Artemisia Gentileschi, ‘Maddalena Sursock’ – Foto: Nicola Di Rella
Dal 19 luglio 2024 al 19 gennaio 2025, all’interno delle sale del famoso chiostro di Santa Chiara, gemma del centro storico di Napoli, è stata allestita la mostra dal titolo La Maddalena di Artemisia Gentileschi, pittrice barocca che opera tra il XVI e XVII secolo, nata a Roma, l’8 luglio 1593, e morta a Napoli nel 1656.
Alcuni cenni sul Complesso di Santa Chiara
La costruzione del complesso risale al 1310 per volere di Roberto D’Angiò, ma nel 1739 Antonio Vaccaro provvede ad un cambiamento radicale della struttura che, in seguito ai notevoli danni prodotti da un bombardamento nel corso della Seconda Guerra mondiale, vedrà un successivo restauro che ne ripristinerà le iniziali forme gotiche.
Le decorazioni delle maioliche all’interno del chiostro si devono agli artigiani Donato e Giuseppe Massa, mentre gli affreschi che decorano le pareti dei quattro lati risalgono alla prima metà del XVII secolo e sono dovuti ad un autore ignoto, probabilmente legato alla scuola di Belisario Corenzio. Essi raffigurano scene dell’Antico Testamento, così come altre legate a San Francesco e alle virtù teologali.
Inoltre, in una delle sale, è ospitato anche un presepe del ‘700 napoletano, che raffigura una Napoli del XVIII secolo, coniugando mirabilmente la rappresentazione della Natività con il mondo profano.
Artemisia, primogenita di sei fratelli, viene stimolata alla pittura dal talento del padre, il quale è in grado di catturare e valorizzare le grandi doti della figlia, destinata a diventare poi una delle più grandi pittrici della sua epoca, oltre che una donna all’avanguardia, in quel periodo storico.
L’artista subisce il grande fascino della pittura di Caravaggio che spesso si reca nello studio del padre per procurarsi travi di sostegno necessarie alle sue opere.
Ma, fondamentalmente, impara l’arte della pittura solo all’interno delle mura domestiche, in quanto, come donna, le sono preclusi i percorsi dei colleghi maschi. In quell’epoca, infatti, la pittura è vista come un’arte prettamente maschile. L’artista influenzata, come accennato, dalla pittura del Merisi, l’apprende attraverso le opere del padre e quindi nei suoi dipinti ritroviamo riferimenti espressivi legati al chiaroscuro, combinati ad un forte realismo.
Artemisia si ribella anche ai soprusi del mondo maschile. Dopo aver subito uno stupro da parte di uno dei colleghi del padre, Agostino Tassi, che poi, per porre rimedio al suo gesto, chiederà la sua mano, rifiuta la profferta e lo trascina in tribunale. Dopo un lungo iter, accompagnato da insulti, sofferenze morali e fisiche, il tribunale, per accertarsi che la pittrice non stesse dichiarando il falso, la sottopone alla tortura di legarle i pollici con delle cordicelle che attraverso una rondella si stringevano sino a stritolarle le falangi, rischiando così la compromissione definitiva dell’uso delle mani. Tuttavia l’artista non ritratterà mai la sua versione ed alla fine Agostino Tassi subirà una condanna per stupro, consistente nell’esilio da Roma.
Chiostro di Santa Chiara – Foto: Nicola Di Rella
La tecnica pittorica
La pittura di Artemisia è caratterizzata da forti richiami di chiaroscuro e da un notevole realismo, accompagnati da figure dotate di possente fisicità, aspetto appreso dal Caravaggio.
I colori dei suoi dipinti sono impregnati di pennellate che vanno dall’azzurro al giallo ocra, al rosso e ai toni fortemente accesi, colori che ritroviamo anche nella Maddalena Sursock.
Tra le sue opere più famose ricordiamo “Giuditta che decapita Oloferne”, “Autoritratto come allegoria della pittura”, “Susanna e i vecchioni”, nel quale proprio il rosso intenso è usato per uno dei due mantelli dei soggetti del dipinto e l’azzurro tenue per la veste della donna.
La Maddalena Sursock al Chiostro di Santa Chiara
Questo dipinto fu prodotto tra il 1630 ed il 1635, durante il periodo trascorso a Napoli, città che accolse Artemisia per oltre tre decenni. Conservato per secoli in collezioni private, negli ultimi cento anni fece parte della prestigiosa collezione Sursock a Beirut, tant’è che assunse il nome di “Maddalena Sursock” proprio dal nome dei collezionisti libanesi, famiglia aristocratica con legami parentali internazionali, tra cui i Colonna di Roma e i Serra di Cassano. Danneggiato durante un bombardamento di Beirut, il 4 agosto del 2020, solo dopo un lungo ed accurato restauro è tornato al suo splendore che possiamo finalmente ammirare.
L’esposizione partenopea è stata realizzata grazie alla collaborazione tra la Provincia Napoletana del Sacro Cuore di Gesù, l’ordine dei Frati Minori, il FEC (Fondo Edificio di Culto) Agape e Arthemisia, con il patrocinio della Regione Campania ed il Comune di Napoli.
E proprio il ministro provinciale dell’ordine del Sacro Cuore di Gesù, Fra Carlo Maria D’Amodio, in onore della mostra, ha accostato la figura di Santa Chiara a quella di Artemisia, per il coraggio nell’affermare la propria vocazione, seppur in modo diverso.
Artemisia Gentileschi, ‘Maddalena Sursock’ – Foto: Lucia Fontanarosa
Descrizione dell’opera
Maria Maddalena viene raffigurata da Artemisia con il busto leggermente inclinato verso destra, lo sguardo rivolto verso l’alto, la mano destra posata sullo scollo dell’abito ed intenta a spogliarsi delicatamente dei suoi beni, in quanto la mano slaccia la collana di perle che le avvolge il decolleté simbolo della vanità femminile.
Ma la Maddalena non vive una folgorazione, come assistiamo per altre scene di santi, bensì un colloquio interiore con il divino: il suo sguardo racconta del viaggio che la santa intraprende, acquisendo serenità interiore e gestuale.
Il braccio sinistro è rivolto verso il basso, con il palmo della mano aperto e l’abito indossato di colore giallo ocra mostra le sue pieghe pronunciate, mentre il mantello blu avvolge il braccio destro della santa.
Sullo sfondo si possono distinguere un vaso di unguenti e dei gioielli esposti su panni scuri, per accentuare il distacco dalla vita mondana vissuta precedentemente.
Artemisia qui ricorre ad un registro caro all’arte barocca enunciato da Rudolf Wittkover, storico dell’architettura, dell’arte e saggista tedesco che, nel 1958, scrive sulla rappresentazione della torsione della santa verso sinistra, posizione che esprime uno stato di trance, frutto del dialogo interiore con il divino che non sconvolge ma conforta.
Artemisia muore a Napoli intorno al 1653 e la sua tomba, collocata nella chiesa di San Giovanni Battista dei Fiorentini, si perde negli anni ‘50 del ‘900, quando l’edificio viene abbattuto per fare spazio ad un moderno condominio.
Lucia Fontanarosa
Artemisia Gentileschi, la ‘Maddalena Sursock’ in mostra a Santa Chiara – Foto: Lucia Fontanarosa