Mantova, Palazzo Te, affresco della Sala dei Giganti – Foto: Matilde Di Muro
Mantova: città elegante e sorniona ma che non si sottrae a chiunque sia desideroso di immergersi in cotanta bellezza.
Il sommo Dante Alighieri nel canto XX dell’Inferno la cita scrivendo:
“Fer la città sovra quell’ossa morte;
e per colei che ’l loco prima elesse,
Mantua l’appellar sanz’altra sorte” (Inferno, XX, 91-93)
facendo così riferimento alla legenda che vuole la nascita di questa città sulle spoglie della profetessa Manto, figlia dell’indovino Tiresia. Ma se le sue origini sono incerte e legate a miti antichi, è storia che Mantova fu uno dei primi ‘Liberi Comuni’ formatisi tra l’XI e il XII secolo, dopo essere stata prima un insediamento etrusco, poi conquista dei Romani, in seguito occupata dai Bizantini e, infine, dai Longobardi.
Avendo premesso di voler parlare di ‘giganti’, sarà il caso di citare alcuni dei figli illustri di questa città a partire dal sommo poeta Virgilio, passando per una delle figure più importanti e interessanti del Medioevo italiano quale fu Matilde di Canossa, per poi giungere ai signori di Mantova, i Gonzaga: una delle più note e potenti famiglie principesche d’Europa, protagonisti della storia italiana ed europea dal 1328 al 1707, a cui si deve la mirabile fioritura artistica di questa città. In più di trecento anni di storia e di dominio dei Gonzaga sono stati tanti gli artisti e gli intellettuali di spicco che hanno lasciato qui la propria impronta e gran parte del patrimonio artistico, culturale e scientifico rinascimentale è stato prodotto proprio grazie al raffinato e prolifico mecenatismo gonzaghesco. Vittorino da Feltre, Leon Battista Alberti, Andrea Mantegna, Baldassarre Castiglione, Ludovico Ariosto, Torquato Tasso, Claudio Monteverdi, Giulio Romano e Pieter Rubens sono alcuni dei nomi illustri che hanno fatto di Mantova una delle corti artisticamente più ricche. Tutto ciò si è manifestato soprattutto al tempo di Ludovico III (1444-1478) e di Francesco II (1484-1519), la cui consorte, Isabella d’Este, fu un personaggio femminile tra i più notevoli del Rinascimento italiano per il gusto raffinato oltre che per la grande influenza nelle vicende politiche internazionali; ma l’accrescimento artistico e culturale di Mantova proseguì anche durante il potere di Federico II (1519-1540) e di Guglielmo Gonzaga (1550-1587).
Mantova, Palazzo Ducale – Foto: Matilde Di Muro
Quali opere d’arte possono al meglio dar voce, consistenza e colore a tutto questo? C’è davvero l’imbarazzo della scelta e, dovendo proprio farlo, scelgo di volgere il mio sguardo verso l’alto per ammirare due grandi capolavori siti in due tra le più importanti residenze di corte gonzaghesche mantovane: il Palazzo Ducale e il Palazzo Te. Il primo fu la residenza ufficiale dei Signori di Mantova, ebbe origini nei primi anni del ‘300 e si è via via ampliato sino a raggiungere un’ampiezza di più di 35.000 m² diventando una delle regge più estese d’Europa con oltre 500 stanze, 7 giardini e 8 cortili. Palazzo Te, invece, è una meravigliosa villa rinascimentale, collocata nell’area meridionale della città di Mantova, costruita tra il 1524 e il 1534 su commissione di Federico II Gonzaga, ed è l’opera più celebre dell’architetto e pittore italiano allievo di Raffaello, Giulio Romano. Le opere che ho scelto di descrivere sono due di quelle che si ammirano col naso all’insù, la bocca aperta dallo stupore e il cuore gonfio di meraviglia: nel Palazzo Ducale il soffitto della ‘Camera degli sposi’, opera di Andrea Mantegna, mentre nel Palazzo Te il soffitto della ‘Sala dei giganti’ opera di Giulio Romano. Che dire… due opere realizzate a distanza di poco più di cinquant’anni da due artisti che hanno lavorato e servito la grandezza dei propri committenti, e di questa grandezza hanno parlato e, a mio parere, dialogato usando linguaggi diversi ed allo stesso tempo tanto affini.
La ‘Camera degli sposi’, detta anche camera picta perché completamente interessata da un’importante ciclo di affreschi che celebrano la dinastia di Ludovico II, trova il suo culmine proprio nel soffitto anche se, secondo recenti restauri, pare che questo fosse il primo ad essere stato realizzato. Si resta incuriositi da tutto quello che si racconta lungo le pareti, ma ciò che si può ammirare sulle nostre teste ci invita ad uscire da quel luogo fisico, perché al centro di un soffitto ribassato e illusionisticamente suddiviso in vele e pennacchi, lo sguardo si perde in un bellissimo cielo aperto attraverso un oculo che ci ricorda quello del Pantheon, monumento antico e per eccellenza celebrato dagli umanisti. L’oculo è inoltre delimitato da una balaustra da cui, come fosse un grazioso balconcino circolare, si affacciano vari personaggi di corte, un pavone come riferimento degli animali esotici presenti a corte, e una dozzina di angioletti posti secondo una ricca e graziosa varietà di pose.
