Leonardo da Vinci, ‘Annunciazione’ (1472-75) – Foto: Angelo Zito

In questa terza puntata del nostro viaggio all’interno degli Uffizi scopriremo alcune opere realizzate da quelli che sono considerati dalla critica come i tre grandi maestri dell’arte rinascimentale italiana: Leonardo, Michelangelo e Raffaello

Leonardo: il suo straordinario talento (anche) nel campo della pittura

Dagli anni Settanta del 1400 si affaccia sulla scena artistica di Firenze e della Toscana Leonardo da Vinci. Il grande genio, dedito nella sua vita a numerosi ed eterogenei interessi, dall’ingegneria alle scienze naturali ed anatomiche, dalla matematica sino alla musica e alla filosofia, mostrò il suo eccelso valore anche in pittura, realizzando ad esempio una delle opere più sublimi e famose in tutta la storia dell’umanità: la Gioconda, detta anche Monna Lisa. Leonardo visse il suo apprendistato nella bottega fiorentina di Andrea del Verrocchio, presso la quale lavorò anche il già menzionato Sandro Botticelli. Di questo periodo formativo gli Uffizi conservano una pregevole testimonianza costituita dal Battesimo di Cristo. Nel dipinto in questione l’artista avrebbe realizzato, secondo la critica, l’angelo di profilo situato a sinistra rispetto al nostro punto di vista, il corpo di Gesù, sul quale sono emersi da recenti indagini impronte di polpastrelli, e soprattutto il paesaggio di fondo, in cui alcune radiografie hanno riscontrato diverse velature ad olio riconducibili ad una primordiale sperimentazione della tecnica dello “sfumato”. In realtà oggi molti studiosi ritengono che questo degli Uffizi sia un capolavoro a più mani, dove il Verrocchio avrebbe solo eseguito alcune parti e coordinato perlopiù il lavoro dei suoi apprendisti. Risulta, invece, del tutto discutibile la veridicità dell’aneddoto secondo il quale il maestro fiorentino, noto per il suo linearismo da orafo, avrebbe smesso di dipingere il quadro dopo aver constatato l’eccellente bravura di Leonardo. La datazione del Battesimo di Cristo, che proviene dalla Chiesa di S. Michele a S. Salvi, dovrebbe porsi tra il 1470 ed il 1475.

In realtà poco prima di questa opera Leonardo si sarebbe già fatto conoscere a Firenze con una stupenda tavola raffigurante un’Annunciazione. Essa giunse agli Uffizi intorno al 1867 dalla Chiesa di S. Bartolomeo a Oliveto, la quale però non sembra essere il suo originario contesto di collocazione. L’opera, infatti, non viene citata da Vasari nella descrizione degli arredi dell’edificio sacro fornitagli dall’amico monaco, don Miniato Pitti. Al momento della stesura del dipinto Leonardo si trovava forse già presso la bottega del Verrocchio. Una prova di questa tesi sarebbe identificabile nel leggio raffigurato davanti alla Madonna, il quale, ricordando nella forma il sarcofago di Giovanni e Piero dei Medici conservato nella Basilica di S. Lorenzo, rappresenterebbe un omaggio dell’allievo nei confronti del suo maestro. La Vergine, il cui mantello è contraddistinto da un azzurro più intenso rispetto all’angelo di profilo del Battesimo, è un’adolescente che appare attenta ma non particolarmente turbata nell’ascoltare l’annuncio di Gabriele. Il suo braccio destro a prima vista può sembrare sproporzionato rispetto al leggio che le è dinanzi ma in realtà tale percezione sarebbe stata ridimensionata dal posizionamento del dipinto al di sopra di uno degli altari della chiesa e dunque da un punto di osservazione ribassato. Nell’ombra dell’angelo si evidenzia l’esito di accurati studi sul tema della prospettiva mentre note di straordinario e fine naturalismo sono riconoscibili nelle rocce del paesaggio marino in lontananza, sfumate dalla luce del primo mattino, così come nel vento che piega i fiori del prato e le foglie dei cipressi.

