochi funebri in onore di Patroclo, nel registro inferiore, e lo scontro tra Ercole e Laomedonte, in quello superiore, quest’ultimo desunto probabilmente da un modello pittorico ellenistico. Il secondo ambiente è una sorta di sacello affrescato con quadretti relativi tanto al culto di Diana – dalla scena del bagno al supplizio di Atteone – quanto a quello di Iside – vi è un sacerdote col capo rasato intento a tributare un’offerta alla divinità. Ad abbellire il viridarium vi è un euripus, ossia un canale artificiale decorato con statuette riferibili a divinità e miti del mondo acquatico (quelle esposte attualmente nella villa sono copie degli originali). Infine, ad una quota più bassa, si colloca un ulteriore e più grande giardino, arricchito da numerose specie arboree e vegetali ed impreziosito anch’esso da un euripus, alimentato dall’acqua sgorgante da una statua di Oceano posta all’interno di un ninfeo.
Casa della Venere in conchiglia
E’ sicuramente una delle domus più note di Pompei. Esplorata negli anni Trenta e Cinquanta del Novecento, databile al I secolo a.C., doveva appartenere, sulla base dei dati epigrafici, alla gens dei Satrii. Il suo impianto è basato sull’atrio, intorno al quale si aprono vari ambienti decorati in IV stile (l’ultimo, da un punto di vista cronologico, dei quattro riconosciuti sul finire del XIX secolo dall’archeologo August Mau), ad eccezione del grande oecus che al momento dell’eruzione del 79 era in ristrutturazione. Al posto del tablino, la domus presenta direttamente un giardino sulla cui parete di fondo si staglia l’affresco che ha offerto agli scopritori lo spunto per il nome da attribuire. Venere, nuda ma agghindata con un diadema sul capo, una collana e braccialetti alle caviglie e ai polsi, è raffigurata sdraiata all’interno di una conchiglia, accompagnata da due Amorini. Il tema figurativo centrale è altresì circondato da ulteriori raffigurazioni, come una statua di Marte, munito di lancia e scudo e assiso su una colonna; un giardino popolato di piante e animali esotici ed un gruppo di uccelli che bevono ad una fontana.
Particolare con attributi dionisiaci – Affresco dai Praedia di Giulia Felice, II, 2, 4 – Museo Archeologico Nazionale di Napoli – Foto: Giorgio Manusakis
I Praedia di Giulia Felice
I Praedia di Giulia Felice – il termine praedium significa fondo, proprietà – prendono il loro nome da quello della presunta ultima proprietaria, Iulia Felix, la quale, mediante un’iscrizione dipinta sulla facciata, all’indomani del terremoto del 62 d.C., pubblicizzò la concessione in fitto di alcuni appartamenti interni al complesso. La zona in cui esso sorge, in origine, doveva essere caratterizzata dalla presenza di più unità abitative, inglobate poi in un’unica struttura verso la fine del I secolo a.C. A partire da questa fase cronologica, l’ampia proprietà viene organizzata internamente in quattro nuclei essenziali. Il primo è il settore dell’atrio, dalle cui pareti proviene il fregio con scene di vita del Foro – attualmente conservato al Mann -, una sorta di “affresco-fotografia” riguardante le attività svolte nella principale piazza cittadina. Il secondo è rappresentato dal giardino, caratterizzato dalla presenza di un euripus e popolato da statue, come quelle del dio Pan e del filosofo Pittaco di Mitilene, capaci di rievocare le atmosfere dei ginnasi. Intorno ad esso si collocano alcune sale ad uso conviviale e privato, come il triclinio estivo, decorato con affreschi raffiguranti i tipici paesaggi lungo il Nilo e impreziosito da giochi d’acqua dinanzi ai letti su cui si sdraiavano i commensali. Un ulteriore ambiente, posto in corrispondenza del lato meridionale, è invece identificabile come sacello in virtù delle sue pitture recanti divinità romane (Fortuna e un non ben identificato Genius) ed egizie (Iside, Anubi e Serapide) nonché per la scoperta, al suo interno, del tripode bronzeo con Satiri itifallici, attualmente conservato nel Gabinetto Segreto del Mann.