Siamo sul finire del ‘400, che definirei ‘il secolo della prospettiva’ ma che il Mantegna utilizza in maniera straordinariamente innovativa sperimentando, in più di un’occasione, nuovi punti di vista e aprendo quella strada che porterà, poi, i grandi del ‘500, Leonardo, Michelangelo e Raffaello, ad allontanarsi definitivamente dalla rigidità geometrica delle origini brunelleschiane. Direi che Mantegna fa anche di più: osa a tal punto da anticipare gli effetti ottici di sfondamento spaziale e prospettico tipici del tardo barocco e che possiamo ammirare, per esempio, sul soffitto della navata centrale della chiesa di Sant’Ignazio di Loyola a Roma nel celebre caso della Gloria di Sant’Ignazio, opera di Andrea Pozzo realizzata su finire del ‘600.
Se ci spostiamo a Palazzo Te l’artista protagonista è Giulio Romano il quale dedica un’intera stanza ai Giganti e fa riferimento al mito della Gigantomachia, ovvero alla lotta dei Giganti contro gli dèi dell’Olimpo e alla loro caduta ad opera di Zeus e degli olimpi, raccontata ne Le metamorfosi di Ovidio.
Mantova, Palazzo Te – Foto: Matilde Di Muro
Se nella camera degli sposi tutto sembra immortalato come in un susseguirsi di foto istantanee, qui si è trascinati in un movimento vorticoso: tutto sembra precipitare rovinosamente nel vuoto e si ha la sensazione di essere risucchiati da una catastrofe spaventosa, tanto spaventosa da far fuggire persino gli dèi, tutti tranne Zeus che, dopo aver lasciato il suo trono, sconfigge i Giganti lanciando le sue folgori aiutato da Giunone. In questo caso, se alziamo lo sguardo verso l’alto vediamo la raffigurazione dell’Olimpo sotto forma di tempio circolare, con dodici colonne ioniche i cui capitelli sembrano sorreggere pareti decorate a lacunari e le basi sono collegate tra loro da una balaustra da cui si affacciano vari personaggi che, questa volta, non sono angioletti ma gente che osserva preoccupata lo svolgersi degli eventi. Niente cielo aperto ma solo una livida corona di nubi che sembra dividere lo spazio terreno da quello divino.
Mantova, Palazzo Te, affresco della Sala dei Giganti con gigantomachia – Foto: Matilde Di Muro
Qui l’illusionismo prospettico ha dell’incredibile ed è stato raggiunto attraverso una perfetta fusione tra spazio pittorico e spazio architettonico al punto che si cerca invano il confine tra effimero e permanente. Qual è il messaggio che Giulio Romano ci lascia? È chiaro che il riferimento mitologico è un omaggio al grande interesse dei Gonzaga per il mondo antico, così come si può ammirare attraverso i tanti reperti conservati ed esposti nelle stanze del palazzo, ma c’è molto di più. La legenda dei Giganti ribelli può chiaramente essere letta in chiave politico-religiosa: protagonisti sono sempre i Gonzaga e, precisamente, Zeus rappresenterebbe Carlo V, che fu ospitato in questa villa da Federico II, e a cui i duchi dettero pieno appoggio per riportare l’ordine morale e lottare contro eretici e prìncipi infedeli.
E dunque abbiamo parlato di giganti a vario titolo, ma ritengo che i veri giganti a Mantova siano stati i Gonzaga per la loro straordinaria capacità di evolversi dalle semplici origini di possidenti terrieri a importanti protagonisti della storia, sino a divenire grandi mecenati, committenti di opere d’arte di inestimabile valore ma anche grandi appassionati di arte e statuaria antica, nonché collezionisti di libri, animali esotici, pietre preziose, erbe officinali, arazzi, bronzi, armi, gioielli e tanto altro. Tutte meraviglie che possiamo ammirare a Mantova ma anche nei musei e in tante collezioni private di tutto il mondo.
Giganti nella storia e nell’intelletto, i Gonzaga hanno favorito l’espressione di altri giganti nell’arte, come Andrea Mantegna e Giulio Romano. Giganti che hanno generato giganti e opere gigantesche che noi, oggi, abbiamo il dovere di preservare perché ammirando tanta bellezza ci eleviamo, ma solo dopo aver umilmente riconosciuto che, come profeticamente recitava Bernando di Chartres: “Siamo nani sulle spalle di giganti”.
Mantova, Palazzo Te, ingresso – Foto: Matilde Di Muro