Infine, nella Galleria degli Uffizi troviamo esposta l’Adorazione dei Magi che rappresenta l’ultima commissione ricevuta da Leonardo prima della partenza per Milano, dove visse e lavorò presso la corte di Ludovico il Moro. Eseguita a partire dal luglio 1481 ed ancora in corso nel settembre di quello stesso anno, la tavola, che non fu mai portata a termine dall’artista, ci appare come un’istantanea che fissa gran parte delle figure ancora solo disegnate a carboncino. La committenza del tema non fu politica (in genere i sovrani e i governanti dell’epoca amavano farsi rappresentare dai pittori come Magi) ma religiosa. L’opera, infatti, fu richiesta dai Canonici di S. Agostino della Chiesa di S. Donato a Scopeto, piccolo borgo situato poco fuori Firenze, in virtù forse del gran valore attribuito dal loro santo protettore, il vescovo d’Ippona Agostino, a questo evento narrato dai Vangeli. Sul fondo della scena, sopra la quale si staglia un cielo colorato di un misto tra bianco piombo e azzurro lapislazzuli, resta di dubbia interpretazione il cantiere di un tempio nel quale lavorano alcuni operai. L’ipotesi più verosimile, per contrasto con i gruppi di cavalieri che si scontrano dinanzi ad alcune rovine, è che l’edificio possa rappresentare un’allegoria della pace. La sua doppia rampa di accesso, invece, è un elemento tipico di molte chiese medievali e sembra mutuata da quella dell’Abbazia di S. Miniato al Monte. Il valore prettamente religioso del dipinto emerge altresì dalla centralità del gruppo di Maria e del Bambino Gesù nonché dalle pose inginocchiate e dai volti di profilo dei Magi, i quali, riprodotti spesso con le fattezze di regnanti ed altri importanti uomini politici, erano raffigurati quasi sempre in piedi e di prospetto.

Leonardo da Vinci, ‘Adorazione dei Magi’ (1481-82) – Foto: Angelo Zito

Il Tondo Doni di Michelangelo

Nel primo decennio del Cinquecento si colloca a Firenze anche l’attività di Michelangelo Buonarroti. Impegnato insieme a Leonardo nella decorazione, mai portata a termine, del Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio, il grande artista dipinse quello che è il suo unico quadro su supporto mobile: il cosiddetto Tondo Doni. In questo capolavoro Michelangelo adotta uno stile scultoreo che costituisce il risultato dei suoi studi su grandi opere della statuaria ellenistica e romana, come l’Apollo Belvedere ed il Laocoonte. La scelta della forma circolare per la tavola sarebbe avvenuta nel rispetto di una tradizione rinascimentale legata a temi e soggetti religiosi da destinare ad ambiti privati, già attuata per lavori come i Tondi Pitti (al Museo del Bargello) e Taddei (alla Royal Academy di Londra). Realizzata nel 1507 per la nascita di Maria Doni, l’opera propone in primo piano una scena di grande intimità e tenerezza: Giuseppe “consegna” il Bambino Gesù tra le robuste braccia di sua madre che reclina il capo leggermente all’indietro. L’aspetto scultoreo dei tre personaggi è lo stesso che connota le figure nude in secondo piano, appoggiate a balaustre ed intente a conversare tra loro. Esse alludono ad un mondo, come quello pagano, oramai alle spalle e “sconfitto” prima dalla predicazione di San Giovanni Battista, che sbuca dal basso mostrandosi a mezzo busto, e poi da quella di Cristo. Infine, degna di nota è la cornice lignea del Tondo, intagliata da uno dei migliori artigiani dell’epoca, Francesco del Tasso, ma disegnata quasi certamente dallo stesso Buonarroti. Le protomi a rilievo di Gesù e di quattro profeti interrompono in determinati punti un folto groviglio di racemi al di sotto dei quali sono stati riconosciuti stemmi araldici degli Strozzi, famiglia di provenienza della moglie del committente Agnolo, Maddalena.

Michelangelo, ‘Tondo Doni’ (1505-1507) – Foto: Angelo Zito

Raffaello: dai ritratti dei coniugi Doni alla Madonna del cardellino

Al servizio della famiglia Doni si trovò in quegli stessi anni ad operare il giovanissimo pittore urbinate Raffaello Sanzio. L’artista, infatti, fu incaricato di eseguire i ritratti dei coniugi in occasione delle loro nozze celebrate nel 1504. Secondo Vasari, le due tavole furono collocate nella stanza da letto della loro casa di corso dei Tintori, passando poi in eredità alle generazioni successive sino al 1826, anno in cui furono acquistate dal granduca Leopoldo II e sistemate a Palazzo Pitti. In questa sede esse sono rimaste esposte fino al 2018, allorquando si decise di trasferirle permanentemente nella Galleria degli Uffizi. Recenti indagini diagnostiche hanno svelato come in origine i due quadri dovessero formare un dittico, sull’esempio di quello dei duchi di Urbino, Federico da Montefeltro e Battista Sforza, realizzato da Piero della Francesca.