Tripode in bronzo con Satiri itifallici – I sec. d.C. – Pompei, Casa di Giulia Felice – Museo Archeologico Nazionale di Napoli – Foto: Giorgio Manusakis
Il terzo nucleo dei Praedia è rappresentato dal balneum, aperto al pubblico e munito di tutti gli ambienti tipici del percorso termale, mentre il quarto ed ultimo corrisponde ad un vero e proprio parco, impreziosito da varie specie arboree e floreali. Scavato tra il 1754 e il 1757 e poi a più riprese nel Novecento, prima e dopo la seconda guerra mondiale, questo complesso abitativo, la cui superficie ha un’estensione raddoppiata rispetto a quella delle limitrofe insulae, è stato interessato da restauri completati nel 2016. Nuove indagini archeologiche e geognostiche sono in corso, invece, dal 2019 nell’ambito di un progetto che vede coinvolti la direzione del Parco archeologico di Pompei, la Scuola Normale, l’Università di Pisa e l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia.
L’Anfiteatro
L’Anfiteatro di Pompei è considerato uno dei più antichi esempi di questo modello architettonico nel mondo romano. La sua costruzione, risalente intorno al 70 a.C., fu interamente finanziata dai duoviri quinquennales C. Quintus Valgus e Marcus Porcius, i quali si erano già distinti in città per la realizzazione, sempre a proprie spese, di un altro importante edificio per spettacoli come l’Odeion, o Teatro piccolo. Per commemorare ed omaggiare questi due personaggi fu incisa un’epigrafe in loro onore, la quale fu sistemata in corrispondenza dell’ambulacro sud-orientale della struttura. Danneggiato dal sisma del 62 d.C., l’anfiteatro pompeiano fu ristrutturato grazie ai fondi offerti da Cuspius Pansa padre e Cuspius Pansa figlio, i quali furono ritratti in statue collocate nelle nicchie dell’ambulacro nord-occidentale. Nell’ambito di quest’ultimo importante intervento, si possono ascrivere gli archi di rinforzo posti all’interno dei corridoi di accesso all’arena nonché il maenianum summum in ligneis, ossia un ulteriore anello, di cui restano alcuni pilastri e che serviva alla stesura del velarium, un grande telo per riparare gli spettatori nelle giornate di maggiore caldo. L’Anfiteatro si caratterizza per un ampio utilizzo dell’opera cementizia, ben riconoscibile soprattutto lungo gli ambulacri, nelle scalinate e nei contrafforti. Il tamburo esterno, invece, realizzato in opera quasi reticolata, rappresenta una delle parti connotate da maggiore eleganza. Il settore più importante dell’arena era senza dubbio l’ima cavea, nella quale erano collocati i sedili dei cittadini più influenti e trovavano posto l’imperatore o altri funzionari provenienti da Roma. Al di sopra, si collocavano la media e la summa cavea, destinate alle persone meno abbienti. Infine, l’Anfiteatro di Pompei, la cui capienza poteva raggiungere circa 20 000 spettatori, divenne noto per essere stato squalificato per dieci anni in virtù di una rissa scoppiata nel 59 tra alcuni supporters locali ed altri provenienti dalla vicina Nuceria. Tra le due città non correva buon sangue, secondo quanto riportato dallo storico Tacito, specialmente all’indomani di alcune deduzioni coloniali, ovvero concessioni di terre, che avevano danneggiato in qualche modo Pompei e arricchito di conseguenza la sua rivale. Il celebre scontro, che causò diversi morti e feriti – maggiormente dalla parte dei nocerini – e che è stato raffigurato in un affresco oggi conservato al Mann, avvenne in occasione di uno spectaculum organizzato da un certo Livineio Regolo. Alla luce anche di quanto indicato in un’epigrafe funeraria scoperta nel 2017, oltre alla sospensione di qualsiasi evento, il provvedimento emanato da Nerone previde lo scioglimento di tutti i collegia abusivi – si tratterebbe di circoli sportivi ante litteram o di gruppi di tifosi – nonché la condanna all’esilio dello stesso Livineio e di altri esponenti politici non precisamente identificati né dall’iscrizione sepolcrale né da Tacito. Per fortuna, però, dei pompeiani e di tutti gli appassionati di questi spectacula, che spesso venivano anche da altre città, la squalifica dell’Anfiteatro fu revocata dopo due anni, probabilmente, secondo la cosiddetta vox populi, grazie all’intercessione di Poppea, moglie dell’imperatore, la quale possedeva una villa nel territorio della vicina Oplontis.
Pompei, l’anfiteatro di sera – Foto (modificata) da comunicato stampa