Raffaello Sanzio, ‘Ritratto di Agnolo Doni’ (1506) – Licenza: Wikimedia Commons

A differenza di quest’ultimo autorevole modello, tuttavia, Raffaello non solo rappresenta i due protagonisti in una posa di tre quarti, facendoli appoggiare su una balaustra laterale, ma inserisce nel paesaggio di fondo tonalità e sfumature leonardesche. Nell’impostazione a mezzo busto di Maddalena, in origine collocata in una stanza con finestra aperta sulla veduta posteriore, si potrebbero infatti intravedere richiami alla Gioconda, opera che il giovane pittore marchigiano sarebbe riuscito a vedere e studiare entro il 1504. Nella scelta, invece, di ribassare la linea dell’orizzonte alle spalle dei coniugi e di rendere minuziosamente stoffe e gioielli, tra cui il peculiare pendente della moglie di Agnolo, che allude alla sua purezza verginale, si può cogliere l’influenza esercitata dall’arte di Pietro Perugino e dei coevi pittori fiamminghi. Al tema della fecondità nuziale, sotto forma di augurio, rimandano i temi mitologici disegnati a monocromo sul retro delle tavole da un collaboratore di Raffaello, identificato dallo studioso Federico Zeri nel cosiddetto Maestro di Serumido. Dietro l’immagine di Agnolo è presente una rappresentazione del Diluvio degli Dei mentre dietro quella di sua moglie è raffigurata la vicenda di Deucalione e Pirra. I due coniugi, gli unici ad essersi salvati dalla suddetta catastrofe per volere divino, per quanto oramai molto avanti negli anni, divennero genitori di numerosi figli nati dalla trasformazione di pietre da essi stessi lanciati alle loro spalle.

Raffaello Sanzio, ‘Ritratto di Maddalena Strozzi’ (1506) – Licenza: Wikimedia Commons

Infine, sempre ad un contesto matrimoniale va ricondotta un’altra importante committenza ricevuta dal giovane Raffaello e rappresentata dalla Madonna del Cardellino. Eseguita nel 1505 in occasione delle nozze del mercante Lorenzo Nasi con Sandra Canigiani, nonostante il suo coinvolgimento nel crollo della casa di via dei Bardi all’interno della quale era stata sistemata, la tavola risulta ancora oggi leggibile grazie al restauro di Michele di Ridolfo del Ghirlandaio. Nell’impostazione piramidale del gruppo formato dalla Madonna e dai piccoli Gesù e Giovanni Battista, Raffaello si sarebbe ispirato a modelli coevi, come la Madonna col Bambino e S. Anna di Leonardo e la Madonna di Bruges, eseguita da Michelangelo. Il quadro unisce elementi di modernità, come il tenero gioco di sguardi tra le due figure fanciullesche e lo sfumato del paesaggio di fondo, ad altri di tipo tradizionale, ossia il libro tenuto da Maria ed il cardellino, entrambi da interpretare come riferimenti alla Passione di Cristo. In ultima analisi, i tre protagonisti delle Sacre Scritture furono soggetti molto cari a Raffaello. Oltre che in quest’opera degli Uffizi, infatti, li ritroviamo anche in altre famose eseguite nella sua, purtroppo, non lunga carriera: dalla Madonna del Belvedere, simile nel gusto al dipinto fiorentino ed oggi esposta al Kunsthistorisches Museum di Vienna, alla Madonna del Divino Amore del Museo di Capodimonte, a Napoli, attribuita solo negli ultimi anni all’artista urbinate ed arricchita dalle figure dei santi Giuseppe ed Elisabetta.

Specifiche foto:
Titolo: Ritratto di Maddalena Strozzi, di Raffaello Sanzio
Autore: www.aiwaz.net, pubblico dominio
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Foto modificata

Titolo: Ritratto di Agnolo Doni, di Raffaello Sanzio
Autore: Opera propria ThePhotografer, pubblico dominio
Licenza: Wikimedia Commons
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Foto modificata

Titolo: Madonna del Cardellino by Raffaello Sanzio
Autore: Yair Haklai
Licenza: Wikimedia Commons
Link: Madonna del Cardellino by Raffaello Sanzio.jpg – Wikimedia Commons
Foto modificata

Raffaello Sanzio, ‘Madonna del Cardellino’ (1506) – Licenza: Wikimedia Commons

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